Care sorelle e fratelli, viviamo insieme questa celebrazione nel ricordo del Natale del Signore. Non molti secoli fa un uomo ha detto: “Fino ad oggi abbiamo cercato di capire il mondo, adesso dobbiamo cambiarlo”.
Cosa c’è di più bello e consolante di avere fiducia di qualcuno e di sentire che qualcuno ha fiducia in noi? Ma questa bellezza e consolazione sembrano esposte alla precarietà e alla delusione, che alimentano indifferenza, amarezza e a volte anche violenza.
Cari giovani ordinandi, siete stati chiamati per nome. Questa chiamata è molto particolare. Non è l’unica, non è la prima. Essere chiamati per nome ha qualcosa che, in maniera non sempre chiara, ci riconduce a Dio. Penso a quando una persona nasce: ancor prima che venga alla luce si pensa al suo nome, un nome proprio per quella persona.
Cari fratelli e sorelle, il dono dello Spirito Santo accompagna tutta l’esistenza di Gesù, ma nell’ultima parte della sua esistenza terrena Gesù si sofferma più volte su questo dono. Prima della passione, nei discorsi dell’ultima cena, Gesù promette lo Spirito.
Cari fratelli e sorelle, ci sono state consegnate alcune testimonianze e alcune storie. Vorrei dire grazie. Questa sera invochiamo insieme lo Spirito, con una corale invocazione, riconoscendo la vitalità generativa dello Spirito. Ciascuna delle realtà che voi rappresentate, ciascuna delle nostre comunità è espressione di questa generatività dello Spirito.
Vi è un appello che risuona in questi mesi, con esiti diversi: l’appello all’unità. Nel pericolo, nel bisogno, di fronte all’assalto di un male oscuro, sembra istintivo “serrare le fila”. Un appello che ha trovato inizialmente riscontri immediati, per poi risuonare sempre più inascoltato, mentre un altro istintivo sentimento è andato crescendo: “si salvi chi può”. Con insistenza instancabile, il Santo Padre richiama all’unità che abbracci tutti, senza escludere coloro che “non contano”, ma le logiche esclusive rimangono in agguato.
Abbiamo ascoltato le parole di Vangelo che annunciano una speranza: il lebbroso è guarito. Le abbiamo ascoltate oggi, proprio nei giorni in cui, un anno fa, la violenza del contagio si manifestava lontano da noi e poche settimane dopo, avrebbe colpito anche noi come mai avremmo immaginato.
La pervasività del contagio, sta contrassegnando la nostra vita e la nostra fede: anche le nostre celebrazioni. Non si tratta semplicemente delle misure di contenimento, che siamo giustamente chiamati ad osservare, ma di un clima, un’atmosfera, che, se non condiziona la nostra gioia, la caratterizza con pensieri e sentimenti che probabilmente non ci avrebbero attraversato in altri momenti.
Care sorelle e fratelli, cari sacerdoti e diaconi, il Vangelo dei Magi lo potremmo interpretare come il Vangelo del desiderio, meglio ancora come il Vangelo della possibilità di desiderare. Inevitabilmente le persone, ma anche tutte le creature viventi, vivono sotto quella che potremmo chiamare la dittatura del bisogno.
Care sorelle e fratelli, cari sacerdoti, dedichiamo qualche istante a raccogliere i messaggi che il Santo Padre ci consegna in questa giornata della pace, all’insegna del titolo che lui propone per il messaggio consegnato alla Chiesa e all’umanità: “La cultura della cura come percorso di pace”.