Giovedì Santo – Cena del Signore

Cattedrale
14-04-2022

Care sorelle e fratelli,
cari sacerdoti e diaconi, abbiamo ascoltato la parola di Dio: la testimonianza della Pasqua ebraica e poi la testimonianza dell’apostolo sulla cena del Signore e finalmente la testimonianza di Giovanni che ci consegna il gesto della lavanda dei piedi il cui significato si intreccia profondamente con la celebrazione eucaristica.

È un gesto esemplare, infatti Gesù dice: “vi ho dato l’esempio”. È l’esempio dell’amore, addirittura dell’amore di Dio che prende la forma dell’umile servizio, come quello di lavare i piedi al prossimo. È l’amore di Dio nella sua forma di servizio radicale, perché prevede il dono stesso della vita.

Mentre questo gesto ci rivela chi è Dio e come ama Dio, nello stesso tempo ci rivela chi siamo noi. Quale è la sorgente della nostra vita? Che cosa alimenta la nostra speranza? Che cosa mantiene energie interiori in tempi che oggi, come altri, si rivelano così oscurati?

Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo, bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto, perché solo questa bellezza raggiunge i cuori e li porta a Dio.

Il gesto di Gesù ci rivela comunque che non basta fare: “come ho fatto io, fate anche voi”. Sono parole molto simili a quelle che sentiamo in ogni Eucaristia: “fate questo in memoria di me”. Fate, fate, ma non basta fare, bisogna essere. D’altra parte non siamo se non facciamo.

Il gesto di Gesù non è un gesto isolato che noi imitiamo lavando i piedi. Il gesto di Gesù ci rivela un modo di esistere e di essere. Non basta fare: a volte ci sono persone che in qualche occasione sono generosissime, ma poi in altre occasioni si rivelano chiuse, egoiste, violente.

Non basta fare, bisogna essere, ma non potremo essere secondo Dio se non facciamo secondo Dio.

Nelle nostre case ci sono uomini e donne che stanno lavando i piedi o altre parti del corpo a malati che non riescono più a farlo da sé, ci sono genitori che lavano i loro figli handicappati, ci sono donne e uomini negli ospedali che sono piegati a servire i corpi malati, disabili, sofferenti, abbandonati.

Il gesto che rappresentiamo come rito allora ci ispira secondo Dio a comprendere che per essere dono è necessario accogliere il dono. Pietro fa molta fatica: “No! Tu non mi laverai i piedi!”. Accogliere il dono significa farsi umili, significa riconoscere il proprio bisogno e la grandezza dell’altro. Non entreremo nel mondo del dono che si fa servizio se noi stessi non accogliamo il dono e il servizio di Dio e dei nostri fratelli.

È per questo che all’inizio vi ho ringraziato, perché voi ci date una testimonianza che vorremmo che diventasse anche una consapevolezza nostra di accogliere il dono per diventare a nostra volta capaci di dono.

Questo gesto ci fa consapevoli che non basta il servizio. Vedo tanta generosità. Qui ci sono sacerdoti che rappresentano mondi fatti da tanti laici e da persone consacrate che sono tutti esposti sul fronte della testimonianza della carità, della solidarietà, della generosità. Però questa sera la lavanda unita all’Eucaristia ci dice che anche il servizio alla fine non basta perché è necessario lo spirito del servizio.

Lo spirito del servizio vuol dire ascolto, attenzione, accoglienza. Vuol dire che il volto di ciascuna persona mi è caro e mi è importante. Il servizio organizzato rischia a volte di trasformare le persone in numeri: noi invece vogliamo mantenere lo spirito del servizio che ci fa riconoscere il volto di ogni persona come unico.

Lo spirito del servizio vuol dire perseveranza, anche nel momento in cui non ci sembra di raccogliere quei frutti che legittimamente e umilmente ci saremmo aspettati.

Questa pagina di Vangelo e questo gesto uniti all’Eucaristia ci permettono di riconoscere il volto di Gesù. Quando il sacerdote mostra l’ostia, il pane consacrato è il corpo di Gesù. Noi guardiamo quasi volessimo vedere trasparire il volto di Gesù da quel pane. Un grande pittore ha dipinto la scena della lavanda dei piedi: non si vede il volto di Cristo, ma quello degli apostoli. Il volto di Cristo lo si vede riflesso solo nell’acqua del catino. È proprio così: noi possiamo riconoscere il Cristo Gesù nel catino di coloro che si inginocchiano a servire i loro fratelli.

Proprio per questo l’Eucaristia non può essere separata dal servizio secondo il Vangelo e il servizio secondo il Vangelo non può essere separato dall’Eucaristia.

Adesso compiremo questo gesto. Una rappresentazione tradizionale della parola del Vangelo e delle riflessioni che ho condiviso con voi. Nel compiere questo gesto io tolgo, come Gesù, la veste e indosserò un grembiule. L’altro ieri sono stato in carcere per l’incontro tradizionale degli auguri di Pasqua e una preghiera condivisa con le donne e con gli uomini che lì sono detenuti e che ci lavorano. Ho partecipato all’inaugurazione di un laboratorio che porta un bellissimo nome: “ricucendo”. Abbiamo tanto bisogno di ricucire. È un laboratorio tessile dove si cuce, si taglia, si ricuce, si aggiusta, si produce. Ho visto che proprio il grembiule rappresentava il laboratorio e allora ho detto: “datemene uno perché Gesù ha messo un grembiule per lavare i piedi degli apostoli nell’ultima cena e io voglio mettere questo grembiule”.

È il frutto di un modo di essere che è ispirato al Vangelo, in coloro che credono e anche in coloro che non sono arrivati al cuore del Vangelo che è il Signore Gesù vivente, figlio di Dio morto e risorto, ma si ispirano alla parola del Signore.

(trascrizione da registrazione)