Veglia di Pentecoste – Chiesa di Santo Spirito

24-05-2015
Care sorelle e cari fratelli,
stiamo vivendo questa preghiera sperimentando contemporaneamente due dimensioni: la semplicità e la ricchezza. La dimensione della semplicità dei gesti e delle parole e insieme la dimensione della ricchezza, certamente la ricchezza della vostra partecipazione, la ricchezza delle intenzioni che connotano la nostra preghiera e la ricchezza anche dei momenti: all’inizio nel cuore istituzionale della città, al cammino silenzioso e orante, all’arrivo in questa bellissima chiesa intitolata al Santo Spirito.
 
Semplicità e ricchezza sono compresenti proprio perché ispirate dallo Spirito di Dio che è capace di questo. Lo Spirito di Dio è capace di ricondurre e di ricondurci all’essenziale e nello stesso tempo ha una potenza generativa inesauribile. Tra i tanti titoli dello Spirito Santo potremmo certamente annoverare anche quello di “fantasia di Dio”.
 
Dentro questo clima che già è dono dello Spirito Santo noi viviamo la nostra preghiera, proprio come gli Apostoli e Maria nel cenacolo, che come ci consegnano le testimonianze “stavano insieme in preghiera”, soprattutto in preghiera, in attesa del dono promesso da Gesù: lo Spirito Santo. 
 
È giusto sottolineare che la nostra preghiera è la medesima preghiera: anche noi invochiamo lo Spirito Santo. Nello stesso tempo però la nostra stessa invocazione è opera dello Spirito Santo perché noi questo dono l’abbiamo ricevuto dal principio. Il nostro riconoscerci e guardaci allo specchio come cristiani è frutto dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto. È come se ci fossimo accostati ad una sorgente o meglio ancora – come dice Gesù – come se questa sorgente è stata collocata nel profondo della nostra intimità, del nostro segreto io. Questa sorgente continuamente effonde acqua viva. È come se da un verso noi già siamo dentro nello Spirito e continuamente invochiamo che lo Spirito abbondi in noi nonostante le nostre resistenze, nonostante i nostri tradimenti, nonostante le nostre pigrizie. Non per nulla all’inizio della veglia abbiamo confessato i nostri peccati e gli abbiamo posti simbolicamente nel braciere perché il fuoco dell’amore di Dio, comunicato dallo Spirito Santo, li potesse bruciare, ma bruciare d’amore.
 
Lo Spirito – e anche di questo noi siamo testimoni con la ricchezza del nostro incontro – è sorgente di una novità continua che è rappresentata dalle nostre singole persone, è rappresentata dalle sorprese che sempre le persone abitate dallo Spirito sono capaci di introdurre nella storia dell’uomo. 
 
Lo Spirito Santo è sorgente di una novità originale che è rappresentata anche dalle tante forme di vita cristiana, di esperienza cristiana  che molti di voi rappresentano insieme. Le chiamiamo con il nome di carismi e certamente sono doni dello Spirito, le chiamiamo anche valori evangelici attorno ai quali ritroviamo in modo speciale la nostra vocazione cristiana coltivandoli e testimoniandoli non solo singolarmente ma insieme ad altri. 
 
La sorgente di una novità originale continua, di una diversità meravigliosa, ma insieme lo Spirito Santo è una energia unificante. È lo Spirito che ci unisce. “Un solo Spirito” non è semplicemente una affermazione della fede, ma “un solo Spirito” diventa l’energia che fa di tutti noi – a volte così intensamente e profondamente diversi – un unico corpo.
 
Questa veglia è anche una veglia battesimale. Nei secoli la veglia di Pentecoste in qualche modo riecheggiava la grande Veglia Pasquale e pure nella veglia di Pentecoste si celebravano i battesimi. Questo fatto noi in qualche modo lo riviviamo perché la veglia di Pentecoste insieme con quella di Pasqua non è paragonabile con nessun’altra veglia. Noi che viviamo questa veglia siamo chiamati a riproporre a noi stessi la consapevolezza di cosa significa essere battezzati, che è la condizione fondamentale del cristiano e che mi permetto di dire si identifica con la condizione della gran parte di noi: quella che noi chiamiamo la condizione del laico cristiano, donna e uomo che sia. È la condizione fondamentale: non è una specie di gradino o addirittura di pianerottolo della vita cristiana quasi ci fossero poi dei gradini superiori. Non è così. Questa è la condizione del cristiano. Altre vocazioni sono al servizio di questa condizione fondamentale, perché questa condizione del battezzato laico possa dispiegarsi in tutta la sua meravigliosa e inesauribile ricchezza. Ecco perché sono felice di vedervi così numerosi questa sera a rappresentare proprio la ricchezza, l’unità, la varietà del popolo di Dio, unificato dal dono dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto essenzialmente nel battesimo e nella cresima e che ci ha reso partecipi della vita stessa di Gesù.
 
Questa veglia ci unisce alla Chiesa Italiana in una grande preghiera per i cristiani perseguitati. È qualche cosa che per certi versi ci sorprende, ci provoca, svela in qualche modo una certa nostra pigrizia che essere cristiani sia tra le cose più scontate, più comode e più facili che si possano sperimentare. I nostri fratelli e sorelle perseguitati per la fede ci provocano sotto tanti profili. Ci provocano per la loro condizione segnata dalla paura, dalla sofferenza, dalla morte. Ci provocano anche e soprattutto perché dobbiamo riconoscere che di persone perseguitate nel mondo per le loro convinzioni ce ne sono anche tante altre, ma qui si tratta di donne e uomini che ci consegnano la testimonianza di come si sta nella persecuzione da cristiani: questa è una provocazione ancora più grande rispetto al coraggio e alla sofferenza che loro ci stanno consegnando. Stare nella persecuzione da cristiani secondo il Vangelo. Veramente dobbiamo dire la grandezza di questi pastori che invitano i cristiani a pregare per i loro persecutori. La provocazione di questi cristiani perseguitati, nostri fratelli e sorelle, in Medio Oriente, in Oriente, in Asia, in Africa, ci sconcerta anche sotto un altro profilo: in un mondo che sembra affermare con gioiosa gaiezza tutte le libertà possibili, siamo veramente preoccupati perché la libertà che diventa sempre più difficile da esercitare è quella di pregare, di adorare il proprio Dio, di essere cristiani. Ricordiamo quindi nella nostra preghiera di questa sera queste nostre sorelle e questi nostri fratelli. 
 
Lo facciamo anche nel ricordo di coloro che non solo sono stati perseguiti ma hanno segnato col martirio la loro fedeltà, oggi e in anni passati, nei Paesi che ho ricordato e in altri paesi del mondo. Proprio domani verrà Beatificato riconosciuto nel suo martirio Mons. Oscar Romero. Lì – dobbiamo dirlo doverosamente – eravamo in un Paese cristiano. Vogliamo ricordare insieme con lui don Sandro Dordi, pure martire della fede che avremo la gioia di vedere beatificato il 5 dicembre prossimo nella diocesi di Chimbote in Perù dove fu ucciso. È un nostro sacerdote, è un sacerdote del nostro presbiterio, tanti di noi lo hanno conosciuto personalmente. Muore martire. Proprio ieri sera sono stato a Premolo a celebrare l’Eucaristia nel ricordo di don Antonio Seghezzi, morto a Dachau. Anche lui un testimone fedele del Vangelo, una luminosa testimonianza sacerdotale offerta soprattutto ai giovani che hanno visto in questo prete la ricchezza del Vangelo. Un prete che alla fine non si è tirato indietro anche quando il prezzo era la vita stessa.
 
La nostra preghiera è alimentata dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato nello stupendo capitolo 12 della lettera ai Corinti. Particolarmente vorrei evidenziare dentro questo testo la comunità cristiana e il suo rapporto con la città. La nostra celebrazione l’abbiamo voluta vivere proprio nel cuore della città, con i momenti che l’hanno scandita e siano capaci di trasmettere questo messaggio: da cristiani insieme nella città. Come stare da cristiani nella città? Mi sta molto a cuore questo fatto. La città è rappresentativa del mondo contemporaneo, che sia la grande megalopoli o una città dalle dimensioni umane come la nostra.  In modo particolare allora siamo provocati ad essere cristiani nella città. Vorrei semplicemente accennare a questa nostra condizione, invitando tutti voi, le nostre parrocchie, l’intera diocesi a prendere a cuore questa prospettiva. 
 
Cristiani non da soli, ma che si riconoscono e si nutrono continuamente alla vita di una comunità, immaginata da Paolo come un corpo unificato dallo Spirito e modellato dall’Eucaristia. Questo corpo inevitabilmente si mette in relazione con la città in uno spirito di servizio, perché questo corpo è lo stesso corpo di Cristo, è il corpo vivente di Cristo, è il corpo esistenziale storico di Cristo. Lo scrivevo nella mia Lettera “Donne e uomini capaci di Eucaristia”: “Quel pane che lo Spirito trasforma nel corpo di Cristo e che noi riceviamo ci trasforma a nostra volta per opera dello Spirito Santo nel corpo vivente di Cristo”. È una cosa che non possiamo dimenticare. Quanta venerazione noi abbiamo per il corpo eucaristico di Cristo, ma questa venerazione deve trasformarsi in una consapevolezza umile del nostro diventare giorno per giorno, per opera dello Spirito Santo, in fedeltà al Vangelo del Signore, modellati dall’Eucaristia, il corpo storico di Cristo, a servizio della città, di tutti gli uomini, come Gesù si è posto al servizio di tutta l’umanità senza distinzione, senza confini.
 
Nell’Eucaristia noi riceviamo questo dono. Spesso lo riceviamo inconsapevolmente e tante volte anche distrattamente. Io devo guardare alle mie distrazioni nella preghiera e anche nell’Eucaristia. È come se di fronte al dono più bello noi ci girassimo dall’altra parte, non ci rendessimo conto. Care sorelle e fratelli sentite queste parole che sono quelle che risuonano nelle nostre Eucaristie ogni giorno: “lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo”. Sono parole che risuonano immediatamente dopo che abbiamo invocato lo Spirito perché il pane e il vino diventino il corpo di Cristo. Immediatamente la preghiera sale a Dio perché lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo, “perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito”, “perché egli – lo Spirito – faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito” e – ancora – “donaci la forza dello Spirito Santo perché vinta ogni divisione e discordia siamo riuniti in un solo corpo”. Sentite questa bellissima invocazione in una delle diverse preghiere eucaristiche: “accetta anche noi, Padre Santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo e nella partecipazione a questo convito eucaristico donaci il tuo Spirito perché sia tolto ogni ostacolo sulla via della concordia e la Chiesa risplenda in mezzo agli uomini come segno di unità e strumento della tua pace”. Lo preghiamo nell’Eucaristia, ma tante volte mi rendo conto che sono parole che passano via. Quella misteriosa grande trasformazione che avviene nella transustanziazione del pane e del vino che veramente attira ancora tutta la nostra concentrazione, poi invece ci vede rarefatti nel momento in cui si parla della nostra trasformazione. 
 
Il dono dello Spirito e la sua azione alimentino la consapevolezza della dimensione comunitaria della vita cristiana e della vita umana e della conseguente necessità di una testimonianza comunitaria. 
 
Mi immagino la vostra testimonianza singolare e benedico il Signore perché ogni giorno sono fatto parte di meraviglie dello Spirito Santo incontrando persone che sono una testimonianza vivente del Vangelo. Quello che in questo tempo mi sembra più necessario però è una testimonianza corale, una testimonianza comunitaria. Non è prova di forza, non è occupazione di potere o di spazi, ma è un segno: un segno di speranza, di unità e di pace offerto a tutti gli uomini. 
 
È il corpo che diventa un popolo. Un popolo che cammina insieme a tutti gli uomini. I carismi ricorda l’Apostolo “sono dati per l’unità comune: a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune”. Ancora Paolo dice che i diversi carismi sono fatti perché ognuno di prenda cura dell’altro: “Dio ha disposto il corpo conferendo maggior onore a ciò che non ne ha perché nel corpo non vi sia divisione ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre”. Questo è il corpo del Signore. Questa è l’unità che lo Spirito continuamente ricrea nonostante tutte le nostre resistenze.
 
Noi siamo una “povera” Chiesa perché siamo peccatori, ma nello stesso tempo siamo anche una “magnifica” Chiesa per opera dello Spirito Santo, è al servizio della città. È al servizio di quella umanità che prende forma nella città, la nostra città, che insieme diventa emblema della convivenza umana contemporanea fatta di una pluralità enorme, fatta di una moltiplicazione di possibilità che quasi quasi ci sembra infinita. Come porci al servizio della città di tutti gli uomini?
 
Qui io credo che le parole del Papa siano assolutamente rilevanti, quelle parole che lui ha scritto nella Evangelii Gaudium, che ancora una volta proprio in questi giorni a noi Vescovi ha ribadito con fermezza essere le linee guida del suo pontificato. Ci ha detto: “Ciò che io dico in altre occasioni riportatelo sempre a questo che ho scritto: lì io parlo con l’autorità più grande che il successore di Pietro esercita nella Chiesa”. Ci sono altri momenti in cui il Papa con grande familiarità si pone, ma se vogliamo un criterio interpretativo torniamo sempre alla Evangelici Gaudium. 
 
Papa Francesco parlando di questa presenza comunitaria dei cristiani nella città dice: “Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo”. Questo è proprio per noi: la città la si può osservare sotto mille profili, da mille diversi punti di vista.  “Ossia, uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle nostre case, nelle nostre strade, nelle nostre piazze”. Non solo nelle nostre chiese. Una presenza evangelica e proprio perché evangelica è evangelizzatrice della città. “Una cultura inedita palpita e si progetta nella città. Si rende necessaria una evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri, con l’ambiente e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima della città”.
 
Care sorelle e cari fratelli, questo è il compito: una presenza evangelica che diventa evangelizzatrice raggiungendo i nuclei più profondi dell’anima della città. Questa è la Pentecoste, questo è quello che ci attende, è quello che io spero ci entusiasmi ancora. Lo ribadisco: non si tratta di una riconquista, ma piuttosto di un servizio al difficile dialogo che ogni giorno si deve stabilire tra le diverse anime della città. 
 
La presenza dei cristiani è una presenza chiamata a rigenerare i tessuti relazionali e solidali con la consapevolezza che certamente nelle megalopoli, ma anche nella nostra città, tra le molteplici possibilità che rappresentano la figura della città vi è anche quella drammatica di produrre rifiuti umani. 
 
Il senso unitario e completo della vita umana che il Vangelo propone è il miglior rimedio ai mali della città. Vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza migliora il cristiano e feconda la città. In questa prospettiva emerge con forza la figura del cristiano laico. 
 
Care sorelle e cari fratelli, in questa veglia di Pentecoste nella ricchezza delle intenzioni che ci unisce ci sia proprio la consapevolezza della chiamata all’uomo e alla donna cristiani di prendere sul serio in nome di Cristo la storia del mondo, non per conquistarlo ma per illuminarlo, fecondarlo, trasformarlo. C’è bisogno di voi, singolarmente. C’è bisogno di voi, insieme.
 
Per mantenere vivo l’ardore missionario occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo perché “egli viene in aiuto alla nostra debolezza”. Tale fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocarlo costantemente.
 
Nel congedarci qualche giorno fa il Papa ci ha detto: “Cari Vescovi, non ingabbiate lo Spirito Santo”. Cari fratelli e sorelle, non ingabbiamo lo Spirito Santo.
 
(trascrizione da registrazione, non rivista dal Vescovo)