Giornata Mondiale per la Pace – Cattedrale

01-01-2016
Care sorelle e cari fratelli,

 
condividerei con voi alcuni spunti che scaturiscono dalla lettura del Messaggio per la 49ma Giornata Mondiale per la Pace scritto da Papa Francesco e intitolato: “Vinci l’indifferenza e conquista a pace”.
 
La pace è un dono e insieme anche una conquista. Il Papa ci invita a conquistare la pace vincendo l’indifferenza. Scrive: “Ci sono molteplici ragioni per credere nella capacità dell’umanità di agire insieme in solidarietà, nel riconoscimento della propria interconnessione e interdipendenza, avendo a cuore i membri più fragili e la salvaguardia del bene comune”.
 
Noi tutti sappiamo che l’indifferenza è una malattia antica, ma già dall’indimenticabile visita di Papa Francesco a Lampedusa siamo diventati consapevoli di una novità che ha fatto diventare l’indifferenza un fatto globale. Allora – e anche in questo messaggio – il Papa ha evocato la possibilità della “globalizzazione dell’indifferenza”.
 
L’indifferenza verso Dio. Siamo consapevoli che questa malattia può aggredire anche noi. Vediamo che si diffonde e in una maniera strana: molti – anche tra le persone che conosciamo e amiamo – sembra che siano del tutto indifferenti a Dio e che vogliano dire a noi che si può vivere benissimo anche senza Dio. Senza guardarci intorno, dovremmo forse anche guardare dentro noi stessi per renderci conto di come questa malattia sia in agguato e di come è possibile che noi stessi ci potremmo ammalare o siamo già stati contagiati da questa indifferenza a Dio: Dio ci va bene, non lo mettiamo in discussione, però gran parte della nostra esistenza è come se si svolgesse senza di lui.
 
C’è poi l’indifferenza nei confronti del prossimo e le due cose spesso vanno a braccetto. Se un tempo Dio può essere diventato un alibi per non prendere in seria considerazione il prossimo, oggi sembra che l’indifferenza a Dio abbia come conseguenza pesante l’indifferenza nei confronti del prossimo. Un “prossimo” che ci viene presentato da lontano ma in forma assolutamente invadente nei media, e del prossimo che sta proprio contiguo a noi con quella freddezza, quel ghiaccio che rischia anche di estendersi sulle nostre stesse relazioni familiari e ci porta a non renderci conto gli uni degli altri, a non renderci conto gli uni delle attese degli altri, gli uni delle fatiche degli altri.
 
Vi è poi una terza indifferenza che è quella nei confronti della natura. Da diversi decenni l’umanità e la Chiesa in modo vibrante – prima con Giovanni Paolo II, poi con Papa Benedetto e infine in modo peculiare con Papa Francesco – stanno scuotendo l’attenzione dell’umanità in direzione di questa indifferenza nei confronti di quella che il Santo Padre chiama “la casa comune”. È la nostra terra, è il nostro cielo, è la nostra aria, è la nostra acqua. Anche in questi giorni noi vediamo le conseguenze di questa indifferenza.
 
“Purtroppo dobbiamo constatare – scrive il Papa – che l’aumento delle informazioni, proprio del nostro tempo, non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da un’apertura delle coscienze in senso solidale. Anzi, esso può comportare una certa saturazione che anestetizza e, in qualche misura, relativizza la gravità dei problemi”.
 
Un grande giornalista come Enzo Biagi parlava dell’indifferenza dell’uomo contemporaneo come una forma di legittima difesa. Proprio di fronte alla miriade di informazioni e provocazioni ricevute, noi innalziamo i muri dell’indifferenza diventano però sempre più soli e sempre più incapaci di cogliere i bisogni e le speranze di chi ci sta vicino.
 
L’indifferenza si manifesta in tante forme.
 
Ho parlato della freddezza, ma potrei parlare della pigrizia spirituale: a volte siamo attivissimi, siamo anche in relazione con una infinità di persone, ma interiormente in realtà siamo stanchi, siamo pigri.
 
Potremmo parlare di quella indifferenza veramente drammatica che è rappresentata dal sonno della coscienza per cui tutto passa e noi se non siamo toccati sul vivo, non siamo disponibili al minimo di reazione, al minimo di presa di coscienza. Il sonno della coscienza genera mostri: questo è il dramma dell’indifferenza.
 
L’indifferenza si manifesta anche come ozio morale. È quella forma di inettitudine, non dal punto di vista delle azioni che compiamo, ma delle responsabilità che siamo chiamati ad assumere: compito che riteniamo troppo faticoso.
 
Ma, dice il Papa, che noi possiamo conquistare la pace vincendo l’indifferenza.
 
Come? Io credo cominciando proprio da azioni concrete, da solidarietà reali, da quelle solidarietà che ci sono immediatamente possibili, da quel superamento della pigrizia e dell’ozio spirituale e morale nei confronti della realtà che ci è concretamente affidata.
 
Vincere l’indifferenza è possibile nel momento in cui apriamo gli occhi e riconosciamo gli invisibili. A volte invisibile può essere proprio nostra moglie, nostro marito, i nostri figli. Ci sono anche delle persone che per categoria, proprio per definizione, rischiano di diventare invisibili.
 
Pensiamo ai disoccupati: si dice tanto della disoccupazione, ma quante persone hanno perso il loro lavoro in questi anni e nessuno se ne è accorto. Sono spariti dal mondo del lavoro.
 
Pensiamo agli immigrati. Certo ci vengono rappresentati continuamente a volte in immagini drammatiche dai media, ma poi noi non li vediamo anche se sono presenti nelle nostre vie, nelle nostre piazze, nelle nostre città. Invisibili, come se non ci fossero. Nel momento in cui diventano invece visibili, perché provocanti nelle loro miserie, l’indifferenza diventa fastidio e rifiuto.
 
Pensiamo ai malati. Quante persone sono vicine a uno che soffre e sono coinvolte nelle malattie dei loro cari. Non infrequentemente persone malate e inferme scompaiono dai nostri orizzonti. Una delle sofferenze che mi sembra di registrare quando incontro le persone in queste condizioni è quella di avvertire – soprattutto se non sono proprio anzianissime – di essere tagliati fuori: “la malattia mi taglia fuori”. L’uomo o la donna più impegnati, nel momento in cui viene toccata dalla malattia, oltre che soffrire della sua malattia, soffre per questa ulteriore preoccupazione: “sono tagliato fuori, divento invisibile, non conto più nulla”.
 
Permettetemi poi di ricordare persone che effettivamente sono invisibili: sono i carcerati. Sono là, chiusi, a volte oggetto di una cronaca morbosa sulle loro vicende giudiziarie. I carcerati sono invisibili agli occhi. A loro il Papa dedica un particolare passaggio nel Messaggio per la Pace, come pure aveva fatto nella Bolla per l’indizione dell’Anno della Misericordia. È indirizzato a loro, ma è anche indirizzato a noi.
 
Noi vinciamo l’indifferenza nel momento in cui riconosciamo gli invisibili. D’altra parte, cari fratelli e sorelle, il mistero del Natale diventa proprio lo smantellamento di un alibi: quello di un Dio invisibile. Un Dio invisibile giustifica il fatto che ci siano uomini invisibili. Dio si è fatto visibile e lo è particolarmente in quegli uomini che noi abbiamo fatto diventare invisibili.
 
La vittoria sull’indifferenza e la conquista della pace avviene nel momento in cui convertiamo il nostro cuore dalle opere di misericordia a un cuore misericordioso, come ho scritto nella Lettera Pastorale. Non basta compiere opere di misericordia, bisogna che il cuore diventi misericordioso: il nostro modo di vedere, di giudicare, di agire e di essere.
 
Cari fratelli e sorelle, conquistiamo la pace vincendo l’indifferenza che sta in agguato nelle nostre esistenze. Conquistiamo la pace seguendo il fervore. Il fervore discreto, umile, non eclatante di Maria che veneriamo particolarmente in questo giorno: il suo muoversi discreto ma puntuale e attento. Lo vediamo nell’annunciazione, nella visita a Elisabetta, come in tutta la sua esistenza accanto a Gesù. Il fervore di Giuseppe: uomo che non si irrigidisce in un giudizio, ma che si prende cura delle persone che gli sono affidate. Il fervore dei pastori di cui abbiamo udito nel Vangelo di questa liturgia: all’annuncio dell’angelo si mettono in moto e incontrano Dio nella persona di Gesù appena nato e poi il Vangelo dice che tornano alle loro case e al loro mestiere glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto per tutto quello che era stato detto loro.
 
Maria, Giuseppe, i pastori sono stati “non indifferenti”: che anche noi non lo diventiamo.
 

 

(trascrizione da registrazione)