Epifania – Cattedrale

06-01-2016
Care sorelle e fratelli,
il Vangelo dei Magi, unico per come ce lo propone l’evangelista Matteo, è sempre molto affascinante nel suo parlarci di questi personaggi misteriosi e della loro ricerca, come pure del re misterioso che viene interpretato dagli interlocutori come Erode e i Maestri della legge in Gerusalemme come la figura stessa di Cristo.
 
La figura affascinante dei Magi ci dice di questa ricerca guidata dalla stella, che approda finalmente all’incontro con il Cristo, incontro peraltro sorprendente in un bimbo le connotazioni della cui nascita abbiamo contemplato in questi giorni. La ricerca dei Magi è poi interiormente arricchita dalla stella che li guida.
 
È un Vangelo di forte capacità evocativa che viene letto in questo giorno dell’Epifania alla luce di quello che l’Apostolo Paolo ci ha ricordato nella breve lettura tratta dalla Lettera agli Efesini quando dice “Penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio a me affidato a vostro favore: che le genti sono chiamate in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Paolo quindi ci comunica un fatto che nel nostro tempo e ai nostri occhi potrebbe apparire per certi versi scontato e per altri invece molto provato dalle condizioni che stiamo attraversando.
 
Paolo ci dice che la misericordia di Dio si è manifestata nella nascita di Gesù, nella sua vita, nella sua morte e risurrezione, per tutte le genti. Per tutti gli uomini, per tutte le donne che abitano il mondo e abitano la storia. Per tutti, senza alcuna distinzione. Questa parola “genti, gente” che per noi può essere una parola un po’ generica, in realtà nel linguaggio di Paolo significa proprio il mondo intero, tutti gli uomini, tutti i popoli, senza distinzione. Non ci sono privilegi, non ci sono discriminazioni, non ci sono esclusioni. L’opera che si compie in Gesù – cominciando dalla sua nascita – è un’opera per l’universo intero. Quella che noi chiamiamo “la salvezza”, cioè il riscatto della nostra condizione di precarietà, di finitezza, di morte, è per tutti. Non solo per un popolo, non solo per persone che hanno requisiti particolari, ma è per tutti.
 
Effettivamente quando nell’Eucaristia ripetiamo le parole di Gesù e nel momento della consacrazione del sangue diciamo proprio quelle parole “è per voi e per tutti”, stiamo riconfermando questa convinzione che appartiene alla fede dei cristiani fin dalle origini. L’opera di Cristo, la misericordia di Dio, la salvezza è per tutti.
 
A noi potrebbe sembrare per certi versi scontato, ma non era scontato certamente per i primi cristiani la cui radice ebraica li metteva in relazione con il “popolo eletto”, nei confronti del quale “le genti” si trovavano in un posizione di esclusione rispetto alla benevolenza di Dio. Non è mai stato scontato questo fatto e non lo è nemmeno oggi, dove a fronte di evidenti movimenti che vanno verso l’universalità della coscienza del genere umano, noi ci troviamo – anche proprio in questi giorni – di fronte all’innalzamento delle barriere più diverse, alla riconferma di divisioni che sembravano in certa misura superate, con riproporsi di ostilità e di discriminazioni che ritenevamo che la nostra civiltà avesse del tutto superato.
 
L’Epifania ci consegna questa dimensione dell’universalità della salvezza e ci consegna la missione di offrire e consegnare la salvezza a tutta l’umanità. La missione cristiana è proprio questa: che tutta l’umanità possa avvertire e possa essere raggiunta dall’opera di Cristo.
 
È raggiunta certamente per la vivezza di Cristo (Cristo è vivo!) e per l’opera dello Spirito Santo. Ma noi che crediamo in Cristo ci sentiamo coinvolti in questa comunicazione della salvezza attraverso la nostra testimonianza.
 
Oggi la missione non consiste in un convertire – tanto meno per forza – tutti gli uomini al cristianesimo, ma di portare l’esperienza di Cristo a tutti gli uomini: annunciandola con le parole ma soprattutto con la testimonianza. Ci sono ancora molti Paesi al mondo dove non si può materialmente annunciare il Vangelo, ma in tutti i Paesi del mondo è possibile dare la testimonianza evangelica (e in tutti i Paesi del mondo sono presenti i cristiani e a volte cristiani molto coraggiosi). La missione è proprio questa: non costringere altri a diventare cristiani, ma offrire loro la testimonianza della salvezza operata da Cristo.
 
Nel recente Convegno della Chiesa Italiana a Firenze il Papa ha indicato tre sentimenti – che lui chiama “i sentimenti di Cristo” – attraverso i quali avviene questa testimonianza della salvezza.
 
Il primo sentimento è quello dell’umiltà. La testimonianza cristiana avviene in uno stile di umiltà. Umiltà significa proprio non porsi in alto, non ritenersi dei privilegiati, non calare il bene della salvezza, il gesto della testimonianza dall’alto di una superiorità. Dice il Papa: “L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria dignità, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti”. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio e questa non coincide con la nostra gloria. È la gloria di Dio che sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme o nel disonore della croce di Cristo.
 
Il secondo sentimento che caratterizza la testimonianza del cristiano è quello del disinteresse. Disinteresse vuol dire non cerchiamo il nostro interesse, ma piuttosto il bene degli altri, addirittura – dice il Papa – la felicità di chi ci sta accanto. Quando il nostro cuore è pieno delle nostre soddisfazioni, della ricerca e del raggiungimento dei nostri interessi non c’è più posto per Dio. La vita dell’uomo si decide nella sua capacità di donarla. Questa è la testimonianza del cristiano in ogni angolo del mondo e per ogni persona umana.
 
Il terzo sentimento è quello della beatitudine. La comunicazione della salvezza a tutti gli uomini avviene attraverso una testimonianza che ha questi sentimenti: umiltà, disinteresse e infine beatitudine, cioè una una gioia che nasce dalla povertà di spirito, “beati i poveri in spirito”. È quella gioia di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio del lavoro quotidiano a volte – sottolinea il Papa – duro e malpagato, ma svolto per amore verso le persone che ci sono care. La gioia anche delle nostre miserie, quando sono vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio.
 
I Magi arrivano, a loro rappresentanti delle genti, cioè dell’umanità, viene offerta proprio nella figura del bambino la misericordia di Dio. I cristiani che credono a questo dono, che riconoscono questo dono, sono chiamati a offrire lo stesso dono, nella stessa maniera con cui lo ha offerto Gesù.
 
La testimonianza cristiana allora non si impone e neppure si propone, ma semplicemente si offre. Si è offerta alla ricerca dei Magi, si è offerta alla ricerca dei pastori, si è offerta alla libertà di Maria, si è offerta alla fede di Giuseppe. La testimonianza della misericordia di Dio in Gesù si è offerta anche alla sordità degli scribi e dei farisei e si è offerta alla ostilità e alla crudeltà di Erode. Il dono di Dio si offre, non si impone e addirittura nemmeno si propone. Semplicemente si offre.
 
Care sorelle e cari fratelli, l’Epifania di Dio è veramente speranza per gli uomini: una speranza radicale, una speranza che ha il sapore del riscatto rispetto ad ogni disperazione. Anche i cristiani siano “epifania” di questa speranza, di questa misericordia, attraverso la loro umile, disinteressata e gioiosa testimonianza.
 
(trascrizione da registrazione)