Apertura anno della fede a Sotto il Monte

11-10-2012
Memoria del Beato Papa Giovanni nel 50mo anniversario dell’apertura del Concilio
 
Dice il Signore: “Io stesso cercherò le mie pecore”. E’ una promessa, è anche una denuncia, ma soprattutto noi contempliamo l’attuazione di queste parole del Signore: le contempliamo in Gesù, il buon pastore. Dirà di sè: “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).
 
Il dono di Papa Giovanni è questo: la ricerca del cuore dell’uomo, di ogni uomo, di tutti gli uomini.
Gli anni del suo Pontificato sono stati contrassegnati da questa ricerca. Una ricerca che ci ha sorpreso, e soprattutto ci ha meravigliato la capacità di raggiungere ogni uomo. Non soltanto di cercarlo, ma di raggiungerlo. Ogni uomo, ogni donna, piccolo o grande, nella sua concreta condizione, aprendogli il cuore alla speranza con l’annuncio e la testimonianza del Vangelo.
Il grande Concilio si iscrive in questa personale sensibilità, maturata attraverso le molteplici esperienze vissute da Angelo Roncalli, non ultime quelle legate alla sua famiglia, a questo paese, a questa terra, a questa Chiesa bergamasca.
 
Una sensibilità che riconosciamo in maniera luminosa nelle splendide e semplici parole con cui inaugura il Concilio l’11 ottobre 1962: le parole della speranza che sopravanzano quelle dei profeti di sventura; le parole della luce che riconoscono “i segni dei tempi” evangelici nonostante le tenebre; le parole della misericordia che sostituiscono quelle del giudizio e della condanna.
 
Cari fratelli e sorelle, torniamo a quelle parole; torniamo alle parole del Concilio. Se le abbiamo dimenticate, ricordiamole; se non le conosciamo, conosciamole; se le abbiamo amate e attuate, rinnoviamo questo amore e l’impegno ad attuarle.
 
Il Santo Padre nell’omelia della celebrazione eucaristica con cui stamane ha aperto l’Anno della Fede ci riconsegna queste parole: “Alla luce di queste parole, si comprende quello che io stesso allora ho avuto modo di sperimentare: durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi solamente nel nostro irripetibile oggi. Perciò ritengo che la cosa più importante, specialmente in una ricorrenza significativa come l’attuale, sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo”.
 
E’ in questo contesto che Egli ci invita a riandare ai testi del Concilio, al Catechismo della Chiesa Cattolica nel 20mo anniversario della sua edizione; è sempre in questo contesto che egli ha indetto il Sinodo dei Vescovi che sta approfondendo il tema della Nuova Evangelizzazione.
Anche noi, abbiamo voluto raccogliere il suo invito a celebrare con convinzione l’Anno della Fede e mi è sembrato del tutto significativo aprirlo in questa solenne liturgia che ogni anno si tiene a Sotto il Monte nella memoria del Beato Papa Giovanni. Ringrazio tutti voi che vi state partecipando, così numerosi in questa chiesa, nelle chiese che ci ospitano e anche all’esterno di questa chiesa. Ringrazio i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, le comunità religiose; ringrazio le autorità civili e militari, ringrazio la cara parrocchia di Sotto il Monte, particolarmente nel suo parroco, nel signor sindaco, nella comunità dei padri del PIME. Un saluto e un ringraziamento particolare desidero rivolgerlo a Sua Eccellenza Mons. Loris Capovilla, testimone luminoso di Papa Giovanni e della sua opera. Lo sforzo in atto per rinnovare l’accoglienza dei pellegrini e offrire loro un itinerario spirituale, è motivo di speranza e di gioia. Sarà questa una delle tre Chiese giubilari, in cui sarà possibile ricevere il dono delle indulgenze concesse in questo Anno della Fede, insieme alla Chiesa Cattedrale e al Santuario della Madonna della Cornabusa, nei mesi di apertura.
 
Abbiamo ascoltato le parole dell’apostolo Paolo che ci esortano a “conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”: da par suo ci ricorda in maniera tanto solida, quanto poetica i fondamenti di questa unità e di questa pace. “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.
 
Una sola fede, dice l’apostolo, quella fede che è fondamento e meta dell’opera di tutta la Chiesa, nella diversità delle esperienze, dei doni e delle responsabilità: “finché – dice ancora San Paolo – arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio”.
 
L’apostolo richiama ad una fede condivisa e coralmente professata: il Credo che tra poco proclameremo in maniera solenne è l’espressione di questa condivisione, di questa coralità, di questa professione fatta con le parole nelle quali ci riconosciamo come cristiani. Il Credo apostolico sia la preghiera che accompagna tutti i giorni di quest’Anno della Fede. Il Credo nutrimento della nostra fede, strada sulla quale incamminarci per una più profonda conoscenza di Cristo, nella lettura e nell’ascolto della sua Parola, nella catechesi, nella riflessione comunitaria e personale.
 
La fraternità che ripropongo nella Lettera pastorale è fraternità nella fede.
 
Ma il Santo Padre e la nostra personale e limitata esperienza ci ricordano che la fede si alimenta vivendola: quella fede di cui siamo capaci oggi, perché ne abbiamo compreso l’importanza della nostra vita, diventa la porta attraverso la quale entrare in una fede più grande.
 
Non si può parlare soltanto della fede: la fede è conoscenza che introduce ad un’esperienza ed è un’esperienza che ci spinge ad una più grande conoscenza.
Non possiamo accontentarci di questa fede, della nostra fede, come non potremo accontentarci dell’amore che di giorno in giorno, di stagione in stagione, contiene in sè l’appello al rinnovamento.
 
Ed è proprio così: l’atto di fede diventa atto d’amore.
Questa è la “prova” della fede: “mi ami tu?”, “mi ami di più?”. È la domanda di Gesù a Pietro, diventa la condizione per una rinnovata sequela e soprattutto per il suo servizio di pastore. E’ la domanda che interpella la coscienza di chi avverte il fascino e l’inquietudine della prospettiva della fede.
 
La fede come riconoscimento e consegna all’amore di Dio, nella persona di Gesù Cristo: l’inizio di una vita nuova in cui l’amore diventa la regola, il comandamento di ogni relazione umana. E allora è la fede che diventa testimonianza.
 
Se famose sono le parole del cosiddetto “discorso della luna” la sera dell’11 ottobre 1962, non meno pregnanti, anche se meno conosciute, sono quelle che Papa Giovanni annotava per iscritto quella sera: “Ringrazio il Signore che mi abbia fatto non indegno dell’onore di aprire in nome suo questo inizio di grandi grazie per la sua Chiesa Santa. Egli dispose che la prima scintilla che preparò durante tre anni questo avvenimento uscisse dalla mia bocca e dal mio cuore. Ero disposto a rinunciare anche alla gioia di questo inizio. Con la stessa calma ripeto il “Fiat voluntas tua” circa il mantenermi a questo primo posto di servizio per tutto il tempo e per tutte le circostanze della mia umile vita, e a sentirmi arrestato in qualunque momento perché questo impegno di procedere, di continuare e di finire, passi al mio successore. Fiat voluntas tua, sicut in coelo et in terra”.
 
Questa è la fede del Beato Papa Giovanni: è il dono del Papa, il dono del “nostro” Papa, perché in questo Anno cresca la nostra fede e diventi speranza per quell’umanità che incontreremo lungo i giorni che il Signore ci consegnerà. 
 
(trascrizione da registrazione)