Pellegrinaggio notturno da Sotto il Monte dei giovani di Azione Cattolica

14-10-2012
“Per voi la Chiesa ha acceso una luce”
 
Abbiamo ascoltato una bellissima pagina di Vangelo ed è il Signore che ci parla in questa pagina. Una pagina che ci permette di guardare alla nostra esperienza di fede.

 
Una pagina che parte da una richiesta di vita: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Mi sembra assolutamente rilevante sottolineare questa domanda, perché troppo spesso e troppo velocemente noi passiamo ai “discorsi della fede”. La gran parte delle persone non è interessata a questi discorsi. Voi chiaramente, anche attraverso la testimonianza del vostro pellegrinaggio, dite un interesse in questo senso, ma molti giovani, adulti, anziani assolutamente non sono attirati da questa esperienza. Tutti invece siamo attirati dalla nostra vita. Tutti vorremmo poter vivere la vita come eterna. Eterna non significa che non finisce mai, ma una vita bella, piena; una vita che uno senza sforzo possa gustare; una vita che quando ci alziamo al mattino uno possa essere contento; una vita di cui uno è contento anche quando si addormenta alla sera. Non è sempre così. Ci sono mille ragioni per cui non è così e non può essere così, ma questo è il nostro desiderio. Non è solo il nostro desiderio, è il desiderio di tutti. Paradossalmente anche di chi rifiuta la vita, nel senso che anche l’ostilità nei confronti della vita o il disprezzo della vita sembra essere un grande grido che reclama una risposta alla propria sete di vita.
 
Io credo che questa sete, questa attesa voi l’abbiate. Qualche volta forse abbiamo la tentazione di rinunciarvi, di rinunciare alla vita. Non perché pensiamo gesti insani, ma così perché ci sembra impossibile vivere in una maniera degna, che ci faccia dire “vale la pena vivere”. È proprio vero quello che abbiamo appena sentito da Gesù: “impossibile agli uomini, ma non a Dio”.
 
Dobbiamo avere a cuore la vita. Questo dovere è già qualcosa che scaturisce dalla fede, perché di per sè non è un dovere, è una specie di istinto e non solo di sopravvivenza. Tutti coloro che vivono, anche una pianticella, istintivamente vuol vivere, ma in noi c’è la consapevolezza, c’è l’interrogativo sulla vita, sul perché. La risposta a questo interrogativo ci fa passare dal regime della sopravvivenza a quello della vita eterna – che, ripeto, è una vita che si prolunga oltre la morte semplicemente perché è piena, più forte della morte.
 
A questa domanda Gesù risponde introducendo quella persona dentro un percorso e ognuno ha un suo percorso. Il percorso che abbiamo ascoltato è di una persona che ha osservato i comandamenti del Signore fin dalla sua infanzia, vale a dire ha impostato la propria vita credendo che la propria vita si realizzasse osservando i comandamenti. E i comandamenti indicati sono esattamente quelli relativi alle relazioni con il prossimo. È un bello stile di vita: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre. È quello che vorremmo che tutti facessero e diciamo che se il mondo va male è perché non osserviamo queste regole. Pensiamo normalmente agli altri, ma anche a noi stessi.
 
Non è una cosa difficile capire che la vita va bene se osserviamo i comandamenti. Appunto, neanche questi bastano. La risposta di quel tale è: “ma io queste cose le ho fatte fin da quando ero bambino, eppure ho bisogno di qualcosa di più per vivere”.
 
Qui abbiamo un ulteriore passaggio: Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò. Lo sguardo di Gesù è uno sguardo tutto di amore, perché non cambia niente senza l’amore, perché quella sete di vita trova la sua risposta nell’amore e in un amore più grande. Abbiamo l’amore della nostra famiglia, l’amore dei nostri amici, l’amore di una persona che abbiamo incontrato e con la quale forse pensiamo di incamminarci sulle strade dell’esistenza e qualcuno di voi questo cammino l’ha intrapreso. Stiamo dicendo cose che a me sembra siano proprio di tutti: il desiderio di vivere e non solo di sopravvivere e poi questa consapevolezza che è l’amore il nutrimento della vita. Vivere è amare ed essere amati.
 
Gesù guarda questo tale, che nel Vangelo di Matteo ci viene presentato come un giovane, con questo sguardo d’amore. È impressionante: “fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse”. Se uno ci chiede che cos’à la fede, la fede è esattamente questo: aver visto e riconosciuto questi occhi, aver sperimentato questo amore, aver creduto a questo amore. Un amore che nel momento in cui tu lo riconosci e lo credi trasforma la vita, ti fa entrare già adesso nella vita eterna, cioè nella vita piena. Ci saranno mille limiti e mille smentite dal punto di vista della storia perché viviamo la precarietà del nostro passaggio. Questa è la certezza perché la fede ad un certo punto diventa interiore certezza, sottoposta anche alla prova del dubbio, ma nello stesso tempo resistente perché è una cosa che non puoi dire che non c’è. Uno che ha provato che cosa significa essere innamorati, può darsi che a un certo punto veda svanire quell’innamoramento, ma lui sa che cosa è, che c’è e che è vero.
 
La fede, quando noi diciamo che è una relazione personale, è proprio in questi termini: è un incontro. Noi possiamo ascoltare la parola di Dio, osservare i comandamenti, partecipare alla liturgia, ma se non possiamo raccontare una nostra relazione personale con il Signore, o meglio la relazione che il Signore ha con noi, noi siamo ancora in cammino verso l’esperienza decisiva della fede.
 
Io spero che il fatto di vederla in altri, di nutrirci della parola di Dio, per chi non vive questa esperienza o non l’ha ancora vissuta, alimenti il desiderio. Per chi l’ha vissuta il desiderio si alimenta da solo, perché l’amore non ci basta mai.
 
La cosa stupefacente è che questo tale alla fine se ne va. Triste, ma se ne va. Perché se ne va? Perché uno resiste a una cosa del genere? Lo dice il Vangelo: perché aveva molti beni. Gesù gli dice: “una cosa sola ti manca, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo”. Cioè niente può stare al posto di quell’esperienza che abbiamo ricordato, di questa relazione. È paradossale quello Gesù dice a Pietro che gli fa osservare “ma noi abbiamo lasciato tutto”: “non aver paura che avrai cento volte tanto”. Gli ha appena detto di lasciare tutto e poi gli dice “avrai molto di più”. È un’illusione?. No, è vero. Il problema è cosa sta al centro. Quel tale aveva molti beni e stava al centro. Quando è stato messo nella condizione di ricevere l’amore come “centrale” nella sua vita, questo ha rinunciato. Questo è il dramma. Tutto avviene nel senso della libertà per cui paradossalmente uno rinuncia al tesoro per il suo tesoretto.
 
L’amore a volte fa paura. La fede fa paura. Le cose grandi fanno paura. Diciamo sempre che di Dio non bisogna avere paura e anche Gesù lo ricorda spesso: “non abbiate paura”. Ma non è la paura del Dio terribile, ma è la paura di quello che significa avventurarsi nel territorio dell’amore, della relazione, della fede. Questa è la paura che proviamo. Ancora anche io la provo. La proviamo a volte in termini molto semplici: come facciamo a fidarci proprio fino in fondo di una donna, di un uomo, di mio padre, di mia madre, dei miei figli, dei miei fratelli, dei miei amici? Noi stiamo vivendo questo venir meno di fiducia, che è un venir meno di fede. Abbiamo paura. Nello stesso tempo questa paura ci rovina: “se ne andò triste”. È una cosa paradossale, sconcertante: uno ha il tesoro davanti e se ne va. Se ne va per paura, se ne va perché quel tesoro sembra non avere la forza di conquistarlo.
 
Provate a pensare quando stiamo tanto al buio, come stanotte ad esempio, anche se non c’era proprio buio buio. Quando una persona sta in una stanza buia, anche per poco, con assenza totale di luce, se voi accendete una luce rimane abbagliato, fa fatica e si copre lo sguardo. A me succede una cosa a cui devo stare attento: io passo tante giornate stando fermo, seduto e tra poco non riuscirò a fare quattro passi. Voi invece avete camminato tutta la notte. È così anche nelle relazioni: c’è il rischio che se non ci stiamo dentro si atrofizzano. Così avviene anche della fede: si atrofizza la possibilità di cogliere che quello è il tesoro. E uno se va col suo tesoretto, triste. Succede così.
 
Finiamo con gli Apostoli che di fronte a tutto questo non capiscono più niente e dicono: “ma cosa succede?”. Gesù dice: “è difficile”. Non è difficile perché è arduo, come scalare una montagna, ma è difficile perché bisogna diventare come dei bambini e noi non vogliamo essere dei bambini. Bisogna fidarsi e noi ci fidiamo ma insomma fino a un certo punto. Questa è la difficoltà: non è la difficoltà di uno sforzo particolare. Uno dice: “certo, lasciare i beni”, ma lui ti dice che ritroverai cento volte. Il difficile è quel passo unico che ci viene chiesto, soltanto questa opera di credere.
 
E gli apostoli, i discepoli, Pietro dicono: “e noi?”. È bellissima questa voce di Pietro che dice che la fede che è un fatto personalissimo diventa un fatto comunitario: e noi? Tra un istante io vi inviterò a partire dalla mia fede – che è una piccola fede, povera fede, umile fede, però che si alimenta esattamente a quella parola che abbiamo ascoltato – a professare “insieme” la fede, perché poi la fede in Cristo diventa un fatto corale, un fatto di popolo. È un fatto personalissimo ma non è esclusivo. Nessuno è escluso da questa possibilità e noi adesso pregando insieme e proclamando il credo vogliamo proprio dire questo: non semplicemente che noi crediamo, ma che tutti possono credere, che noi offriamo questa fede a tutti, con le nostre parole e con la nostra vita.

 

(trascrizione da registrazione)