26-05-2012
Cari fratelli e sorelle,
ci troviamo in preghiera invocando e accogliendo il dono dello Spirito Santo che Gesù stesso ha promesso ai suoi discepoli. Vogliamo in questo istante richiamare in noi stessi tutta la consapevolezza di fede che si alimenta in questa promessa di Gesù. È molto intensa la parola con la quale Gesù promette ai suoi discepoli lo Spirito Santo. Questa nostra coscienza di fede credo che proprio in questa preghiera possa rinnovarsi, consapevoli che i destinatari di questo dono siamo anche noi.
Celebriamo nella Pentecoste la realizzazione di questa promessa di Gesù e l’inizio della missione della Chiesa. Quindi anche stasera il nostro trovarci qui insieme nella chiesa Cattedrale vuole rinnovare la fede in questa promessa mantenuta da Gesù, avvertendo profondamente che con il dono dello Spirito Santo la missione di Gesù continua nella sua Chiesa e grazie alla sua Chiesa.
Vorrei che questa nostra avvertenza e coscienza ci riportasse alla condizione fondamentale che il mistero di Gesù, della sua morte e risurrezione, e il dono dello Spirito Santo hanno creato in noi. Vale a dire quella condizione che scaturisce dal nostro battesimo, da quel battesimo che certamente è di acqua ma non è soltanto di acqua, da quel battesimo così intensamente unito a quello che pure in questi giorni stiamo celebrando per tanti nostri figli, il sacramento della cresima, per dirci che l’unione profonda con Cristo è del tutto coniugata con il dono dello Spirito Santo.
Nell’itinerario scaturito dalla tradizione – che pure vogliamo mantenere – del battesimo dei bambini, la cresima ha preso una certa distanza dal battesimo, ma nella veglia pasquale – e in questi anni abbiamo avuto il dono di introdurre all’esperienza cristiana adulti proprio nella veglia pasquale – noi celebriamo il battesimo, la cresima e finalmente accogliamo alla mensa eucaristica questi nuovi credenti, in una unità che – ripeto – la distanza che si distribuisce nel cammino di crescita dei nostri figli non deve farci perdere.
È la nostra vita, è la nostra condizione di credenti. Noi non siamo semplicemente dei discepoli di Cristo, ma questa sequela di Gesù si caratterizza per una unione intimissima con lui, un radicamento in lui, una rinascita in lui, di cui protagonista decisivo è lo Spirito del Padre e del Figlio. Questa è la nostra identità e la nostra condizione: una condizione nuova, “siamo nuove creature”. Dirà l’Apostolo: “Se avete ricevuto lo Spirito, allora camminate secondo lo Spirito. Se siete rinati per opera dello Spirito Santo, vivete secondo lo Spirito Santo”.
Mi sembra che questa nostra coscienza che nella veglia di Pentecoste rinnoviamo soprattutto pregando, trovi un riscontro molto sensato e molto coerente nella riflessione che tutti i Vescovi italiani hanno compiuto in questi giorni attorno alla figura dell’adulto nella comunità cristiana, dell’adulto nella fede.
Stiamo percorrendo questo itinerario decennale sotto il segno dell’educazione. Ebbene, l’educazione appella a degli educatori, a degli adulti, a delle persone che incarnino la maturità della fede e diano testimonianza di umanità. Ecco questo è l’adulto nella comunità cristiana: un testimone della fede e un testimone di umanità.
Questa condizione, frutto del dono dello Spirito che pervade la nostra esistenza, ci spinge in direzione di questa maturità, alla quale dovremo pur pervenire. La consapevolezza umile della nostra condizione contraddittoria non deve diventare un alibi a questo appello ad essere adulti. C’è una certa perplessità, un ritrarsi rispetto a questa che è la condizione d’arrivo del nostro cammino umano. L’infanzia, la fanciullezza, l’adolescenza, la giovinezza sono passaggi. L’uomo approda all’età adulta, ad una vecchiaia che sia rappresentativa di questa maturità. È una specie di vocazione, è una responsabilità. È una responsabilità che attraversa tutta l’umanità, credenti e non credenti.
È un appello, una vocazione, una responsabilità che oggi trova molte resistenze. Siamo sempre tutti giovani: “quanto mi sento giovane!”. Bisognerebbe che forse ad un certo punto ci sentissimo anche adulti, perché chi è giovane ha bisogno di qualcuno che sia adulto.
Adulto nella fede: una maturità nella fede che diventa la condizione esistenziale, tutta pervasa dallo Spirito Santo, per essere testimoni di umanità.
Questa condizione di maturità nella fede come può svilupparsi? Come può maturare?
Penso che tutti quanti stiamo avvertendo proprio in questi anni, in cui l’essere cristiani non è più così scontato ed evidente, che la disposizione di chi desidera esserlo debba assolutamente trasformarsi in una esperienza di Dio. Non potremo diventare adulti nella fede se non facciamo un’esperienza di Dio.
Tanti anni fa la riflessione di un grande Vescovo come il Cardinal Martini poneva questa questione, sollecitava questo passaggio: parlando degli adulti nella fede, parlava di uomini e donne che avessero un’esperienza di Dio, “solo allora la potranno narrare, allora la potranno testimoniare”.
E come possiamo fare esperienza di Dio? La strada è quella di Gesù. L’esperienza di Dio di un cristiano è assolutamente caratterizzata dal mettersi al seguito di Gesù, non soltanto – dicevo prima – come il discepolo che apprende e addirittura attua l’insegnamento di Gesù, ma come colui che piano piano, per opera dello Spirito di Gesù, entra in una relazione con lui, una relazione personale, e si avvia proprio su questa strada, verso la santità.
La santità è certamente una condizione morale, ma quella è l’esito di un cammino in cui la nostra relazione con il Signore diventa sempre più profonda, significativa, decisiva, pervasiva della nostra esistenza. E questo avviene attraverso lo Spirito e quindi la preghiera, l’ascolto della Parola e la vita della comunità cristiana. Sì, perché l’esperienza di Dio la facciamo mettendoci alla sequela di Gesù, entrando in relazione personale con Gesù, ma tutto questo trova un suo luogo non solo fisico, ma spirituale e vivente nella Chiesa, cioè nella comunità dei credenti.
Finalmente, allora, questo crescere come adulti nella fede diventa un’assunzione di umanità, come quella di Gesù. Cioè noi prendiamo tutto ciò che è umano e nello stesso tempo ce ne sentiamo responsabili: l’umanità nuova che Gesù incarna e della quale ci rende partecipi non è una super-umanità, il cristiano non è un super-uomo, ma la relazione con Cristo ci dà la possibilità di essere veramente uomini. Uomini e donne e quindi testimoni di umanità.
Proprio il Papa diceva a noi Vescovi: “Vegliate e operate perché la comunità cristiana sappia formare persone adulte nella fede perché hanno incontrato Gesù Cristo che è diventato il riferimento fondamentale della loro vita, persone che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché lo hanno conosciuto, persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita”.
Cari fratelli e sorelle, vi ho salutato all’inizio e nuovamente vi saluto singolarmente, ma anche come partecipi di realtà preziose nella Chiesa come le tante associazioni, i movimenti, i cammini. Permettete in questo momento, vedendo anche diverse sorelle consacrate, di dare un saluto particolare anche a loro, portatrici della ricchezza di questi doni dello Spirito, che appunto voi rappresentate dopo averli accolti, che incarnate e testimoniate insieme. C’è questa meraviglia: i doni dello Spirito raggiungono ciascuno singolarmente, personalmente, ma è anche meraviglioso vedere che nella Chiesa fratelli e sorelle si riconoscono per un dono che hanno ricevuto, personale ma nello stesso tempo simile a quello del proprio fratello o sorella.
Associazioni, movimenti e cammini che sono connotati da un’esperienza di Dio in Gesù. Un’esperienza partecipata con altri, a volte a partire da uno scopo, altre volte da un’esperienza concreta di vita, altre volte da un dono particolare per l’edificazione di tutta la Chiesa.
Io desidero in questa sera di Pentecoste benedire il Signore per questi doni che edificano la Chiesa, per la varietà dei doni condivisi da più persone che formano queste realtà diverse e che contribuiscono, nel momento in cui sono raccolti con purezza di spirito, con libertà, con maturità nella fede, a edificare la meraviglia della Chiesa.
Cari fratelli e sorelle, viviamo anche apprensioni e qualche volta sofferenze autentiche che in questo momento ci pongono in un modo particolare vicino al Santo Padre, ma dobbiamo anche dirci di questa bellezza della Chiesa, che non soltanto viene rappresentata in termini spirituali nel suo mistero, ma attraverso la vita e la testimonianza di una moltitudine di persone. Questa è la Chiesa.
Proprio dentro questo orizzonte vorrei alla fine consegnarvi tre mandati, tre condivisioni.
La prima condivisione è questo appuntamento ormai imminente: il Papa viene nella nostra regione. La visita del Papa è sempre un dono del Signore proprio dentro la grande storia dello Spirito e della Chiesa, di cui il Papa è il segno di unità che si avvicina ad un territorio e ad un popolo. È grande l’incontro mondiale delle famiglie. Una delle grandi intuizioni di Giovanni Paolo II: dopo la prima, del Giubileo, in Italia, nella settima edizione ritorna non più con l’orizzonte giubilare, ma proprio a scandire questi passaggi e questi appuntamenti che hanno toccato tutti i continenti. Torna in Europa, e viene in Italia, e viene nella nostra regione. Grande l’incontro delle famiglie, ma questo non è soltanto l’incontro mondiale delle famiglie, è l’incontro mondiale delle famiglie con il Santo Padre.
Io credo che sia una rappresentazione concreta di quello che ho tentato di ricordarvi questa sera parlando dell’adulto nella fede. Le famiglie esigono e rappresentano e testimoniano questa responsabilità matura di uomini e donne, e di credenti. Una responsabilità matura nei confronti di loro stessi, nei confronti dei loro figli, nei confronti della Chiesa, nei confronti del mondo. Una responsabilità luminosa, non paurosa, non ripiegata. Non siamo uomini e donne, né Vescovi, né sacerdoti, né sposi, né famiglie della negazione, del no, della paura di fronte a questo bellissimo orizzonte rappresentato dal rapporto che avvertiamo tutti, ma insieme lo avvertono tutti gli uomini, tra le relazioni fondamentali che sono quelle familiari, le relazioni sociali connotate dal lavoro e questa relazione festiva che mette l’uomo a contatto con la propria anima e alla fine, noi diciamo, con Dio stesso che dà significato a tutto.
Questo è l’appuntamento che alcuni vivranno direttamente, altri vivranno attraverso i mezzi di comunicazione, ma tutti possiamo vivere, anzi io vi chiedo di vivere nella preghiera, nella vicinanza, nella consapevolezza che anche attraverso questi segni la Chiesa sta testimoniando la sua maturità nella fede.
C’è una seconda condivisione che vorrei sottoporvi e offrirvi. È ormai la conclusione del mese di maggio, tra poco giugno, le attività pastorali tendono un pochettino a rarefarsi nei mesi estivi, anche se dobbiamo riconoscere che i nostri oratori offrono tante proposte sia legate alla vita della parrocchia (penso ai CRE), sia lontane (esperienze di campi scuola, di viaggi, di viaggi missionari), e sono davvero tantissime per cui bisogna fare attenzione a dire che l’estate è un periodo in cui la vita pastorale diminuisce, perché sembrerebbe proprio non più così. Però permettetemi di annunciarvi già quanto l’anno prossimo saremo impegnati a vivere: l’anno della fede.
Già stasera a voi che rappresentate veramente l’insieme della nostra Chiesa, persone che per dono di Dio contribuiscono a farla crescere, io voglio affidare questo mandato: di cominciare a preparare spiritualmente, con la coscienza, con la fede, con la preghiera l’anno della fede. Non sono celebrazioni soltanto esteriori. Qui si tratta di raccogliere l’invito del Papa ma di raccoglierlo in direzione di un evento spirituale grandioso, proprio una Pentecoste, come è stato il Concilio Ecumenico, a cinquant’anni dall’apertura. Non possiamo lasciar perdere questo dono. L’anno della fede è l’anno in cui rinnoviamo la fede alla luce di questa grande esperienza dello Spirito Santo nella Chiesa.
Per noi sarà assolutamente particolare questo, perché nell’anno della fede, in cui vogliamo ritrovare l’entusiasmo di credere, così come è stato entusiastico il momento del Concilio, non possiamo dimenticare Papa Giovanni che dopo appunto aver avviato il Concilio torna al Padre, il 3 giugno 1963. Quindi il 3 giugno del 2013 celebreremo i 50 anni della sua morte e qui nella sua diocesi in un modo particolare vogliamo legare quest’anno al suo ricordo, non solo alla devozione e all’affetto per lui, ma per raccogliere ciò che lui ha donato alla fede dei credenti.
Il terzo mandato, la terza condivisione è rappresentato da questo invito che io rivolgerò a tutta la diocesi: a vivere l’anno della fede nel segno della fraternità. Scriverò una lettera a tutta la diocesi su questo tema: la fraternità cristiana, fratelli nelle comunità, fratelli tra le comunità, fratelli nei confronti di ogni uomo.
In questa serata di Pentecoste, anche un po’ in uno scambio confidente con coloro che in modo particolare per i doni che hanno ricevuto sono chiamati a testimoniare la condizione di adulti nella fede, mi sono permesso di condividere con voi, riflettere con voi, lasciar risuonare con voi gli esiti di questo dono dello Spirito che continuamente è nuovo, che continuamente ci rinnova, che continuamente ci fa meravigliare del dono che il Signore ci ha fatto.
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(trascrizione da registrazione)