Ordinazioni Presbiterali

26-05-2012
Cari fratelli e sorelle,
 
desidero cominciare con alcuni saluti e ringraziamenti.
 
Un saluto particolare ai Vescovi che concelebrano con me: Mons. Lino; Mons. Eugenio Scarpellini, Vescovo Ausiliare in Bolivia, Mons. Leopoldo Girelli, Nunzio Apostolico nell’estremo oriente, e affettuosamente un saluto al Vescovo di Latacunga, in Ecuador, la diocesi di uno dei giovani che verrà ordinato presbitero, con il quale abbiamo condiviso questo cammino di formazione insieme a tutti gli altri giovani del nostro seminario.
Un saluto e un ringraziamento a tutti i presbiteri presenti, ai diaconi e affettuosamente un saluto e un ringraziamento al Superiore dei Padri Passionisti, tenendo davanti agli occhi due diaconi che diventeranno sacerdoti in questo prezioso istituto della Chiesa. Un caro saluto a tutti i religiosi e le religiose.
Un saluto e un ringraziamento alle comunità, quelle native e quelle delle prime missioni di questi giovani.
Affettuosamente e con profonda riconoscenza e gioia saluto tutte le famiglie di questi diaconi che stanno per essere ordinati sacerdoti. Cari papà, mamme, fratelli, sorelle, nonni e tutti voi familiari sappiate che c’è una particolare condivisione con i vostri sentimenti in questo momento. Una condivisione che diventa riconoscenza per tutto il bene che voi avete donato e che ha contribuito a questo giorno e a questo dono.
Un saluto caro a tutta la comunità del seminario, alla quale guardo sempre con profonda riconoscenza e anche con profonda gioia.
 
È proprio questo: noi stiamo vivendo in maniera misteriosa, ma anche per tanti segni così visibile, un grande dono che viene da Dio. Questo grande dono alimenta una grande gioia, una grande riconoscenza e anche una grande responsabilità.
Non solo la responsabilità del Vescovo, non sono la vostra carissimi ordinandi, ma la responsabilità di tutta la nostra Chiesa. Grande dono. È una responsabilità che non ci schiaccia perché i doni di Dio non opprimono gli uomini. È una responsabilità esaltante, alla quale ci disponiamo con grande umiltà, meravigliati di questi doni ma nello stesso tempo profondamente consapevoli di che cosa rappresentano.
 
Responsabilità nei confronti di ogni persona che il Signore ci affida, responsabilità di fronte ad ogni comunità, alla nostra Chiesa, alle Chiese di tutto il mondo e al mondo stesso, perché lo Spirito di Dio vi consacra sacerdoti di Cristo per il mondo e non solo per la Chiesa, proprio perché la Chiesa è mandata a tutto il mondo.
Permettete di evocare subito questo desiderio: che mentre preghiamo insieme per questi giovani che verranno ordinati sacerdoti, preghiamo perché il Signore ci conceda ancora sacerdoti e quindi rivolga con benevolenza il suo sguardo e la sua parola ad altri giovani perché si dispongano con generosità a questo servizio prezioso per la Chiesa e per l’umanità.
Siamo alla vigilia di Pentecoste e il Signore ci parla nelle letture che abbiamo ascoltato. Ci introducono a questa grande celebrazione del dono dello Spirito che scende sui discepoli, sui primi e su tutti i discepoli, che diventeranno per questo dono degli apostoli del Signore.
 
Queste parole riecheggiano ancora nella nostra coscienza: l’invito di Gesù, che abbiamo udito, che a gran voce nel pieno della grande festa dice di andare presso lui, di andare a lui, di dissetarsi dal suo grembo da cui sgorgheranno fiumi d’acqua viva. “Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti”.
Abbiamo udito poi l’Apostolo che ci ha rappresentato un gemito: la creazione geme, ma non solo la creazione, anche i credenti gemono e addirittura lo Spirito Santo geme, tanto è forte l’attesa, tanto è intensa la speranza che è scaturita dalla vicenda di Cristo e dalla sua morte e risurrezione.
Nella prima lettura abbiamo udito di Mosè, del suo incontro con Dio, e di quello che ha rappresentato tutto questo per il popolo dell’antico Israele. Questo incontro grandioso di Dio con Mosè diventa preludio all’incontro di Dio con tutto il popolo. Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte.
Il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Lì si incontreranno. Lì, carissimi, su questa vetta, oggi voi vi incontrerete con lo Spirito del Signore che è disceso per voi. Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.
Permettete alla luce di queste grandi parole di sottoporvi tre semplici considerazioni.
 
La prima. Voi per primi, carissimi, e noi tutti avvertiamo a partire da questo incontro misterioso e travolgente di Mosè con Dio che questa esperienza è decisiva. Tutto parte da questo incontro. Il Santo Padre si è rivolto a noi Vescovi, l’altro giorno, con queste parole che mi sembra diano ragione di quanto stiamo ricordando: “In un tempo nel quale Dio è diventato per molti il grande sconosciuto e Gesù semplicemente un grande personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione missionaria senza il rinnovamento della qualità della nostra fede e della nostra preghiera. Non saremo in grado di offrire risposte adeguate senza una nuova accoglienza del dono della grazia. Non sapremo conquistare gli uomini al Vangelo se non tornando noi stessi per primi ad una profonda esperienza di Dio”.
Questa esperienza, carissimi, noi la facciamo nella persona di Gesù, entrando nel grembo di Gesù, vale a dire in una relazione profonda, personale, intima con lui e accogliendo il dono del suo Spirito.
Carissimi, tra qualche istante diventerete presbiteri. Ebbene, il popolo di Dio ha bisogno della fede dei presbiteri, spesso esposta alla prova più di altri, perché il prete deve credere anche per gli altri.
 
La seconda considerazione è rappresentata dalla missione che il Signore vi affida. Ha affidato una missione a Mosè, presso il popolo che Dio si è scelto come proprietà particolare fra tutti i popoli. Dirà il Signore: “un popolo sacerdotale e santo”. La Chiesa è ben rappresentata da questa grande immagine del popolo di Dio. Un popolo di sacerdoti: sacerdoti con la propria vita. Un popolo di santi perché trasformati dallo Spirito di Dio.
Gesù ama il popolo, non all’insegna di facili populismi. Gesù ama la folla, non nel segno di un anonimato che stempera ogni rapporto personale. Gesù ama il popolo, ama la folla, perché rappresentano la varietà infinita dell’umanità. Il Signore Gesù è l’amore di Dio per questa umanità nella sua infinita varietà, nei suoi infiniti colori, a volte profondamente oscuri e a volte splendenti come il cielo terso.
Siete preti per il popolo di Dio. Amate il popolo come lo ha amato Gesù Cristo, nelle varietà delle sue esperienze, sapendo poi passare a quella relazione personale che Gesù ha offerto a ciascuno che lo ha incontrato.
 
Infine, la terza considerazione alla luce della Parola che abbiamo ascoltato è rappresentata da questo gemito del presbitero. Sì, geme la creazione, geme il credente, geme lo Spirito Santo in noi, geme il presbitero. Ma non è il gemito della tristezza, è il gemito della speranza. È un gemito che scaturisce da una tensione: una tensione che da questo momento percepirete in maniera particolarmente viva, tra il dono che vi è dato e ciò che ogni giorno deve succedere; tra la grandezza infinita di questo dono – la parola, i santi segni, l’Eucarestia – e la vostra vita, la vita di ogni uomo, la vita del mondo; tra questo già e il non ancora. Dentro questa tensione sale il nostro gemito: non un gemito di sofferenza, non un gemito di disperazione, ma il gemito della speranza, di coloro che già ora vivono il dono di Dio nell’attesa che tutto questo trovi il suo compimento.
Siate quindi testimoni di una speranza irriducibile, uomini che sanno condividere i gemiti di tutti, ma portandoli alla luce del Vangelo dentro il grande gemito dello Spirito, che riceverete, perché si compia finalmente il regno di Dio nel cuore degli uomini e della loro storia.
Carissimi, ora proprio attraverso la fede della Chiesa il dono di Dio vi raggiungerà. Sappiate della vicinanza del vostro Vescovo, di tutti coloro che vi sono cari, dell’intera Chiesa.

 

(trascrizione da registrazione)