Processione del Corpus Domini

07-06-2012
Quest’oggi ho vissuto due processioni.
 
Alcuni di voi hanno partecipato ad ambedue. Comunque desidero dire grazie a tutti voi e a tutti coloro che hanno partecipato in questi giorni a quella processione che è culminata nel corteo con cui oggi ho accompagnato mio padre al cimitero. La partecipazione della comunità è stata intensa. Io non posso che dire grazie per questo affetto, per questa condivisione e per la vostra fede.
 
La seconda processione è quella che abbiamo condiviso insieme ora.
 
Due cortei. Un corteo nel quale tutto l’amore, la condivisione di una vita, la relazione di figli e padri e madri viene segnata dal potere della morte. Mio padre, come tanti dei nostri, è morto ricco di anni, ma sembra che oggi non ne abbiamo abbastanza. E non ne hanno abbastanza di anni i legami quando sono legami d’amore. La morte violenta, la morte ingiusta, la morte di un giovane, di un bambino è qualcosa di insopportabile, ma non è meno oscura la morte di un anziano, nel senso che sembra proprio dire che tutto finisce, è il destino, è così, non si può fare altrimenti.
 
C’è una grande immagine nel Vangelo, proprio di due processioni che si incrociano. Nell’episodio famosissimo di Nain, si parla proprio di un corteo, di questa donna vedova che accompagna suo morto giovane. Dall’altra parte dice il Vangelo, Gesù che va verso il paese insieme a tanta folla: è un’altra processione. Sembrano proprio la processione della morte e la processione della vita. Cosa succede là? 
 
Ho portato al cimitero il corpo di mio padre, l’ho deposto con quel gesto di pietà che accompagna la civiltà dell’uomo. È il suo corpo morto. Ora ho portato un pane. Abbiamo attraversato la città. Cercavo sguardi di gente che potesse incrociare quel pane, che ci guardasse, che si interrogasse su che cosa fosse. Anche quel pane è un corpo. Il corpo di mio padre raccontava la sua vita, questo pane racconta che un corpo è capace di dare la vita.
 
Noi stasera ci siamo raccolti attorno a questo pane che riconosciamo come sacramento del corpo di Cristo. È tutta la sua storia, è la sua stessa morte, la nostra morte, ed è la sua risurrezione e la sua vita e il suo amore. 
 
Gesù ha trovato in questo segno così densamente umano come un pane la via per consegnarci sempre il suo amore, la sua stessa vita, per far risorgere noi. Non soltanto quando avremo superato la soglia della morte, ma per farci risorgere oggi e ogni giorno.
 
Cari fratelli e sorelle, noi non abbiamo camminato nella città per occuparla. No. Quella centralità per cui il Cristo deve camminare al centro – non il Vescovo, ma il Cristo – non è per affermare il potere ma per affermare ma per affermare che nella coscienza del cristiano il Cristo sta al centro. Simbolicamente al centro della strada perché sia il centro del nostro io profondo, dove albergano le nostre convinzioni, le nostre domande, la nostra intimità più profonda. Lì è il posto di Cristo.
 
Abbiamo voluto testimoniare la consapevolezza di una fede che non può rinchiudersi in una sagrestia e nemmeno semplicemente nel privato di un sentimento. Dio non è privato. Non è un fatto privato. Dire che “Dio è un fatto privato” è dire un’assurdità, perché o Dio non c’è e allora è un fatto inventato, o se Dio c’è affermare che egli è una cosa privata è l’assurdità più grande che si possa dire. 
 
E non è privato non perché si impone, ma perché ama tutti. Tutti. Ama me nella mia fede e nel mio peccato. Ama voi che siete qui. Ama tutti coloro che non sono qui e vorrebbero essere qui. Ama tutti coloro che non vorrebbero essere qui e non pensano nemmeno di essere qui. In questo senso è “pubblico” Dio e l’Eucaristia e la fede. Non per un potere, ma per questo amore sconfinato che dalla vicenda di Cristo viene per sempre offerto. 
 
Tutto questo passa attraverso una storia tutta umana, così umana da comprendere soltanto il volto di un uomo, Gesù di Nazareth, ma addirittura da prendere il segno di un pane. Cosa c’è di più umano per noi? 
 
Ciò che Dio in Gesù, nella sua morte e risurrezione, in questo corpo ci dona è una vita umana. Noi non siamo destinati ad essere dei super-uomini, la nostra vocazione non è ad essere dei super-uomini, ma in Cristo ci viene aperta la possibilità di essere “veramente” uomini.
 
Questa è l’Eucaristia, questa è la fede in lui e questo è il nostro comunicare lui
 
Cari fratelli e sorelle, abbiamo pregato con la preghiera dell’incontro mondiale delle famiglie. In quell’incontro il Santo Padre rivolgendosi alle famiglie le ha invitate ad essere “custodi dell’amore”. È così difficile: lo desidera ogni uomo, ogni figlio del padre. Essere custodi dell’amore – ha detto il Papa – è l’unica forza che può veramente trasformare il mondo. L’amore. Ed è proprio l’amore e non semplicemente la perspicacia e la “necessaria intelligenza” che ci introdurrà alla nuova sintesi così indispensabile tra famiglia e lavoro, che riteniamo veramente decisiva per un futuro nel quale possiamo respirare, nel quale possiamo riposare, nel quale possiamo guardare ai nostri figli. 
 
È l’amore. E questo amore ci è offerto al di là di ogni nostro merito, al di là di ogni nostro peccato, proprio nel sacramento dell’Eucaristia. Lì incontriamo un amore irriducibile, un amore inesauribile: l’amore di Cristo, l’amore di Dio.
 
Cari fratelli e sorelle, due cortei quest’oggi. Alla fine se guardo con dolore, ma non con tristezza, ciò che è avvenuto a me, come ad altri di voi, che a volte ci fa paura, è proprio perché quel corteo si è incrociato con questo corteo, con questa processione e con tutto quello che questa processione vuole rappresentare nelle nostre coscienze, nella nostra fede, alimentando la nostra testimonianza.
 
(trascrizione da registrazione)