Te Deum – Cattedrale

01-01-2015
Care sorelle e cari fratelli,
viviamo questo momento di ringraziamento a conclusione dell’anno nella liturgia che la comunità cristiana celebra in onore di Maria, la Madre di Dio. Sotto il suo sguardo poniamo questa riflessione che desidero condividere con voi.
 
Al termine della celebrazione della Messa noi canteremo il “Te Deum”, l’inno di ringraziamento e di lode, rivolto il Signore per abbracciare tutti i giorni di questo anno. L’intenzione, il motivo, la ragione che ci spinge a questa preghiera sta nel cuore dell’Eucaristia: qui possiamo cogliere il senso di giorni segnati da luci e ombre. Se le luci ci spingono a dire grazie e a lodare, le ombre e le oscurità rattristano il cuore e qualche volta possano portare qualcuno a maledire i suoi giorni. 
 
Perché allora noi ci ritroviamo e raccogliamo un interno anno, i suoi giorni, i suoi istanti sotto il segno della lode e del ringraziamento? È la ragione stessa che ci spinge a celebrare l’Eucaristia, il ringraziamento: “è veramente cosa buona e giusta rendere grazie in ogni tempo e in ogni luogo, a te Dio Padre Onnipotente”. Il motivo di questo rendimento di grazie è Gesù, è il dono del suo Spirito che percorre i nostri giorni, che percorre i giorni luminosi nei quali è facile far salire il grazie e percorre i giorni oscuri proprio perché attraverso la fede in Gesù quella oscurità non è diventata disperazione. 
 
È un anno ancora oscurato da nubi inquietanti. Penso alla moltiplicazione delle guerre: il Santo Padre ha usato una immagine molto forte quest’anno per parlare di queste guerre frammentate evocando addirittura “la terza guerra mondiale”. Un anno oscurato dalle nubi inquietanti del terrorismo diffuso, un anno oscurato dalla nube dolorosa della persecuzione dei cristiani. 
 
È un anno occupato anche da nebbie, ancora fitte. Penso a quelle nebbie che prendono il nome di disoccupazione o comunque di precarietà del lavoro. Quelle nebbie che ci disorientano come quelle rappresentate dalla corruzione diffusa. Le nebbie della divaricazione sociale che rischia di diventare una autentica ingiustizia sociale. Le nebbie dolorose della disgregazione familiare.
 
Dobbiamo però fare attenzione a ciò che continuamente ci viene rappresentato. Rischiamo di vivere di rappresentazioni. Quelle che io vi ho raccontato sono di fatto delle rappresentazioni: basta accendere lo schermo televisivo e queste rappresentazioni continuamente ci assalgono. Diventano sempre più evidenti e contengono un grave torto alla realtà, a quella realtà che ciascuno di noi potrebbe raccontare, a quella realtà che ciascuna persona anche quella che quest’anno è stata sottoposta alla prova più severa può raccontare: è la realtà dei volti, è la realtà dei gesti, è la realtà di una piccola luce che nel momento in cui si accende nella tenebra già la squarcia. Non dissolve la tenebra, ma la piccola luce di un volto amico, di un gesto buono, di una capacità di sacrificio inaspettata è capace veramente di rompere l’impero delle tenebre. Tutto questo a volte viene dimenticato o viene relegato nell’intimo e nel privato, fino al punto da diventare insignificante a noi stessi, come se le nubi e le nebbie – ricordate prima – rappresentassero la totalità della vita. Non è così!
 
Avvicinare ognuno di noi a se stesso e alle persone che vivono la sofferenza, la prova, l’oscurità, dimostra che proprio lì dove sembrerebbe proprio che la forza del male diventi imperante, in realtà c’è una capacità sorprendente di bene. 
 
Credo che la quotidianità dei gesti, oltre che dei giorni, non sia una specie di consolazione facile: piccolo è bello. Come a dire: il mondo purtroppo va male, appunto nubi e nebbie lo oscurano però nel nostro piccolo riusciamo a seminare germi di bene. No. La quotidianità non è una fuga dalla realtà. La quotidianità è la realtà! E la quotidianità la si sperimenta in qualsiasi condizione ci si trovi. 
 
In un articolo, un bergamasco non di poco conto, nel senso che la sua presenza e il suo servizio è veramente un motivo di speranza, come è Padre Pizzaballa, Custode di Terra Santa, parla delle condizioni di vita dei Paesi del Medio Oriente, particolarmente in Siria e in Iraq, dicendo che la sofferenza più grande sta nel fatto che quelle persone stanno perdendo l’unità della vita quotidiana, gli elementi che costituiscono la vita quotidiana. La guerra e il terrorismo hanno le loro logiche, ma quello che diventa più devastante è perdere i riferimenti quotidiani: lo svegliarsi al mattino e trovarsi accanto la persona con la quale ci si è addormentati, il poter uscire in strada e andare nel negozio dove si è soliti acquistare il pane, piuttosto che alla scuola o all’ospedale. Questa disarticolazione della vita quotidiana è quella a cui dobbiamo porre più attenzione.
 
Noi ringraziamo il Signore perché il tessuto della nostra vita quotidiana, nonostante strappi e lacerazioni si è mantenuto nella sua sostanziale integrità. 
 
Insieme a questi motivi di considerazione pensosa dell’anno che è passato, ma nello stesso tempo di consapevolezza della ricchezza che questi giorni hanno rappresentato, in questi orizzonti vorrei inserire ciò che la nostra Chiesa diocesana quest’anno ha vissuto in alcuni eventi particolari. Ne ricorderò alcuni, sapendo bene ciò che ho appena detto: non sono gli eventi a costituire la storia, ma il tessuto quotidiano, pur segnato dagli eventi straordinari.
 
Il primo degli eventi da non dimenticare e per il quale rendere grazie al Signore è certamente la Canonizzazione di Papa Giovanni. Non tanto per dire: “quale onore” perché Papa Giovanni è il Papa nato a Sotto il Monte, legato a Bergamo, piuttosto per dire “quale santità!”, quale evocazione di santità Papa Giovanni fa risuonare nel cuore della nostra comunità. Questo è stato il motivo della gioia della sua Canonizzazione. Legato ai Papi Santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II c’è la Beatificazione di Paolo VI. Non celebrazioni soltanto. Il loro significato sta nel valore di una vita quotidianamente vissuta secondo il Vangelo.
 
Penso a ciò che è scaturito da questi eventi: la costituzione del Fondo Famiglia-Casa, l’impegno per la ristrutturazione del dormitorio del Galgario, la conclusione della scuola che ci siamo impegnati a costruire ad Haiti, un corso universitario di studi di Storia del Cristianesimo dedicato a Papa Giovanni, la brillante esecuzione di una composizione musicale dedicata a Papa Giovanni e capace di ispirare anche sotto il profilo artistico coloro che la ascoltano. 
 
Dentro a questo quadro di santità, un evento che ha riempito la nostra Cattedrale, al punto tale che gente ne è rimasta fuori è stata la peregrinazione dell’urna di San Giovanni Bosco, a testimonianza di quanto questo Santo, anche se lontano ormai nel tempo, è capace ancora di parlare ad “antiche” e a giovani generazioni. 
 
Noi dobbiamo poi ringraziare il Signore per l’apertura, vissuta con intensità nella nostra diocesi, dell’Anno della Vita Consacrata. Un anno, che il Papa ha voluto, di preghiera, di presa di coscienza, di alimentazione della vita delle persone consacrate. Ne abbiamo tante nella nostra diocesi che ha una storia veramente importante sotto questo profilo. 
 
Ho vissuto e ho concluso la mia peregrinazione in tutta la diocesi, incontrando i sacerdoti di tutti i Vicariati e tutti gli animatori liturgici: un incontro ricco che ha ispirato poi la lettera pastorale che ho scritto: “Donne e uomini capaci di Eucaristia”.
 
Non dimentichiamo l’istituzione di sei Unità Pastorali. L’Unità Pastorale è una realtà in cui più parrocchie camminano in maniera più collaborativa, in maniera più organica, in maniera più stabile. Ho visto con grande gioia che questa istituzione non è stata vissuta come il funerale della parrocchia, ma piuttosto come una stagione nuova di una parrocchia che non si chiude in se stessa. 
 
Ci sono state poi le visite missionarie sempre arricchenti che faccio personalmente ma a nome di tutta la diocesi: la visita in Costa d’Avorio e la visita in Belgio ai nostri sacerdoti e alle comunità che loro servono da un’infinità di tempo, con un contatto intenso con il mondo della “nostra” emigrazione, così utile anche a capire le stagioni che stiamo vivendo.
Le persone che raggiungo nelle visite missionarie sentono la diocesi, non sentono semplicemente il Vescovo.
 
Desidero poi ricordare i pellegrinaggi: quello diocesano a Fatima e Santiago e quello speciale – che devo dire mi ha segnato profondamente – con circa 600 giovani da Assisi a Roma a piedi, con la grande soddisfazione e gioia dell’incontro con il Santo Padre. 
 
Alcuni nostri sacerdoti giovani sono ancora partiti per la missione: sono tre. Uno in Brasile, uno in Spagna e uno a Cuba. Proprio in questi mesi hanno iniziato questa missione particolare. 
 
Ci sono state anche delle inaugurazioni particolari e una chiusura: proprio oggi ho visitato la comunità delle suore e dei sacerdoti che per decenni non solo hanno abitato ma hanno servito la Casa degli Esercizi e dei Ritiri Spirituali a Botta di Sedrina. Abbiamo chiuso la casa per i ritiri ma non la comunità che si è trasferita a Zogno. Nella casa sono attualmente ospitati alcune decine di profughi presenti nella nostra provincia.
 
Abbiamo aperto con grande soddisfazione anche artistica, ma soprattutto spirituale la nuova chiesa presso l’Ospedale Giovanni XXIII, veramente un luogo che io ritengo decisivo, anzi “strategico”, se è possibile usare questo termine. È il luogo della speranza: insieme alle torri dell’Ospedale c’è la torre della speranza che si innalza verso Dio e che Dio fa scendere verso gli uomini attraverso la bella luce che illumina questa costruzione.
 
Pur non essendo un fatto ecclesiale non possiamo dimenticare l’importanza nella nostra città dell’inaugurazione della struttura del Nuovo Gleno: una struttura imponente per quanto riguarda la cura e l’accoglienza delle persone anziane.
Se pensiamo agli anziani, non possiamo dimenticare i giovani e quindi ai tre nuovi Oratori inaugurati e altri che sono stati ristrutturati pur in un anno in cui le risorse economiche sono sempre più difficilmente reperibili.
 
Vi ho ricordato questi fatti perché arricchiscono il nostro motivo di grazie al Signore, ma non dobbiamo dimenticare quello che dicevo in precedenza: questi eventi rappresentano come un ricamo prezioso su un tessuto a volte ruvido ma resistente che è quello della vita quotidiana delle nostre parrocchie, delle aggregazioni laicali, delle comunità religiose, della vita di ogni discepolo del Signore. Van bene quindi i ricami preziosi ma sarebbero del tutto inutili se non ci fosse questo tessuto semplice, qualche volta appunto ruvido, ma che tiene, che è quello della vita evangelica che si distribuisce ogni giorno.
 
Care sorelle e cari fratelli, celebriamo la maternità divina di Maria. Il grembo di Maria diventa come la culla del tempo per il Figlio di Dio. L’Eterno comincia a scandire i secondi della propria vita nel grembo di Maria. Maria è la culla del tempo del Figlio di Dio. L’evento più grande avviene nel grembo di una donna. I fatti della vita, a volte luminosi, altre volte drammatici, come abbiamo ricordato, trovino sempre nel grembo della fede la possibilità di portare frutti secondo il Vangelo. 
(trascrizione da registrazione)