Solennità dell’Assunta – Basilica di S. Maria Maggiore

15-08-2013
Cari fratelli e sorelle,
raccogliamo dall’abbondanza delle parole che il Signore ci ha consegnato una piccola riflessione in questo giorno radioso non solo perché ci circonda la luce del sole, ma perché ammiriamo con affetto, con riconoscenza, con fede questa glorificazione di Maria assunta in cielo.
 
Vorrei raccogliere questa abbondanza in una delle espressioni che la Vergine esprime in un quel cantico così trasparente e così felice che è il Magnificat. Maria intona al termine del dialogo altrettanto terso tra Elisabetta e lei, nell’incontro di queste due maternità. Una delle espressioni di questo canto è: “ha innalzato gli umili”.
 
Mi sembra un’espressione che corrisponda al mistero che stiamo celebrando: Dio nella sua misericordia ha innalzato gli umili.
Questo innalzamento degli umili appartiene in maniera del tutto significativa alla storia dell’uomo e possiamo proprio dire che è una storia di riscatto da condizioni di umiliazione, da condizioni di inferiorità che vengono portate ad una emancipazione, che vengono superate, che vengono riscattate. Questa è la storia dell’umanità. È la storia in ultima analisi della nostra dignità: in questa storia di riscatto dall’umiliazione, dall’inferiorità, dal limite, noi siamo chiamati ad essere protagonisti. È la nostra vocazione. È la nostra dignità.
La dignità della persona umana sta proprio in questa consapevolezza della sua assoluta fragilità e nello stesso tempo della sua inarrivabile dignità. Quindi la vicenda di ciascuno di noi sta proprio dentro questa tensione: la consapevolezza di una fragilità che è esposta a tutto – in un attimo la nostra vita e anche quella dei nostri cari si rivela veramente qualche cosa che può sfuggirci dalle mani – , ma nello stesso tempo siamo tutti consapevoli, pur con sensibilità diverse, di qualche cosa che ci caratterizza in maniera inarrivabile e distinta da ogni altra creatura.
 
Possiamo dire che veramente la nostra vicenda che si sfida tra dignità e indegnità. Se l’umiltà e l’umiliazione è una condizione che ci appartiene e in qualche modo fa parte della nostra vita, c’è poi però il tradimento della nostra dignità che è l’indegnità.
È veramente affascinante vedere come Gesù nel Vangelo riscatta l’uomo dalla sua umiliazione e nello stesso tempo smaschera le false dignità. Riscatta coloro che vengono ritenuti indegni. Quanti episodi evangelici possiamo leggere proprio sotto questo profilo: il riscatto che Gesù mette in atto nei confronti di uomini e donne ritenuti indegni, messi fuori da tutto ciò che conta, da tutto ciò che è apprezzato e apprezzabile. Nello stesso tempo la parola di Gesù smaschera false dignità con le sue espressioni così sintetiche e forti.
 
Papa Francesco in Brasile, proprio visitando le famiglie di una delle favelas povere di Rio, diceva: “L’uomo non ha soltanto fame di pane, ma ha fame di dignità”.
Noi pensiamo forse che possiamo sostituire o rispondere a questa fame con l’arroganza. La forza della nostra dignità l’affermiamo con l’arroganza, l’affermiamo con la presunzione, l’affermiamo coltivando le apparenze. Diceva ancora il Papa: “La dignità non ce la dà il potere, il denaro e neppure la cultura. La dignità ce la dà il lavoro”.
Noi avvertiamo proprio in questo tempo come il rapporto tra la dignità e il lavoro sia un rapporto strettissimo. Penso a quelli che lavorano o a quelli che vivono l’ansia della precarietà del loro lavoro. Penso a coloro che hanno concluso la loro attività lavorativa e che possono godersi meritatamente e dignitosamente del frutto del lavoro.
Cari fratelli e sorelle, proprio questo rapporto tra dignità e lavoro ci deve fare attenti a tutte quelle forme di sfruttamento del lavoro, di sfruttamento dell’uomo che lavora. Ci deve fare attenti alle forme di indifferenza e di disprezzo nei confronti degli uomini nel loro lavoro o nella difficoltà a lavorare. Penso che questo tempo, che pure manifesta qualche segno di ripresa, deve essere un tempo di particolare attenzione perché non si sviluppi una maggiore distanza di coloro che riprenderanno e di coloro che saranno tagliati fuori.
 
Proprio questo innalzamento degli umili che evoca questo riscatto della dignità umana è qualche cosa che tocca profondamente il nostro DNA. Il nostro DNA non è soltanto qualcosa di molecolare, il nostro DNA è qualcosa di spirituale. La dignità non appartiene a un codice genetico, ma a qualcosa che supera questo codice.
Lo diciamo da credenti, ma lo offriamo a tutti: la dignità non è qualche cosa che viene riconosciuta, ma precede il riconoscimento, perché sta nella nostra stessa umanità. L’esperienza biblica cristiana avvalora tutto questo dicendo che l’uomo e la donna sono creati a immagine di Dio e che veramente la loro rappresentazione più intensa e perfetta è Gesù Cristo. Lì noi vediamo come specchiata la nostra dignità.
Quella dignità che in Cristo appare proprio nel momento in cui è crocifisso, è umiliato, è spogliato di ogni dignità. Noi che ripercorriamo la vicenda di Gesù Cristo ci rendiamo conto che proprio in quel momento paradossale in cui viene del tutto umiliato ci offre una dignità che è capace di dare la dignità agli umiliati del mondo.
I cristiani devono essere testimoni di questa storia attraverso la loro fede e le loro opere.
 
È la dignità di Maria, questa donna, questa madre che somiglia al Figlio. Qui ci troviamo di fronte a qualche cosa di straordinario: non solo il figlio somiglia alla madre – sicuramente avrà assomigliato -, ma progressivamente avviene che questa madre – come ogni discepolo del Cristo -, somiglia sempre di più a lui.
 
Non per nulla la troveremo, come troviamo tante madri, accanto a lui sulla croce e non per nulla allora – sempre naturalmente affidandoci alla fede – noi la vediamo somigliante a lui nella gloria.
Questo è il percorso della fede cristiana. Questo ha portato la tradizione cristiana a proclamare la gloria di Maria in anima e corpo accanto a Gesù.
Il cielo, cari fratelli e sorelle, non è il nostro alibi per giustificare o consolare quello che sulla terra non riusciamo a compiere. Il cielo diventa veramente il sigillo di una dignità che precorre ogni riconoscimento.
Siamo qui in bellissimo tempio. Mentre riflettevo su questo ricordavo uno dei capolavori di Raffaello, la Madonna Sistina. È una delle grandi raffigurazioni di Maria da parte di uno dei più grandi artisti della storia dell’arte. Raffaello rappresenta la Madonna con in braccio un umanissimo bambino Gesù e anche lei nelle sue fattezze manifesta proprio l’intensità corporea di questa storia dell’incarnazione divina. La Madonna Sistina non è una Madonna Assunta, anche se è circondata dal cielo, dalle nubi. In realtà è una Madonna che sta discendendo e non sta ascendendo. I suoi veli sono riempiti di vento perché sta scendendo.
La storia cristiana non è una favola che alla finisce con la gloria. È la storia di questo entrare fino in fondo nelle pieghe dell’umanità con l’amore di Dio rappresentato da Cristo, capace di riscattare tutto, anche l’oscurità più grave, anche il peccato che sembra imperdonabile.
 
Ecco, cari fratelli e sorelle, che cosa significa per noi celebrare l’assunzione di Maria. Con i sentimenti che nascono nel nostro cuore, così possiamo continuare a pregare celebrando questa Eucaristia.
 
(trascrizione da registrazione)