Giovedì Santo – Messa nella Cena del Signore

17-04-2014
Care sorelle e cari fratelli,
in questa celebrazione nel ricordo dell’ultima cena, riceviamo da Gesù un dono e un esempio. 
 
Il dono è quello del pane e del vino, che stanno tra le sue mani, che Gesù consegna ai suoi perché ne mangino e ne bevano, con le parole che contrassegnano il cuore dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo dato per voi. Questo è il sangue della nuova ed eterna alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”. Il dono, dunque dell’Eucaristia. Il dono dell’amore di Dio che viene disegnato concretamente nella storia di Gesù e in questo gesto supremo dell’offerta della sua vita per noi. È la vita di Dio. 
 
Quella stessa sera, quella stessa notte, Gesù ci consegna anche un esempio. È rappresentato dal gesto della lavanda dei piedi dei suoi discepoli che si conclude appunto con questa ulteriore consegna: “Anche voi fate come io ho fatto a voi”.
 
Noi questa sera vogliamo accogliere con una fede più intensa il dono che Dio ci ha lasciato nella persona di Gesù, nel pane e nel vino che sono il suo corpo e il suo sangue e vogliamo raccogliere il suo esempio.
 
La prima considerazione che non vogliamo dimenticare è questa: il dono non può essere separato dall’esempio. Nella misura in cui riteniamo di accogliere il dono, sentiamo l’urgenza di seguire l’esempio. Nella misura in cui avvertiamo la verità di quell’esempio, noi sentiamo l’urgenza di ricevere il dono di Dio.
 
Alla luce di questa considerazione vorrei lasciarvi tre piccole indicazioni.
 
La prima. Noi abbiamo contrassegnato lo sviluppo della nostra società con una organizzazione sempre più raffinata dei servizi. Organizzazione dei servizi che hanno preso in considerazione i bisogni sempre più avvertiti della società. E certamente dei più deboli nella società. Questa idea dell’organizzazione dei servizi è entrata in maniera interessante anche nella comunità cristiana e noi in questi decenni (ma se prendiamo l’esempio di tanti santi e di tanti istituti religiosi dobbiamo dire in questi secoli) abbiamo organizzato sempre più la carità. Direi che siamo contenti di questo. Riteniamo che la nostra capacità da cristiani di organizzare la carità della comunità cristiana sia un segno assolutamente positivo di fedeltà al Vangelo, di conoscenza di ciò che il dono esige. Non si può separare il dono dall’esempio.
 
Stasera però Gesù ci ricorda che l’organizzazione della carità nella comunità cristiana non può assolutamente prescindere dall’impegno personale di ciascuno. Non c’è delega, non c’è organizzazione che tenga. L’organizzazione della carità cristiana – a meno che non diventi qualche cosa di totalmente lontano rispetto alla vita della comunità – è qualcosa che impegna personalmente. Nel gesto di Gesù che compie la lavanda dei piedi ci sta proprio questa indicazione: nessuno può delegare ad altri il personale impegno all’esercizio della carità, del servizio, dell’amore. 
 
La seconda considerazione è rappresentata da questa consapevolezza – che stasera si alimenta ulteriormente – dell’unità necessaria tra corpo, anima e cuore. Noi a volte abbiamo separato queste dimensioni della nostra vita umana.
 
Corpo, anima e cuore: una carità soltanto spirituale, una carità soltanto materiale, una carità soltanto organizzata sono insufficienti. C’è bisogno di tutte le dimensioni della vita umana e c’è bisogno di mantenerle unite. 
 
Questo ci fa pensare che non ci può essere fede senza carità. Non ci può essere amore di Dio senza amore del prossimo, ma nello stesso tempo ci fa pensare che non ci può essere amore del prossimo senza amore di Dio. Questo facciamo un po’ più fatica a pensarlo perché vediamo tante persone che non credono in Dio e che pure esercitano l’amore del prossimo. Proprio qui sta lo sguardo del cristiano: riconoscere anche nel gesto di chi non crede l’esercizio dell’amore di Dio proprio nel momento in cui ama il proprio prossimo. Dio è amore e ogni gesto d’amore dice riferimento a Lui, che uno ci creda o che uno non ci creda. Non separiamo l’amore dalla fede. Non ci può essere fede senza amore, ma non ci sarà amore senza fede.
 
La terza indicazione è questa. Noi viviamo i giorni della Pasqua di morte e risurrezione e veramente  è una meraviglia. Proprio dall’amore che si dona, addirittura fino alla morte – e a volte non è la morte finale, non è nemmeno la morte eroica, ma è la morte di ogni giorno, la disponibilità: il dono di sé che comprende anche quelle rinunce che noi compiamo ogni giorno -,  proprio da questo amore donato si apre una nuova umanità, nasce un uomo nuovo, nasce un mondo nuovo.
 
L’esercizio della carità in nome di Cristo è proprio una primizia della risurrezione. 
 
Il Cristo risorto fa germogliare i fiori della risurrezione e ogni volta che si compie un gesto d’amore, d’amore gratuito, d’amore per chi è nel bisogno, lì noi vediamo una primizia di risurrezione. La risurrezione è proprio la primavera di una umanità nuova. I gesti dell’amore sono i germogli di questa primavera.

 

(trascrizione da registrazione)