Giovedì Santo – Messa Crismale

17-04-2014
Cari Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, sorelle e fratelli nel Signore, care ragazze e ragazzi che riceverete il Sacramento della Cresima, a tutti voi un saluto affettuoso.
 
Un ricordo speciale per i sacerdoti anziani e malati, per i fidei donum, per i sacerdoti che sono al servizio oltre i confini della nostra diocesi in Italia, in Europa, presso la Santa Sede e la Conferenza Episcopale. Desidero invitarvi a condividere la mia gioia per la presenza della comunità del Seminario, pregando il Signore che la arricchisca con nuove vocazioni. Benediciamo il Signore per i sacerdoti che celebrano anniversari giubilari e esprimiamo a loro affetto e riconoscenza. Ricordiamo i sacerdoti che hanno rinunciato al ministero e coloro che stanno vivendo un momento delicato e sofferto della vita sacerdotale. Affidiamo alla bontà misericordiosa del Signore i nostri confratelli defunti, quest’anno particolarmente numerosi. Permettete di esprimere il nostro affetto e le nostre felicitazioni a mons. Loris Capovilla, “giovane” Cardinale di Santa Romana Chiesa.
 
Questo giovedì santo lo viviamo nella consapevolezza dell’imminenza della Canonizzazione di Papa Giovanni XXIII. Una grande gioia per il mondo e la Chiesa, una particolarissima gioia per la nostra diocesi. Tanti sono gli sguardi che possiamo rivolgere alla figura di Papa Giovanni, particolarmente io vorrei consegnarlo oggi a tutti noi come un “SEMINATORE DI SPERANZA”. Pastore, sacerdote, vescovo e finalmente Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa Universale, in ogni luogo seminatore di speranza. Che questa immagine possa arricchire il nostro servizio sacerdotale. Ci siamo preparati lungamente, avendo anche vissuto lo scorso anno il cinquantesimo della sua morte. 
 
La preparazione finale, insieme all’arricchirsi della conoscenza di lui e della preghiera, è particolarmente connotata dall’IMPEGNO DELLA CARITA’. Questa “seminagione di speranza” si esprime attraverso due segni con cui caratterizziamo la preparazione prossima all’evento della proclamazione della santità di Papa Giovanni. Altri li ricorderò nelle prossime celebrazioni di questo Triduo Santo.
 
Il primo segno è rappresentato dall’invito che vi rivolgo con convinzione a METTERE A DISPOSIZIONE UNA NOSTRA MENSILITA’. Non semplicemente per aiutare famiglie, disoccupati, persone che vivono la precarietà oggi anche della loro abitazione, ma soprattutto per alimentare la speranza. Questo gesto non vogliamo concepirlo come “una tantum”, come un gesto isolato che ci può far sentire bravi, che ci può costare ma che alla fine riguarda soltanto noi, ma vogliamo che sia un processo generativo, che investa la nostra vita e la nostra testimonianza. Non vogliamo farci pubblicità ma alimentare un processo di crescita della solidarietà orizzontale che credo del tutto necessario ad affrontare e superare il momento ancora molto difficile per tanti, soprattutto i più deboli e i più poveri. Certamente sono necessari provvedimenti che vanno oltre ogni nostra competenza, anche se richiedono la nostra coscienza civile. Nello stesso tempo è necessario superare quelle forme di chiusura che abbiamo coltivato in questi decenni e soprattutto in questi ultimi, e che ci hanno portato in questa condizione. Per cui il segno che noi compiamo vuole essere un incoraggiamento, vuole essere l’aprire un altro tratto di strada a quella solidarietà quotidiana tra persone, tra famiglie, tra quartieri, tra comunità, tra borghi, di cui abbiamo assolutamente bisogno. 
 
Proprio per questo il secondo segno è quello della GIORNATA PARROCCHIALE DELLA CANONIZZAZIONE. La Canonizzazione vedrà una bella presenza di pellegrini bergamaschi a Roma, ma la maggior parte rimarrà nelle nostre case e nelle nostre parrocchie. L’invito è a vivere la giornata della Canonizzazione, insieme, in ogni parrocchia, con la celebrazione eucaristica, con momenti che possono essere anche di convivialità e di festa, con l’attenzione alla visita gli ammalati e al cimitero, ma soprattutto con il gesto della raccolta delle offerte per il fondo famiglia–lavoro–casa. È l’invito a mettere a disposizione qualcosa di proprio, a rinunciare a qualcosa di proprio da parte di tutti. Può essere piccolissimo. Serve per alimentare questi processi generativi che creano speranza, offrendo solidarietà.
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Abbiamo celebrato pochi giorni fa i funerali di Mons. Giuseppe Vavassori, uno dei preti più anziani della nostra diocesi, molto caro. Con la sua morte si è verificato un fatto che ha un valore simbolico, ma non solo. Il nostro presbiterio è sceso sotto la soglia degli 800 preti: attualmente siamo 799. È un segno. Non vorrei che fosse interpretato in termini semplicemente quantitativi. Certamente ci fa riflettere. Stiamo lavorando anche in direzioni di soluzioni pastorali che tengano presente questo fatto, ma tutto non ci può sottrarre alla riflessione sulla QUALITA’ delle nostre esistenze sacerdotali e del nostro presbiterio. 
 
La stessa preghiera e proposta vocazionale al sacerdozio che dobbiamo perseguire con profonda convinzione, non sono dettate soltanto da criteri quantitativi.
 
Alla luce della canonizzazione di Papa Giovanni accogliamo per primi l’appello del contadino del Malawi – che cito all’inizio della lettera pastorale – che riconduceva il dono della reliquia del Santo Papa all’impegno della comunità del villaggio a diventar santi. Lo stesso Papa Francesco, quando lo abbiamo incontrato nel pellegrinaggio diocesano, e io mi permettevo un paragone tra lui e Papa Giovanni mi sussurrava: “Mi manca la santità”. Questa è la qualità che senza tentennamenti, senza dubbi, siamo chiamati a coltivare: la dimensione quotidiana della santità.
 
In queste settimane ha fatto notizia la rinuncia all’esercizio del ministero sacerdotale da parte di due nostri fratelli, con motivazioni diverse che ugualmente hanno ci hanno turbato e addolorato, e con noi tutta la comunità. Li portiamo nel cuore e nella preghiera. Alla luce dell’appello alla santità sacerdotale, questi fatti ci inducono ad un serio esame di coscienza personale, presbiterale ed ecclesiale. Ma questo non basta. Occorre che insieme ci aiutiamo in un cammino permanente di conversione evangelica; in un’assimilazione ancor più profonda dei criteri dell’amore e del perdono come connotativi della testimonianza sacerdotale. Siamo convinti che lì dove portiamo la croce seguendo Gesù, i frutti di risurrezione non possono mancare e vi posso testimoniare che già vedo germogliare, anche in questa situazione, primizie della risurrezione.
 
Alla luce di queste considerazioni dico a voi quello che spesso in questi anni abbiamo ripetuto a tanti (l’ultima volta che l’ho detto mi rivolgevo ad una mamma in ospedale con il suo bambino in situazione molto grave): NON ABBIATE PAURA! Stiamo nelle nostre paure insieme al Signore e la tempesta non diventerà disperazione. Stiamo con il Signore e alimentiamo con maggior convinzione la fraternità tra noi, che non escluda altri, ma ci permetta di condividere la nostra vita e la nostra missione con le sue gioie e le sue sofferenze.
 
Un secondo appello: METTIAMO ORDINE NELLA NOSTRA VITA! Aiutiamoci fraternamente in questo. Una vita disordinata esteriormente e soprattutto interiormente, personalmente ed ecclesialmente non può essere giustificata con lo zelo. In realtà ci disperdiamo in mille cose e spesso l’essenziale, che pure ci sta a cuore e avvertiamo assolutamente necessario, rimane come una lettera d’amore che avevamo cominciato a scrivere ed è stata poi sommersa da mille altre “pratiche”.
Il terzo appello: DIVENTIAMO PRETI CAPACI DI VANGELO! Mi permetto di declinarlo in tre modi.
 
Una umanità capace di Vangelo. Quello spessore umano che diventa una meraviglia nel momento in cui accoglie il Vangelo.
 
Nel sinodo diocesano del 1957, parlando al clero veneziano, in una sintesi efficace il Cardinal Roncalli delinea lo stile pastorale con il quale il prete è chiamato a manifestare la vicinanza della Chiesa ai fedeli: 
«Sapersi presentare bene; accogliere con garbo; trovare la parola semplice ma ornata, adatta a ciascuno; essere breve senza fretta; avere il più vivo interessamento per i problemi e le situazioni morali o psicologiche di ciascuno; mostrarsi al corrente delle situazioni del giorno, senza atteggiarsi a commercianti, economisti, sindacalisti, politici; sorridere con chi è contento e affliggersi con chi soffre; e saper passare con naturalezza dall’assistenza ai ragazzi del patronato al confessionale e all’altare. Convengo che è impresa ardua, che non si potrebbe tentare senza l’aiuto di Chi vuole concedere l’intelligenza e la forza di farsi tutto a tutti, come san Paolo: “Omnia omnibus factus”».
Diventare preti capaci di Vangelo significa coltivare questa umanità, ma anche riconoscere che la nostra umanità per grazia è resa capace di Vangelo.
 
Una umanità resa capace di Vangelo. La festa della Dedicazione della Chiesa è particolarmente solenne: la comunità dedica a Dio uno spazio privilegiato ed esclusivo. La festa dell’Ordinazione sacerdotale è ancora più grande perché in questo caso è Dio che si consacra uno spazio privilegiato ed esclusivo nella persona e nella vita di colui che diventa sacerdote. Non possiamo dimenticare che il nostro sacerdozio ministeriale non può essere ridotto semplicemente alla dimensione del servizio inteso in termini funzionali, ma si fonda ed alimenta alla dimensione sacramentale e dunque è il Signore stesso, che per opera del suo Spirito ci consacra per sempre. Dallo Spirito, la nostra povera umanità è resa capace di diventare sacramento della sua grazia. Preti capaci di Vangelo: una umanità resa dello Spirito capace di Vangelo.
 
Infine, una umanità (quella del prete) che rende capaci di Vangelo.
Si parla ancora in questi giorni di quel terribile contagio che ha preso il nome di Ebola che si è portato con sé anche sei suore carissime che fanno riferimento alla nostra diocesi in maniera molto particolare. Diventiamo persone capaci di Vangelo attraverso una umanità capace di contagiare di Vangelo. Ancora le parole di Papa Giovanni:
«A misura che gli anni si moltiplicano, scorgerete quanto tesoro di saviezza nei consigli e nella pratica viene dalla esperienza. Il fervore non diminuisce, ma riceve chiarezze inaspettate: una tendenza più decisa a riflettere, alla calma, alla indulgenza; una più grande cura nel dire la Messa; una semplicità più schietta in tutti i rapporti; un gusto più immediato nell’esercizio della liturgia; una spontaneità più suadente nel trasmettere il messaggio evangelico, che è poi la buona dottrina di cui siamo i depositari, a quanti si accostano a noi e la domandano con ansietà fra le gravi incertezze presenti. … » (Lettera del 10 agosto 1947 a don Lorenzo Dossi, arciprete di S. Pellegrino)
 
Cari fratelli – particolarmente sacerdoti, vescovi e diaconi – vi è un ultimo ricordo.
All’inizio di aprile la prima commissione della Congregazione dei Santi ha avviato il riconoscimento ufficiale delle virtù eroiche di don Antonio Seghezzi. In un telegramma di Angelo Roncalli a Mons. Spada, all’indomani della sua nomina cardinalizia, che coincideva con il ritorno a Bergamo delle spoglie mortali di don Antonio Seghezzi, lui (Angelo Roncalli) scriveva così mettendo in relazione il suo cardinalato con la testimonianza di Seghezzi: “Siamo tutti germogli di uno stesso ceppo: il nuovo cardinale e il giovane prete, ambedue riservati, ciascuno alla sua ora, al sacrificio per la Chiesa, per la fraternità umana e per la fraternità cristiana”.
 
Carissimi fratelli, mi piace questa immagine. Penso alla storia della nostra Chiesa e della nostra comunità come questo ceppo continuamente capace di germogliare. Lo ripeto a tutti voi: “Siamo tutti germogli di uno stesso ceppo, la Chiesa bergamasca, antica e sempre capace di vita, “riservati, ciascuno alla suo ora, al sacrificio per la Chiesa e per la fraternità umana e cristiana”.
 
Buon Giovedì Santo, Buona Pasqua.