Giornata per la Vita Consacrata

Cattedrale
02-02-2020

Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno. Eb 4, 15-16

Ci è proposto un invito: accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia. Avvertiamo il fascino di questo invito: le immagini del trono e della grazia evocano qualcosa di buono, di decisivo, di vitale. Noi sappiamo che questo qualcosa, in realtà è qualcuno, è Lui, è il Signore Gesù. La Giornata mondiale della vita consacrata è segnata da questo invito: accostiamoci a Lui, torniamo a Lui, stiamo con Lui, come Anna che “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”.

In momenti difficili, impegnativi, che ci espongono allo scoramento, alla paura, uno dei criteri fondamentali è quello di ritornare a ciò che è essenziale e fondamentale. Gesù Cristo è l’unica ragione che giustifica la vita consacrata. Le consacrate e consacrati vivono ogni giorno, con la consapevolezza che il Signore Gesù non è soltanto un rifugio che ci ripara dalla violenza del tempo, ma che soprattutto è sorgente di vita, di gioia, di speranza irriducibile.

Noi crediamo e dunque viviamo sapendo di “avere un futuro”: il Crocifisso Risorto ci dona un futuro, perché Lui stesso è il futuro. Dare un futuro alla vita consacrata non è opera nostra: il Risorto e il suo Spirito aprono il futuro e al futuro. Il Risorto ci precede nel tempo, nello spazio, nella storia e oltre la storia e il suo Spirito, lo Spirito Santo ci sospinge. Nulla toglie alla nostra libertà e responsabilità e tutto dona alla nostra attesa di novità, di luce, di vita.

In un passaggio storico che sembra tentarci al ripiegamento deluso e a volte incattivito alla depressione esistenziale e pastorale, noi ci riproponiamo di coltivare con rinnovata energia la virtù della speranza, riconoscendo in Lui la sorgente della nostra speranza. Non è questo il tempo del “compimento”, ma dell’attesa, del cammino e dunque della speranza.

Quali sono le caratteristiche e le condizioni di questo cammino della speranza? La prima condizione è la passione. Ritornare all’essenziale, ritornare al Signore Gesù è per ogni cristiano, ma in modo speciale per la persona consacrata, ritornare al primo amore. Primo nel tempo, primo nel cuore. Quante persone abbiamo amato, ma nessuna ha preso il suo posto e se lo avesse preso, oggi abbiamo la grazia di tornare a Lui.

E’ Lui, per noi, la sorgente di ogni amore: ci siamo consacrati a Lui, perché il suo amore è il più grande di tutti e alimenta un amore capace di raggiungere ciascuno. La passione dovrebbe essere il linguaggio dei consacrati. Senza passione la vita consacrata diventa scipita, insipida, inutile.

Abbiamo udito: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno”. Questo è il momento opportuno, per essere aiutati da Lui, per raccogliere le possibilità che il suo amore ci riserva.

Il ritorno a Lui, rinnova il sentimento della meraviglia e dello stupore. Lo stupore e la meraviglia contrassegnano i sentimenti di coloro che seguono e stanno con Gesù. Stupore e meraviglia alimentano passione, provocano decisione, sostengono coraggio e gioia. Soltanto se stupiti, sapremo stupire e sapremo stupire non di noi, ma di Lui. Ad una umanità che cerca novità, non proponiamo qualcosa di antico, che invecchia ed annoia, ma un’umanità nuova, capace di stupire anche nella debolezza della vecchiaia e della malattia di non poche persone consacrate. Solo a partire dallo stupore possiamo diventare «gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo» (EG 168).

Un’altra opportunità ci dona il ritorno a Lui: quella di essere dove è Lui. Quella di andare e stare nelle terre esistenziali dell’umanità, fino ai confini del mondo e dell’umanità, quelle “periferie esistenziali” che tanto hanno connotato la testimonianza dei Santi Fondatori e il carisma che voi ancora incarnate. Gli Istituti religiosi non sono nati da uno sguardo narcisista o da una riflessione puramente teorica, ma dall’aver frequentato le periferie, dall’incontro, corpo a corpo con le persone più vulnerabili, per occuparsi delle ferite e dei dolori degli uomini e delle donne.

“Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato”. Donne e uomini consacrati, avviciniamoci a questo sommo sacerdote che “compatisce” le nostre infermità condividendole: sia la nostra testimonianza caratterizzata da questa “compassione evangelica”, così che l’umanità che ci è affidata possa meravigliarsi per la sorpresa, la vita e la gioia donata da quel Signore Gesù al quale ci siamo consacrati.