Domenica delle Palme – Cattedrale

24-03-2013
Cari fratelli e sorelle,
la grande partecipazione al primo momento di questa celebrazione che ci introduce alla settimana santa – la distribuzione degli ulivi, la benedizione e poi il cammino verso la nostra chiesa Cattedrale – è un segno che mi fa pensare. Come pure il grande silenzio che abbiamo condiviso nel momento dell’annuncio della morte del Signore. Credo che ognuno porti nel cuore preghiere ma anche riflessioni.
 
Certamente portiamo nel cuore un’attesa. In questi giorni, in questi mesi, in questi anni stiamo condividendo anche se in modi diversi un’attesa. L’attesa della conclusione di questo momento difficile. È vero, ognuno ha delle proprie attese, ma la conclusione di questo momento difficile è come se ci accomunasse nell’attesa. Peraltro un’attesa vissuta in maniere molto diverse: a volte con sconcerto, qualche volta con disperazione, altre volte ancora con rassegnazione, altre con rabbia, altre volte con quella determinazione che pure ci è rimasta nel porre segni che appunto avvicinino il superamento di questo periodo difficile.
 
In ultima analisi l’ingresso di Gesù in Gerusalemme accompagnato da questi canti che pure noi abbiamo innalzato al Signore, canti festosi – “benedetto colui che viene nel nome del Signore” – dicono un’attesa connotata dalla speranza.
 
E come si realizzerà questa speranza? Ecco che quasi improvvisamente il clima cambia, si passa dalla luminosità dell’ingresso in Gerusalemme, particolarmente tersa anche perché molto delicata: Gesù non entra come un re nel momento del suo trionfo, – abbiamo davanti immagini di trionfi di re e imperatori a conclusione delle loro battaglie -, ma Gesù entra a dorso di un asino, entra fra le grida di gente umile, entra non come il re guerriero ma piuttosto come un uomo di pace.
 
Effettivamente quella speranza che già Gesù aveva alimentato con le sue parole e con i suoi gesti sembra appunto giungere al momento in cui si compirà, poi in realtà tutto cambia. L’abbiamo ascoltato con grande raccoglimento: la passione del Signore.
 
In realtà è il modo con il quale Gesù realizzerà la risposta all’attesa è un modo sconvolgente, per alcuni inaccettabile, uno scandalo, un momento di dispersione e di buio. Eppure Gesù continua a illuminare anche questa notte con parole che sembrano impossibili, sono le parole del perdono. Abbiamo udito in questa testimonianza dell’evangelista Luca scandire i momenti drammatici della passione con le parole del perdono: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” e poi il bellissimo dialogo sulla croce, quindi in condizioni inimmaginabili, con colui che è condannato insieme: “oggi sarai con me nel paradiso”.
 
Cari fratelli e sorelle, nella processione che abbiamo compiuto abbiamo ripetuto il gesto di accompagnare Gesù. Sì, ci siamo fatti compagni di viaggio di Gesù. Alla fine però scopriamo che è Gesù che ha scelto di farsi compagno di viaggio delle nostre esistenze per sempre. E la testimonianza, la consegna di quello che stiamo dicendo è proprio la sua passione, morte e risurrezione. Nella croce Gesù si lega a noi per sempre. Si è legato a noi diventando uomo, ma come abbiamo udito dall’Apostolo questo legame con noi trova il suo momento culminante appunto nella sua passione e morte in croce.
 
L’attesa del superamento di questo momento difficile a volte è connotata dallo smarrimento e dalla solitudine. È un po’ il frutto anche di alcuni criteri a partire dai quali abbiamo impostato le nostre esistenze e forse ci hanno proprio portato a questo momento difficile: i criteri di una libertà interpretata in termini che ci hanno allontanato gli uni dagli altri. Qui sta il superamento di questa autosufficienza nella quale forse ci siamo un pochettino perduti, pensando che ognuno potesse affermare se stesso quasi indipendentemente dagli altri, a volte addirittura sfruttando gli altri.
 
La croce è un abbraccio. La croce dice un legame che si stabilisce per sempre. I chiodi dicono appunto di qualche cosa che Cristo decide per sempre, unendosi alla nostra umanità e alla nostra umanità anche nella croce, anche nella morte, anche lì dove sembra che la speranza non abbia più alcuna ragione.
 
Noi abbiamo accompagnato Cristo, ma per scoprire alla fine che Cristo ha deciso di accompagnarsi ad ogni uomo, ad ogni donna, ad ogni creatura con quell’amore indissolubile che appunto il segno della croce ci testimonia.
 
Raccogliamo il grande insegnamento della passione: diventi questo amore di Cristo il motivo della nostra speranza e la rigenerazione di una forza interiore che siamo chiamati a esercitare come lui, noi stessi, alimentando legami gli uni con gli altri per cui nessuno si senta abbandonato nella sua croce. Legami che possano costruire nuovamente una comunità nella quale tutti, cominciando da quelli che fanno più fatica, possano intravedere ragioni profonde e forti di speranza.
 
(trascrizione da registrazione)