Giovedì Santo – Messa Crismale

28-03-2013
Cari fratelli,
 
rinnovo il mio saluto affettuoso e riconoscente a tutti voi: ai Vescovi (al Cardinal Julio Terrazas, a Mons. Lino e a Mons. Gaetano), a tutti i sacerdoti, religiosi, diaconi, alla comunità del Seminario, certamente anche da parte mia il saluto affettuoso a coloro che celebrano anniversari significativi. Permettete di ricordare Mons. Servilio Conti, da 45 anni Vescovo missionario, Mons. Bonicelli da 65 anni prete e i più anziani di ordinazione che ricordiamo nel 70mo di Mons. Pagnoni e di Mons. Vavassori. Il ricordo va a tutti coloro che non sono qua con noi: in particolare gli anziani, gli infermi, i malati. Penso ai nostri confratelli “fidei donum”, a tutti i missionari in Europa e in Italia, ai sacerdoti che sono in servizio nella Chiesa italiana e universale. Saluto e ricordo nella preghiera coloro che non esercitano più il ministero. Finalmente il ricordo va a tutti i sacerdoti defunti, particolarmente a quelli deceduti in questo ultimo anno.
 
Un saluto a tutti voi, cari fratelli e sorelle, che partecipate a questa celebrazione della Messa Crismale in cui noi sacerdoti rinnoviamo la riconoscenza per il dono che abbiamo ricevuto e di nuovo, davanti al Signore, dichiariamo la nostra volontà di corrispondergli con l’aiuto della sua misericordia.
 
Un saluto particolare ai ragazzi e alle ragazze che si stanno preparando a ricevere il sacramento della cresima.
 
Tra questi saluti permettete di ricordare con una gratitudine speciale Papa Benedetto e di ricordare al Signore con un saluto augurale Papa Francesco. Siamo consapevoli di vivere un momento speciale della vita della Chiesa. Scrivevo nella lettera che vi ho inviato, parlando di Papa Benedetto: “La sua decisione è lontanissima da un ripiegamento. Si tratta piuttosto di un modo essenziale e determinante di stare presso la croce di Gesù”. Continuavo: “Ora il Signore ci ha donato un nuovo Papa per il bene della Chiesa e del mondo: il suo nome è Francesco. Si è presentato con la forza dell’essenzialità evangelica e della preghiera, immediatamente capace di suscitare la speranza in tutti”. Viene – come diceva lui – dall’altra parte del mondo, dai confini del mondo, viene da questo continente che ci è particolarmente caro e che oggi con gioia vediamo in modo speciale rappresentato dal Cardinale Julio.
 
Non possiamo dimenticare, tra questi eventi così eccezionali, che stiamo celebrando l’anno anniversario dell’apertura del Concilio, nel 50mo della morte del nostro carissimo Papa Giovanni. Diverse iniziative che in questo anno lo stanno ricordando e la visita molto consistente da parte di tante parrocchie a Sotto il Monte ci dicono di questo legame, ma ci dicono anche di come la sua persona parli ancora, abbia tante parole di fede da consegnare al popolo di Dio e all’umanità. In questa cornice anche il pellegrinaggio diocesano che ci porterà il 3 giugno a celebrare sulla tomba in San Pietro mi sembra che non sia un’iniziativa puramente esteriore.
 
Non dimentichiamo che tutto questo Papa Benedetto l’ha voluto sintetizzare nella proposta dell’Anno della Fede. Una fede che proclameremo in maniera condivisa e solenne al termine dell’omelia, cantando insieme le parole del Credo.
 
È proprio alla luce di tutto questo e particolarmente di questa sottolineatura della condizione della fede che vorrei soffermarmi su noi preti al servizio della fede del popolo di Dio. Questo è il mandato che abbiamo ricevuto.
 
Infatti, “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”, dice l’Apostolo. “Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno se non sono stati inviati?”. “Lo Spirito del Signore è su di me, egli mi ha mandato”. Mi ha mandato al servizio della fede del popolo di Dio.
 
Come servire la fede? Adotto una immagine che può far sorridere qualcuno perché sa che mi è particolarmente cara.
 
Vedo il prete come “narratore della fede”.
 
Colui che non soltanto racconta il che cosa della fede, ma soprattutto il chi della fede. Racconta non solo la propria fede, ma racconta la propria fede insieme alla fede della Chiesa. La nostra fede per personalissima non sarà una fede diversa da quella della Chiesa.
 
Il prete come narratore della fede certamente con le parole. Le parole del Signore. Sono queste che la gente attende dalla nostra bocca, dalla nostra voce, dalla nostra intelligenza, dal nostro cuore, dalla nostra fede.
 
Ma non solo con le parole. Narriamo la fede nel Signore Gesù con i nostri gesti. Quei gesti che con tanta simpatia e sorpresa stiamo ammirando nella persona di Papa Francesco. Insieme alla parole sono necessari i gesti. Soprattutto i gesti santi che il Signore ci ha affidato.
 
Neanche i gesti bastano. Alla fine la vera narrazione avviene certamente sia con le parole, sia con gesti che ci superano, ma ambedue non possono prescindere dall’intera nostra vita. Noi siamo chiamati “per sempre”, nel senso non solo temporale del termine: “tutta” la nostra vita è chiamata, qualsiasi aspetto della nostra vita è “mandato”. La nostra vita diventa narrazione della fede.
 
È una narrazione che parte da ciascuno di noi, ma non finisce in noi. Il Papa ci invita a superare ogni autoreferenzialità. L’autoreferenzialità della Chiesa, ma anche l’autoreferenzialità della vita di ciascuno di noi. Certamente la fede ha bisogno di noi, la fede che noi narriamo scaturisce dalla nostra esperienza di Cristo, ma non finisce in noi: è per il popolo, è per la Chiesa, è per il mondo.
 
Questo superamento dell’autoreferenzialità non avviene soltanto in una prospettiva missionaria, ma avviene nel segno di una trasparenza. Non saremo noi a narrare noi stessi, ma narreremo della fede per narrare di Cristo in noi, di Cristo nella Chiesa, di Cristo nella storia del mondo.
 
Questo prete che è “narratore della fede”, non narra soltanto la sua fede e la fede della Chiesa, ma narra la fede di tutti coloro che incontra, di tutti coloro che credono. Il prete è una specie di raccoglitore, oltre che di seminatore. Un raccoglitore della fede di tanti che nella sua vita incontra, di quella fede che a volte gli sembra addirittura più grande della sua. La raccoglie e la ridistribuisce. Questo è il nostro ministero.
 
Raccogliamo la fede delle persone che incontriamo, delle persone che ascoltiamo, delle persone con le quali condividiamo la fede che abbiamo ricevuto. È per tutti noi una gioia poter narrare la fede di tanti che hanno fatto parte della nostra vita, che tuttora ne fanno parte, che formano le nostre comunità.
 
Il prete è narratore anche – e sembrerebbe paradossale – della fede di chi non crede. Non sono in grado di argomentare attorno alla figura del cristiano anonimo, ma posso certamente ricordare la pagina evangelica del giudizio, di coloro che verranno giudicati perché hanno dato da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, hanno vestito gli ignudi, visitato malati e carcerati, accolto gli stranieri. Cari fratelli, certamente anche chi non crede – in qualche modo appunto attraverso questi gesti, che Cristo stesso indica come decisivi – ci narra paradossalmente in qualche modo della fede in Cristo. Ci dicono come la fede, alla fine, viene narrata soprattutto dall’amore, dalla carità. Permettete, non soltanto dall’organizzazione della carità, ma dal cuore che diventa anima di ogni gesto di carità. Quel cuore che, pur dando forma a volte a una carità così intensamente organizzata come siamo capaci nella nostra diocesi, non rinuncia a guardare il povero negli occhi.
 
Con questa consapevolezza, con questa sensibilità che mi permetto di richiamare, vorrei sottoporvi la proposta innanzitutto di rilanciare la nostra partecipazione al “Fondo Famiglia Lavoro”. Se quattro anni fa avevo chiesto un segno particolare in questo senso, oggi noi siamo tutti testimoni di una situazione che si è aggravata notevolmente. Allora, cari fratelli, proprio col nostro cuore, non soltanto col cuore della comunità e delle organizzazioni di cui siamo capaci di diventare promotori, vogliamo predisporre un gesto di generosità, di partecipazione e di solidarietà con le famiglie che vivono in questo momento particolari situazioni di precarietà.
 
Vorrei proporre una giornata comunitaria parrocchiale di sensibilizzazione in questa direzione. Sapete che mi è caro il tema della “solidarietà orizzontale” e allora mi sembrerebbe opportuno che nel periodo pasquale – daremo delle indicazioni più precise – le nostre comunità vivano una giornata di consapevolezza e di risposta a questo tema di una povertà che investe i più deboli. Una giornata non solo di raccolta di fondi, ma soprattutto di consapevolezza di che cosa il Signore ci chiama a testimoniare nei confronti dei più poveri.
 
La narrazione della fede ci vede chiamati e mandati. La nostra narrazione è inscindibile dalla fede della Chiesa, dalla narrazione della fede di chi crede e addirittura dalla narrazione della fede di chi non crede attraverso il gesto della carità.
 
Concludo immaginandoci, non per merito ma per grazia, “maestri della narrazione della fede”. Insegniamo a narrare la fede. Questo itinerario che mi ha portato a incontrare tanti catechisti – che qui davanti a voi ancora desidero ringraziare di cuore per il loro servizio – mi porta a dire che la nostra responsabilità è grande. Non è un peso, è una responsabilità gioiosa: quella di insegnare a narrare la fede.
 
La trasmissione della fede è qualche cosa di decisivo nella vita della Chiesa, è qualche cosa che ha a che fare con l’azione misteriosa dello Spirito Santo e con la presenza del Cristo Risorto in mezzo a noi.
 
Cari fratelli sacerdoti, noi viviamo della fede del nostro popolo, che il popolo possa vivere della nostra fede. 
(trascrizione da registrazione)