Corpus Domini – Celebrazione Eucaristica – Chiesa dei Cappuccini

04-06-2015
Care sorelle e cari fratelli,
in questa Eucaristia che apre una giornata speciale per noi e per le nostre comunità, vorrei invitarvi a riflettere attorno alla capacità eucaristica di cui ho parlato nella mia lettera pastorale e particolarmente vorrei tentare di rispondere a questa domanda, alla quale certamente durante l’anno avete avuto occasione di dare risposta nelle vostre comunità: che cosa significa essere capaci di Eucaristia?
 
Innanzitutto mi sembra che significhi di essere capaci di celebrare l’Eucaristia. Alcuni di noi hanno imparato a celebrare il rito dell’Eucaristia in condizioni diverse da come la si celebra oggi. Le generazioni più giovani hanno partecipato alla Messa sempre in questa forma, ma tanti di noi ricordano una forma diversa.
 
Potrebbe sembrare che imparare a celebrare l’Eucaristia sia una questione dei preti o di coloro che servono all’altare e devono conoscere alcuni momenti specifici o alcune azioni particolari. C’è una bellissima riflessione che Papa Benedetto – non ancora Papa – faceva in cui sviluppava questa idea: ci sono persone che pensano che quelli che vanno in Seminario alla fine devono studiare come si fa a celebrare la Messa. Certamente comunque è importante: i gesti che stiamo compiendo per la nostra fede sono importanti. La novità notevole è che questi gesti assumono sempre di più una caratteristica comunitaria. Abbiamo bisogno del prete per l’Eucaristia, però il prete non celebra l’Eucaristia da solo, perché il vero soggetto celebrante dell’Eucaristia è l’intera comunità rispetto alla quale il prete svolge la funzione di presidente. È una presidenza caratterizzata dal sacramento dell’ordine che ha ricevuto e quindi da questo misterioso potere (“misterioso” perché ci supera in quanto viene da Dio) di compiere i gesti di Gesù insieme a tutta la comunità. Gli elementi di partecipazione che oggi caratterizzano la celebrazione eucaristica vanno in questa direzione e non sono solo una specie di moda di protagonismo democratico da parte di tutti. La comunità riceve il memoriale della Pasqua – che abbiamo udito nelle letture – e lo ripete nel nome del Signore, sotto la presidenza e la guida del sacerdote.
 
Capaci di Eucaristia significa dunque capaci di celebrare l’Eucaristia. Una persona che si affaccia alla nostra chiesa in questo momento dovrebbe vedere una assemblea capace di celebrare l’Eucaristia: non solo perché sa quel che bisogna fare o quel che si deve dire, ma soprattutto perché avverte uno spirito dentro la semplicità e la dignità dei gesti e delle parole. Avverte la fede. Avverte addirittura una presenza, che noi riconosciamo nella fede, ma che tutti dovrebbe cogliere che non siamo solo qui noi insieme, ma siamo qui a celebrare i misteri del Signore.
 
Lo ribadisco: capaci di celebrare l’Eucaristia con semplicità, senza ridondanze di altri tempi. Oggi noi amiamo maggiormente quella semplicità che dice dell’autenticità dei gesti che compiamo. Nello stesso tempo però la dignità: una celebrazione sciatta, abitudinaria, annoiata non corrisponde a una capacità eucaristica. Occorre dignità da parte dei preti (e tante volte mi viene ricordato da parte dei laici), ma anche da parte di ciascuno perché siamo insieme a celebrare l’Eucaristia.
 
Certamente ci sono dei momenti eccezionali. Penso in questo periodo alla celebrazione delle cresime nelle nostre parrocchie o delle prime comunioni: è un momento di festa anche per le famiglie. Anche l’eccezionalità non deve essere vissuta in maniera pesante: a volte per rendere solenne le cose moltiplichiamo parole e segni. La solennità dà la possibilità di sperimentare l’eccezionalità del momento, ma sempre appunto nel segno di quello che la celebrazione eucaristica vuole essere e vuole dire. Capaci di eucaristia significa essere capaci di celebrare l’eucaristia, che è certamente arte del sacerdote ma è anche arte di tutti coloro che vi partecipano.
 
Capaci di Eucaristia significa anche essere capaci di accogliere il dono eucaristico. Noi abbiamo la capacità di questa accoglienza. Ce lo può raffigurare l’immagine del contenitore, anche se può essere un po’ materiale. La nostra mente, il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra fede è capaci di accogliere il dono di Dio. È una cosa meravigliosa che la mia persona povera e fragile sia capace di accogliere il dono di Dio. È imparagonabile la figura di Maria che accoglie il dono di Dio: ma nella celebrazione eucaristica accogliamo in noi lo stesso Dio, lo stesso Cristo. Non dimentichiamolo: Maria ci ha reso capaci di questa accoglienza. A volte se dobbiamo ricevere una persona importante nella nostra casa siamo un po’ in agitazione o confessiamo di non essere all’altezza. Eppure noi siamo ogni giorno messi nella condizione di accogliere il dono di Dio che è lui stesso.
 
Questa capacità è resa possibile non dalla nostra intelligenza o dai nostri meriti o dalle nostre virtù per quanto alte, ma è proprio un dono di Dio: lui stesso ci ha reso capaci di questo. E ciò ci può rassicurare. È il dono del battesimo che abbiamo ricevuto che ci ha reso suoi figli. È il dono della sua grazia misericordiosa che perdona i nostri peccati. Una volta il rapporto tra Eucaristia e Confessione era quasi un rapporto meccanico: non ci si accostava a ricevere la comunione senza essersi confessati, oggi siamo entrati in una prospettiva diversa, a mio giudizio più evangelica, ma questo non significa cadere nella situazione opposta. Per poter essere capaci di ricevere il dono di Dio abbiamo bisogno della misericordia di Dio, abbiamo bisogno di vivere la relazione con Gesù per ricevere ancora una volta lui.
 
Capaci di accogliere il dono dell’Eucaristia significa essere capaci di accogliere la sua vita. Sono cose che conosciamo bene ma che dobbiamo continuamente ricordarci, perché poi queste cose i nostri figli, i nostri nipoti o chi guarda la fede un po’ da lontano le vogliono vedere. Quando noi diciamo capaci di Eucaristia, cioè capaci di ricevere il dono di Dio che è la sua stessa vita, poi però bisogna vedere questa vita. La vita di Dio noi l’abbiamo vista. Dove? Nell’umanità di Gesù. Lui ci lascia il suo corpo e il suo sangue. La gente che ci vede deve vedere il corpo e il sangue di Gesù: cioè nella nostra umanità vedere la vita di Dio.
 
Capaci di Eucaristia significa essere capaci di celebrare l’Eucaristia, di accogliere l’Eucaristia e infine significa essere capaci di diventare Eucaristia. È un momento di trasformazione e siamo sempre compresi nel momento della consacrazione del pane e del vino, ma sappiamo che noi stessi siamo trasformati dallo Spirito di Dio nel corpo di Cristo. È una trasformazione personale e comunitaria. Nella lettera pastorale ho cercato particolarmente di sottolineare la dimensione comunitaria dell’Eucaristia e della trasformazione eucaristica.
 
Qualche settimana fa ho incontrato i chierichetti che ogni anno partecipano all’incontro diocesano con un segno che devono costruire loro. Quest’anno dovevano costruire un ostensorio. Ne ho visti di tutti i tipi: non erano d’oro ma erano bellissimi. E loro erano molto orgogliosi. Ho detto loro che dovevano diventare degli ostensori viventi. Il rischio può essere quello di diventare semplicemente dei portatori di Cristo, come fa un ostensorio. Non basta. Noi stessi dobbiamo diventare Cristo. Non lo diventeremo da soli, ma lo diventiamo insieme. Non basta portare Cristo come faremo stasera nella processione o come possiamo fare con la nostra personale fede, bisogna vivere Cristo, lasciarci trasformare da Cristo in Cristo.
 
È in questa prospettiva che vorrei ricordare come quest’anno celebriamo la solennità del Corpus Domini a livello cittadino con una particolare attenzione alla vita consacrata. Anche il segno di essere qui in questa comunità dei Frati Cappuccini, vuole rappresentare tutte le persone consacrate. Il nostro trovarci è segnato da questa riconoscenza, simpatia, preghiera, riconoscimento al dono della vita consacrata: Appunto di persone che attraverso la risposta a questa chiamata del Signore ci rappresentano un segno della consacrazione. Noi diciamo “la consacrazione” eucaristica, così le persone consacrate attraverso la loro esistenza concreta, attraverso le loro scelte, il loro stile di vita, i loro carismi, i loro voti, ci consegnano l’immagine vivente di una consacrazione che è di tutti, ma noi chiediamo di poterla vedere in modo speciale proprio nell’esistenza delle persone consacrate. Una umanità trasformata da Dio. Trasformata in un dono, perché l’Eucaristia è dono. Trasformata in comunione, perché l’Eucaristia è comunione. Trasformata in una vita nuova a servizio dei poveri, perché la vita consacrata che porta il contrassegno della povertà di Cristo è una rappresentazione di una possibilità di vita per chi fa più fatica a vivere, ma è un segno anche per i ricchi perché non facciano diventare le loro sicurezze materiali la condizione fondamentale e decisiva della loro vita. Sono importanti le sicurezze materiali, ma i consacrati ci ricordano che la vita non finisce e non si esaurisce lì: è anche questa una testimonianza eucaristica. Una testimonianza per i poveri, per i ricchi, per tutti.
 
Care sorelle e fratelli consacrati, chiediamo al Signore di renderci sempre più capaci di Eucaristia: vogliamo portare all’altare la vostra esistenza, ringraziando il Signore e pregando perché splenda sempre di più in voi come un’ostia consacrata nel suo ostensorio.
 
(trascrizione da registrazione non rivista dall’autore)