Veglia di Pentecoste

Cattedrale
30-05-2020

Care sorelle e fratelli,
innanzitutto grazie! Grazie a voi per la vostra presenza. Grazie a coloro che ci hanno offerto la testimonianza. Grazie a coloro che ci stanno seguendo dalle loro case, non soltanto per ascoltare le parole che ci vengono offerte ma per pregare insieme.

È un grande grazie. È un grazie che non si limita ai confini di questa serata ma vuole proprio abbracciare questi mesi e ciò che ciascuno di noi e tanti altri hanno testimoniato, ispirandosi alla fede dentro una umanità che è stata valorizzata dalla prova.

Credo che non solo il Vescovo, ma ciascuno reciprocamente debba ringraziare coloro che gli hanno offerto testimonianze ricche di fede e di umanità.

Questo senso si riconoscenza è l’occasione per ravvivare la consapevolezza di un patrimonio ricchissimo di fede e di umanità che, in qualche modo, la prova, la sofferenza e il dolore hanno fatto emergere. Molto spesso – dobbiamo ammetterlo – questo è un tesoro nascosto, sepolto sotto il nostro vivere quotidiano, mescolato a tante scorie, detriti, scarti, rifiuti che lo rendono apparentemente improbabile e per molti incredibile.

Si tratta per tanti di un patrimonio cui attingere nei momenti di emergenza, poi è come se perdesse valore e diventa irrilevante, inutile e qualche volta diventa anche oggetto di derisione e di disprezzo.

Ciò che stasera condividiamo nella preghiera allo Spirito è un sentimento di riconoscenza, ma è anche un momento di consapevolezza. Papa Francesco nel famoso discorso nella Piazza di San Pietro deserta ha detto: “Questo è il tempo del  giudizio. Non del giudizio di Dio, ma del nostro giudizio su ciò che conta e su ciò che non conta, su ciò che è prezioso e ciò che invece distrugge la nostra umanità”.

Questa ricchezza e questa consapevolezza diventano in queste settimane e nei prossimi mesi motivo per una perseveranza.

È la perseverante determinazione di chi ci crede a quello che ho appena ricordato, di chi crede nel Vangelo, di chi crede nel dono di Dio, di chi non si alimenta soltanto ai propri convincimenti e alla propria volontà, ma ad una sorgente d’acqua viva che è lo Spirito Santo.

La nostra perseveranza non è soltanto frutto di una determinazione, di convinzioni alle quali non rinunciamo, di una forza d’animo che vorremmo augurarci e che non è semplice voler sostenere, ma è una perseveranza che si alimenta ad una sorgente che ci viene data da Dio: è il suo Spirito.

Siamo messi ancora una volta davanti ad una tentazione, che è stata almeno in parte la causa della nostra rovina: la tentazione di farcela da soli, la tentazione di una volontà di potenza che si manifesta, ancora adesso che stiamo riprendendo, ma che è stata clamorosamente smentita da questa prova globale che ci consegna invece alla consapevolezza del limite e ad una incertezza logorante.

Non è la volontà di potenza la soluzione di questa tragedia. Che cos’è allora? È l’umile stupita accoglienza del dono.

Il vaccino che debellerà il virus è una necessità, la sua realizzazione è una conquista, il percorso per giungervi è un impegno enorme, ma se tutto questo fosse nel segno di una volontà di potenza esibita muscolarmente o maliziosamente mascherata, servirà certamente – ce lo auguriamo – a preservarci dal contagio, ma non dal contagio dell’anima che è la causa di ogni pandemia personale, sociale e anche sanitaria.

Il dono dello Spirito Santo lo abbiamo desiderato tanto nella preghiera. E io, debbo dirvi, sono stato ammirato da questa preghiera, non solo per la sua quantità, ma perché ho avvertito in tutti – tranne qualche piccola eccezione – un affidarsi. Nessuno ha fatto della preghiera un atto magico, ma un atto di fede. Questa è diventata una autentica forza spirituale e morale nelle nostre comunità.

Il dono dello Spirito lo si accoglie attraverso l’esperienza della preghiera, dell’ascolto della Parola del Signore, nei sacramenti seppur così rarefatti in questo momento.

È il dono di Dio che dà forma a una testimonianza evangelica, è il dono di Dio che alimenta una speranza più forte delle delusioni e delle disperazioni, è il dono di Dio che genera una vita nuova dove la morte afferma il suo potere.

È il dono dello Spirito che ci libera dalla paura, dall’asia, dalla delusione. Tanto più lo accogliamo, tanto più cresciamo nella forza, nel coraggio, nella dedizione e anche nella lucidità e nell’intelligenza di ciò che stiamo vivendo.

È il dono dello Spirito che ci libera dalla morsa della necessità e ci fa entrare nella dimensione della gratuità.

Lo Spirito alimenta una infinita e inesauribile varietà di esperienze umane, alcune delle quali ci sono state consegnate proprio stasera.

È stato detto che in questa prova la Chiesa inizialmente è scomparsa. È stato detto anche che in questa prova il clericalismo è tornato prepotente, concentrando l’intera immagine della Chiesa attorno alla figura del Papa, del Vescovo, dei preti. Queste osservazioni mi sembra che dimentichino, sottovalutino, facciano un torto ad una realtà di dimensioni incalcolabili che è stata la testimonianza non solo dei laici, ma la testimonianza laicale: la testimonianza che diventa vita, la vita di ogni giorno, la vita di ogni persona umana, la vita di donne e uomini che si sono amati, e si amano insieme ai loro figli e alle loro famiglie e l’hanno fatto in condizioni tutt’altro che semplici, spesso anche allargando il cerchio  della vita familiare ad altre famiglie dentro i limiti che ben conosciamo.

Questa testimonianza laicale è la vita di coloro che hanno lavorato e ancora lavorano: certamente medici, infermieri, ma anche quella infinità di lavoratori che hanno sostenuto il loro sforzo, insieme alle donne e uomini che hanno prestato i servizi essenziali all’assistenza dei più fragili, come ad esempio gli anziani, che hanno prestato servizi alla nostra sussistenza e sicurezza, coloro che hanno prodotto i beni necessari e sostenuto la continuità impegnativa delle attività delle nostre aziende, che hanno svolto in condizioni inedite il compito di garantire le attività scolastiche, le donne e gli uomini con compiti istituzionali e amministrativi e politici.

Care sorelle e fratelli, come possiamo dire che la Chiesa si è manifestata in termini che si polarizzavano solo sul clero piuttosto che sulla gerarchia, dimenticando quello che avvenuto, dimenticando la vita di una moltitudine di uomini e di donne che ispirandosi a una fede – a volte provata, a volte convinta, altre volte precaria ma che emergeva in quei giorni – hanno offerto la loro testimonianza, non con parole ma con la loro stessa esistenza. Questa è la Chiesa! Questa è la testimonianza laicale!

Lo Spirito Santo dà forma alla vita nella sua interezza e integralità, e la Chiesa è chiamata a servire la vita lì dove la vita accade. Non solo nei momenti di emergenza o a fronte di bisogni e povertà, ma nella sua dimensione quotidiana e feriale.

Si tratta non solo della testimonianza dei laici, ma di una testimonianza laicale, cioè capace di condividere con tutti, anche con quelli che non credono, quegli atteggiamenti che scaturiscono dalla nostra fede nel Vangelo.

Grazie, care sorelle e fratelli cristiani, che nei gesti della vostra vita siete stata capaci, e lo sarete ancora, di manifestare la luce e la forza dello Spirito Santo, facendo delle nostre esistenze, delle famiglie, delle nostre comunità e città, dei luoghi di lavoro e di cura, delle oscurità e delle prove dolore, facendo di tutto questo la storia di un Dio che per noi dona se stesso.