31-12-2018
Care sorelle e fratelli,
abbiamo ascoltato l’annuncio del Vangelo con le figure dei pastori che diventano protagonisti del Natale di Gesù. Di loro c’è consegnata questa testimonianza: “i pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto come era stato detto loro”. Questa parola ispira il nostro gesto di questa sera: anche noi ci siamo riuniti alla conclusione di un anno per glorificare e lodare Dio per tutto quello che abbiamo udito e visto secondo la sua parola.
Vogliamo quindi chiedere in questa celebrazione la grazia del cuore e dello sguardo dei pastori. Vogliamo chiedere la grazia che il nostro cuore, abitato da sentimenti più diversi, lasci spazio alla parola del Signore e che il nostro sguardo venga illuminato dalla sua luce.
Questo ci permette di vedere quello che hanno visto i pastori, di riconoscerlo e quindi di ringraziare. Questo sguardo illuminato ci introduce a una visione più profonda delle cose.
Ci mostra che il bene e il male non stanno semplicemente uno accanto all’altro. Un po’ di bene e un po’ di male c’è stato anche in quest’anno: giorni lieti e giorni sofferti.
Non è nemmeno una contrapposizione tra il bene e il male, in una lotta antica quanto è antico l’uomo, che ci può soddisfare.
Lo sguardo dei pastori, veramente illuminato dalla parola del Signore e dalla sua grazia, ci mostra la luce del bene anche dentro le tenebre del male. Dobbiamo ammettere che non sono cessate le guerre durante l’anno trascorso; che non siamo stati esonerati anche nelle nostre famiglie dalla prova della malattia; che non pochi ancora vivono una condizione di precarietà; che diversi – e sempre più – sono esposti alla condizione della solitudine; che infine la paura ci pervada per tanti motivi.
Anche la nascita di Gesù avviene in un contesto di tenebre, non soltanto nella notte di Natale, ma in una notte fatta dallo scandalo della sua stessa nascita, dall’oppressione di un impero, dal rifiuto anche soltanto di chi poteva dargli un alloggio, da una condizione evidente di povertà, da quella violenza che Re Erode manifesterà nella ricerca di lui, dall’esilio… tutti aspetti che accompagnano la nascita del Figlio di Dio in mezzo a noi.
Tanto più allora la testimonianza dei pastori diventa significativa per noi, perché loro vedono la luce nelle tenebre. E vogliamo vederla anche noi ricordando alcuni dei segni offerti dal Signore: segni capaci di illuminare le fatiche e le oscurità dell’anno, della nostra vita, della vita della comunità e della vita sociale.
Alcuni di questi segni brillano particolarmente come le stelle in queste notti.
Non possiamo dimenticare la celebrazione del Sinodo dei giovani: i Vescovi di tutto il mondo riuniti a dire che le giovani generazioni ci stanno a cuore, non perché siamo interessati a forme di proselitismo; desideriamo che possano incontrare il Signore Gesù perché la loro vita sia bella. La celebrazione del Sinodo dei giovani è diventata anche una grande provocazione per gli adulti cristiani, per gli anziani cristiani: che cosa noi adulti e anziani lasciamo trasparire di Gesù alle giovani generazioni?
Abbiamo poi davanti agli occhi la Peregrinatio delle reliquie sante di Papa Giovanni XXIII nella nostra diocesi: in questa Cattedrale, in diversi luoghi simbolici come il carcere o l’ospedale, per approdare finalmente nella sua terra natale di Sotto il Monte. Un grande concorso di gente, un grande afflato, ma quello che mi ha colpito di più è vedere in quel momento come donne e uomini delle nostre generazioni sono stati capaci di narrare alle generazioni più giovani la vita buona ancora illuminante di un Santo come Papa Giovanni.
Insieme al “nostro” caro Papa, non possiamo dimenticare quello che è stato profondamente unito a lui non solo da un’amicizia che ha percorso tutta la vita, ma anche dallo stesso servizio sulla cattedra di Pietro: Papa Paolo VI, canonizzato quest’anno. I due Papi del Concilio sono finalmente riconosciuti universalmente nella loro santità. Di Paolo VI vogliamo raccogliere la grande lezione che ci fa dire che si può essere cristiani anche in questo mondo, in un mondo così, che non è più il mondo dei nostri padri.
Ci sono poi dei segni un poco più minuscoli, che hanno ancora gli aspetti della germinazione e speriamo e preghiamo che nel tempo portino frutti. La nostra diocesi ha avviato l’esperienza delle Comunità Ecclesiali Territoriali: una forma in cui soprattutto i cristiani laici sono chiamati a testimoniare la loro fede nel territorio in cui vivono, negli ambiti di vita: la famiglia, il lavoro, la fragilità, l’educazione, la cittadinanza. Insieme con questa uno slancio nuovo perché i sacerdoti diano testimonianza di fraternità a tutta la comunità che è chiamata ad essere fraterna proprio a partire dai suoi pastori.
Abbiamo avuto la grazia di tre ordinazioni sacerdotali e di un’ordinazione diaconale. I numeri si sono molto ridotti, ma dobbiamo benedire il Signore per il dono che ci ha fatto ancor più prezioso. Insieme ricordiamo le professioni perpetue e l’ingresso di una donna nell’ordo virginum, i quattro invii missionari (due sacerdoti giovani e due giovani donne).
Per i nostri oratori – che non vogliamo assolutamente abbandonare – sono state costituite “equipe educative” di laici che assumano non solo l’attenzione ai diversi servizi richiesti, ma proprio la responsabilità educativa, perché l’oratorio vuole manifestare ancora la sua capacità formativa.
Non voglio dimenticare – e proprio anche ieri ho avuto la possibilità di riconoscere nel dolore della perdita di una giovane ragazza di 15 anni – l’esperienza della “casa amoris laetitia” (come il Papa ha voluto intitolare il suo documento sulla famiglia), aperta da qualche mese dopo la Peregrinatio, dove vengono accompagnati nei momenti finali della loro vita bambini piccoli e giovani. Una grande delicatezza accompagna un grande dolore, ma anche un grande amore che diventa segno discreto ma insieme forte e luminoso.
Possiamo considerare in questi termini la riapertura del Galgario, di nuovo messo a disposizione delle povertà di strada che certamente non mancano, anzi sembrano aumentare.
Unitamente c’è l’avvio dell’esperienza piuttosto impegnativa che chiamiamo “accademia dell’integrazione” insieme con le istituzioni locali per avviare un cammino reale di integrazione di coloro che approdano nel nostro Paese.
Non voglio assolutamente trascurare segni ancor più quotidiani, come la vita delle nostre comunità parrocchiali. Provate a immaginare se il nostro territorio non fosse abitato da questa comunità che molto spesso ha i toni e le dinamiche di una famiglia, con le sue luci e le sue ombre, i suoi momenti esaltanti o affascinanti e quelli che lasciano turbati. Benediciamo il Signore per le nostre comunità parrocchiali, per i nostri oratori, per i centri di ascolto Caritas, per il volontariato, per l’opera del Patronato, per l’associazionismo in tutte le sue forme. Non è un semplice elenco di istituzioni ecclesiali, ma è veramente il dire grazie per questi che sono doni.
C’è poi il segno quotidiano rappresentato dalla delicatezza della vita consacrata in tutte le sue forme, alla quale vogliamo esprimere anche con l’affetto la nostra riconoscenza e la nostra vicinanza.
In fine, desidero benedire il Signore per l’amore nelle vostre famiglie. So che non è facile, che a volte è come vi si oscurasse lo sguardo. È un dono preziosissimo, ma sembra che in alcune circostanze venga macchiato, inquinato, incrostato, appesantito. In questo momento vogliamo veramente riconoscere davanti al Signore quella luce – anche se qualche volta nascosta – che comunque brilla ancora nelle nostre famiglie. Quell’amore che è insostituibile e che ha sempre la possibilità di rinnovarsi, di rigenerarsi, in tutte le età.
Voglio benedire il Signore per la capacità di essere vicini a coloro che soffrono. Non è solo questione di aiutarli. Farsi vicino è quello che da cristiani dobbiamo testimoniare. Tutti, nel momento in cui non si chiudono in egoismi inumani, sono capaci di solidarietà. I cristiani devono testimoniare questo facendosi vicini, non soltanto aiuto. Facendosi prossimi.
Benediciamo il Signore anche per l’onesta laboriosità della nostra terra e di coloro che la abitano. Il lavoro – nel momento in cui c’è e viene operato onestamente – è una benedizione di Dio e una benedizione a Dio di cui vogliamo rendere grazie.
Cari fratelli e sorelle, continuiamo la celebrazione dell’Eucaristia che è il grande rendimento di grazie a Dio, per Gesù Cristo e poi canteremo il Te Deum.
Vogliamo ricordare, riconoscere, ringraziare. Grazie non è mai l’ultima parola: si rivolge al passato, ma nello stesso tempo è una porta che si apre al futuro. La verità della riconoscenza apre il cuore e la mente al futuro, alimenta energie nuove e sostiene le nostre speranze.
(trascrizione da registrazione)