Rosario dal Seminario

Chiesa di San Giovanni del Seminario Vescovile
07-05-2020

Care sorelle e fratelli,
ci ritroviamo per questa preghiera che ormai è diventata un nostro appuntamento. La preghiera del Santo Rosario quest’oggi la innalziamo a Maria e al Signore in un luogo che ci è molto caro: il nostro seminario diocesano.

Ci troviamo nella chiesa di Santa Maria al monte santo, che fu cara anche a Papa Giovanni XXIII. Ci troviamo qui perché in questi giorni – domenica in particolare – abbiamo pregato per le vocazioni, per tutte le vocazioni: la vocazione al sacerdozio, alla vita consacrata, al matrimonio e per ogni vocazione che ciascuna persona può riconoscere nella propria vita come un appello che viene da Dio e al quale liberamente è chiamato a dare risposta, e dando risposta la sua vita prende una specifica forma.

La vocazione è una risposta che diventa un modo di essere che dà forma alla vita. La vocazione fondamentale per un cristiano è quella di Gesù: seguimi! seguendo me, qualsiasi siano le condizioni, le attitudini, le scelte della tua vita, tu darai forma alla tua esistenza secondo il mio Vangelo.

Penso a tutti voi, alla vostra vocazione. Preghiamo il Signore non soltanto perché le persone possano riconoscere la propria vocazione, ma perché poi possano essergli fedeli nel corso della loro esistenza.

In questo luogo voglio invitarvi ad una preghiera particolare per le vocazioni al sacerdozio. Abbiamo bisogno di sacerdoti, abbiamo bisogno di preti.

L’uragano del contagio ha travolto un numero impressionante di famiglie, toccate dal lutto per la perdita dei loro cari, ma dentro questa violenza si sono trovati anche molti sacerdoti. 24 sono i sacerdoti della nostra diocesi, insieme ad altri due che esercitavano il loro ministero qui, sono morti nei giorni più violenti del contagio. Proprio vedendoli morire così numerosi ci siamo resi conto di come abbiamo bisogno dei sacerdoti.

Vogliamo pregare il Signore per le vocazioni al sacerdozio a partire dalla sua stessa parola: “pregate il padrone della messa perché mandi operai nella sua messe; la messe è molta ma gli operai sono pochi”.

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Care sorelle e fratelli,
vorrei soffermarmi nella riflessione sulla figura del prete.

Una figura ancora familiare ai nostri occhi. Anche se il numero diminuisce, eppure nelle nostra diocesi e nelle nostre comunità ci è ancora facile la possibilità di incontrarlo. Anche in queste settimane in cui il contagio ci ha costretto nelle nostre case e ha limitato la partecipazione alle celebrazioni, la figura del sacerdote ha manifestato una vicinanza inedita a molti, anche a persone che abitualmente non frequentano la vita della comunità cristiana.

Per certi versi potremmo dire che la figura del prete rimane sempre un po’ misteriosa.

È misteriosa agli occhi dei bambini, che a volte al prete fanno le domande più curiose, che un adulto non si permetterebbe di fare.

È misteriosa agli occhi anche delle persone nella loro maturità. I giudizi sul prete, non solo sul singolo prete ma sul prete in generale, sono i più diversi, da quelli che lo esaltano fino a raggiungere delle esagerazioni, a quelli che lo disprezzano a volte in maniera assolutamente ingiustificata.

Certamente non è il momento, il luogo, l’occasione per dilungarmi a riflettere con voi su questo orizzonte, ma vorrei fermarmi solo su alcune immagini che ci vengono offerte dal Vangelo.

La prima è quella che ricordavo all’inizio: l’operaio. Gesù viene avvicinato da una folla che vede incarnata in lui la possibilità di sperare. Si commuove e nello stesso è come se la rilanciasse coinvolgendo i suoi discepoli, quelli che ha scelto, quelli che stanno con lui sempre. E pronuncia quell’espressione diventata famosa, che percorre i secoli, e che tante volte diventa la ragione della preghiera per le vocazioni sacerdotali: “la messe è molta ma gli operai sono pochi”. È da duemila anni che sentiamo risuonare questa parola di Gesù: “pregate il padrone della Messa perché mandi operai per la sua messe”.

Davanti agli occhi di Gesù non si tratta evidentemente di un operaio che entra in uno stabilimento, è piuttosto colui che entra in un campo che non è suo. Il padrone manda gli operai nei suoi campi. Un lavoratore di Dio, un lavoratore per Dio, un lavoratore per questa messe.

C’è poi una seconda immagine, quella del pescatore. Gesù passa sulla riva del lago e chiama alcuni a stare con lui e a seguirlo. A questi affiderà la sua missione. A Pietro dirà: “ti farò pescatore di uomini”. È un’altra immagine con la quale possiamo avvicinarci al mistero del prete, anche se un po’ dimenticata e trascurata. Ma è proprio con questa missione che comincia il Vangelo: essere pescatori di uomini.

Mi si permetta: abbiamo davanti agli occhi in questi anni, proprio nel nostro Mare Mediterraneo, coloro che pescano uomini. Se pescate i pesci, questi muoiono; ma se pescate un uomo dall’acqua del mare che lo sta inghiottendo, lo salvate. Il prete è un pescatore perché gli uomini possano vivere.

C’è una terza grande immagine, quella più ricorrente e che ci appartiene di più tanto da venirci facile anche attribuirla: il pastore. È colui che conduce il popolo di Dio; è colui che dà il cibo, anzi lo procura perché il popolo possa vivere; è colui che conosce ciascuna delle sue pecore e le chiama per nome, stabilendo così un rapporto personale con ciascuno di quelli che gli sono affidati.

C’è poi una quarta immagine, che a me personalmente è molto cara: il servo. Gesù stesso ha scelto questa immagine per sé: “io sto in mezzo a voi come colui che serve”. Il prete è colui che serve coloro che gli sono affidati, che serve loro il Vangelo, che serve la loro fede, che serve la grazia di Dio.

Oggi abbiamo la possibilità di vedere ben rappresentato la figura del servizio nei diaconi, in modo stabile nei diaconi permanenti, ma non è che quando un giovane poi diventa prete non è più un servitore. Rimane tale, perché la sua vita è al servizio del popolo di Dio nel nome del Signore.

Tante ancora potrebbero essere le immagini del prete. Ciascuno di noi potrebbe dire una sua immagine relativamente alla figura del prete, per come ricorda ad esempio il prete della sua infanzia e della sua giovinezza, per come ricorda il prete della sua parrocchia, per come ricorda un prete amico, per come ricorda il prete che gli si è avvicinato in un momento di bisogno o di dolore. Ognuno può raccontare qualcosa del prete. È difficile che una persona, dalle nostre parti, non abbia un’immagine del prete.

Tutti però avvertiamo dentro questa figura, un po’ misteriosa, una verità: possiamo dire che una persona è veramente un prete nel momento in cui dentro una infinita varietà di caratteri, di esperienze, di modi di esprimersi, vi riconosciamo l’impronta, il segno, la vicinanza di Dio.

Caratteri a volte impossibili, esperienze le più diverse, rapporti con ciascuno che assumono le forme più varie, ma la verità di un prete, al di là di quello che fa – è un profeta, è un uomo di carità, è un buon pastore, è una persona che ha particolare attitudine per i malati, o addirittura è uno che ci sembra con poche qualità – io posso dire “questo è un prete” nel momento in cui avverto che attraverso lui, in lui, avvicinando lui, io in qualche modo ho a che fare con la vicinanza di Dio.

È una impronta che ogni persona di porta dentro nel momento in cui pensa o immagina un prete.

Concludo riprendendo l’immagine da cui siamo partiti. Insieme all’immagine dell’operaio, Gesù ci consegna quella della messe: “la messe è molta”. Che cosa rappresenta, in che che cosa consiste questo campo di grano maturo? Perché quando si parla di messi non ci si riferisce al grano appena seminato, nemmeno al germoglio che spunta alla fine dell’inverno. La messe rimanda al grano maturo. L’operaio è mandato a tutti gli uomini che sono maturi per Dio.

Ogni uomo e ogni donna, dal più piccolo al più anziano, da quello più disinteressato a quello più devoto, è pronto per Dio, come il grano maturo è pronto per la raccolta.

Gesù sta dicendo: guarda che ogni uomo, nei modi più diversi, a volte anche nascosti o contraddittori, addirittura dentro il suo peccato, è pronto per Dio.

La messe ci dice anche di un’altra realtà: quella dell’infinità della vita. È la vita in tutti i suoi aspetti, dalla nascita alla morte, dall’amore al lavoro, dall’esaltazione al tradimento, dalla luce all’oscurità. Non c’è angolo della vita che non possa essere raggiunto da Dio. E che non sia affidato alla passione apostolica evangelica di un uomo chiamato ad essere prete.

Che non ci manchino i preti! Non manchino alla Chiesa, al mondo e all’umanità! Per questo continueremo a pregare.