Rito dell’Ammissione agli Ordini Sacri

18-05-2012
Cari fratelli e sorelle, noi ci troviamo in questa circostanza a pregare, anzi vorremmo di volta in volta imparare a pregare rendendoci conto di come non si sia mai imparato definitivamente: come è per le grandi cose della vita così è per la preghiera.
 
Stasera questa preghiera è molto ricca a partire innanzitutto dai volti e dalle persone di questi giovani di cui abbiamo appena sentito l’eccomi.
Se per un istante ci soffermiamo ci rendiamo conto di come questa parola, “eccomi”, sia una preghiera, una grande preghiera. Nella vita “eccomi” come quelli che abbiamo sentito risuonare ora non si ripetono tante volte. Questo “eccomi” non è semplicemente un dire sono qui, ci sono, questo “eccomi” evoca una risposta che a volta siamo chiamati a dare alle situazioni della vita, alle responsabilità che ci chiamano, alle persone che ci guardano, che ci aspettano, rispetto alle quali possiamo dire “eccomi” oppure non dire nulla.
 
Eccomi. A volte si pensa che per pregare occorrano molte parole. No, basta una parola così per riempire di preghiera un giorno o una vita.
C’è nostalgia di preghiera, c’è desiderio di preghiera, ci sono preghiere nascoste, ci sono miriadi di persone che pregano e neanche si accorgono di farlo.
Noi abbiamo il gusto della preghiera, di quelle esperienze che riempiono la vita, danno gioia, accompagnano il dolore, salgono dal vuoto. Noi siamo qui per pregare.
 
Qui c’è una ricchezza, che passa da questi giovani, dalle loro famiglie: papà e mamme i vostri volti mi ispirano tante preghiere. Sì, perché non occorre essere di fronte ad uno spettacolo della natura per pregare, o essere in una grande cattedrale o davanti ad una icona, o in una chiesa nascosta o davanti al tabernacolo o al crocifisso, a volte basta guardare in volto una persona.
Qui c’è ricchezza di preghiera perché qui ci sono persone che abitualmente si trovano a questo appuntamento di preghiera, ma ce ne sono anche altre che sono qui per la prima volta e io vorrei incoraggiarle in questa loro presenza, nel senso che è già una preghiera. Voi stasera siete venuti probabilmente per questi giovani e la vostra venuta è una preghiera.
Abbiamo cantato e abbiamo ascoltato. Non so che cosa avete provato o pensato mentre questi giovani qui davanti a voi offrivano, consegnavano parole che attraversano la nostra storia. Io, vi devo dire, che sono rimasto incantato da questa freschezza, da questa giovinezza, da questa evocazione di notti e di speranze. Pensavo, tra me e me, “Ecco, anche questa è una preghiera”.
 
E poi – io ve lo lascio per sempre – comunque la preghiera più bella è ascoltare il Signore. Abbiamo ascoltato una pagina meravigliosa. È risuonata anche in lingue diverse e mi perdevo in queste lingue che si sovrapponevano, come se ci volessero dire: è la parola del Signore. È la parola del Signore, che risuonerà in lingue antiche e in lingue nuove.
 
È la parola del Signore. Che posso dire io al Signore? È lui che dice. La nostra preghiera è ascoltarlo e poi forse balbettare qualcosa, come ha balbettato Pietro. Una preghiera che viene fuori dalla vita. Guardate. Lo conosceva. Gesù era già stato nella sua casa, aveva fatto una cosa che non si dimenticherà più: c’era sua suocera ammalata e Gesù l’ha guarita. È una cosa straordinaria, Gesù ha fatto questo miracolo doppio. Pietro non dimentica. Poi un giorno Gesù è salito sulla sua barca, c’era tanta gente su quella spiaggia. La gente non andava per i miracoli ma andava per ascoltare la parola del Signore. Improvvisamente quella parola non si è indirizzata a tutti, ma proprio a lui. Che passaggi: cambiamenti improvvisi! Gesù sta parlando a tutti, a una folla e poi improvvisamente si rivolge a lui. A ciascuno. Per ciascuno c’è una parola del Signore. “Prendi il largo”.
 
L’avete sentita questa parola? “Prendi il largo!”. Pietro è pronto. Finalmente: era come se lo aspettasse da una vita. Aveva famiglia, aveva la suocera, aveva le barche, ma adesso ha quella parola che gli dice “prendi il largo”. “Prendi il largo”. Noi stasera avvertiamo questa parola ed è come se la vedessimo nel volto e nelle persone di questi giovani.
Non gli dice soltanto così. Se Gesù avesse detto solo così a Pietro, sarebbe stata solo un’avventura. Una bella avventura. Piacciono le avventure, ma non bastano. Qui ci sono persone che amano l’avventura, ma sanno che poi bisogna rispondere. La nostra libertà ci è data per assurmerci delle responsabilità, per fare delle scelte. “Getta le reti, Pietro!”. “Prendi il largo!”. “Pronto! Maestro!”. “Getta le reti!”. E Pietro: “Ho lavorato tutta notte, sono stanco, ho faticato”. Questo è il momento, questa è la prova.
“Maestro, torneremo a pescare. Non abbiamo pescato niente questa notte. Sono stanco. Modestamente sono un buon pescatore, so fare il mio mestiere, non pescheremo più niente oggi”. “Getta le reti!”. “Non le getterei mai, Maestro. Lo faccio solo perché lo dici tu”.
 
Carissimi, non è la fatica che ci salva. La fatica è necessaria perché nella fatica è come se apparisse la densità e la dignità della nostra persona, ma nemmeno questa dignità ci salva. È la fede: “non lo farei mai, ma sulla tua parola getterò la rete”. Questa è la fede.
E guardate la meraviglia: la fede non è semplicemente qualcosa che risuona in una chiesa, la fede è lì nella vita di Pietro il pescatore. Non gli ha chiesto chissà quale gesto: gli ha chiesto semplicemente di fare quello che lui era capace di fare e che in quel momento non avrebbe mai fatto.
“Getta la tua rete!”. Gettala ancora nella tua famiglia, nel tuo lavoro, nelle tue relazioni, nei tuoi impegni, nella tua giovinezza. Getta la tua rete.
“Ci ho già provato tante volte, sono stanco, non so come fare, ho paura. C’è tutta la gente sulla spiaggia: cosa diranno di me? Che sono impazzito. Ma sulla tua parola getterò la rete”. Carissimi, questa è la preghiera.
 
“Sulla tua parola”. Come facciamo a pregare se non ascoltiamo la sua parola. Che cosa preghiamo? “Sulla tua parola”, dice Pietro. Non è in una sinagoga, non è nel tempio di Gerusalemme, è là sulla sua barca. Pietro ha pregato tante volte su quella barca quando non pescava per trovare un po’ di pesce o quando la tempesta percorreva il lago e aveva paura. Ma qui sta dicendo una preghiera che lo accompagnerà per tutta la vita, che cambierà tutta la sua vita: “sulla tua parola getterò le reti”.
Le getta e il pesce non finisce più. Pietro, che è un uomo, prega ancora. È un grande.  La barca piena, il successo, il Messia che è lì con lui sulla sua barca, e Pietro dice: “Signore, allontanati da me, io sono un povero peccatore”. Chi sono io?!
 
È una meraviglia: torneranno a riva, con le barche piene e le lasceranno lì. Il pesce non sarà per loro, ma sarà per tutta la folla e sarà una grande festa.
“Io sono un povero peccatore”. “Non aver paura, diventerai un pescatore di uomini vivi perché vivano”. A volte è un’immagine che a noi non dice molto, un po’ perché forse non sono tanti i pescatori, e poi se ne vanno con le loro attrezzature, ma qui erano pescatori per vivere e per vivere traevano a riva i pesci che morivano. Cosa vuol dire pescare gli uomini? Mi è venuto in mente in quella paradossale e strana e drammatica tragedia della nave Concordia. Bisogna pescare gli uomini vivi, perché vivano. Bisogna tirarli fuori. Bisogna salvarli. Sarai pescatore di uomini vivi perché vivano. Li tirerai fuori dall’acqua della morte perché vivano.
 
Noi stasera preghiamo così. Preghiamo per questi giovani ai quali questa parola è consegnata in un modo particolarissimo, ma questa parola è per tutti noi, che attraverso di loro, i loro volti, i loro nomi, le loro vite, i loro “eccomi” veniamo interpellati sulla nostra vita, sulla nostra fede, sul nostro eccomi, sulla nostra risposta.
 
 
(trascrizione da registrazione)