Omelia
La venerazione per l’Addolorata si mantiene viva nel popolo cristiano per tre ragioni: la prima è rappresentata dall’esperienza del dolore che si rinnova nell’esistenza di ciascuno; la seconda è alimentata dalla consapevolezza che il progresso ha alleviato molte forme di dolore, ma sembra impotente ad estirparlo dalla vicenda umana; la terza è l’attrazione che la maternità di Maria, soprattutto nel momento in cui condivide il dolore del mondo, esercita sull’intero popolo di Dio: donne e uomini, giovani e vecchi. In questo Santuario, nel cuore del borgo, questa venerazione si esprime con particolare intensità, non solo nei giorni della festa, ma anche nei giorni feriali, quando accoglie tra le sue mura le preghiere, i pentimenti e le speranze di coloro che vi trovano rifugio.
Oggi ricordiamo il miracolo dell’Apparizione, a distanza di 417 anni. Non si tratta di una vittoria militare, di una rivoluzione, di un evento epocale: si tratta di un “segno” affidato alla nostra libertà e alla nostra fede. Una stella brilla in pieno giorno, tre raggi si dirigono ad un affresco consunto e lo rigenerano: passano i secoli, l’affresco è conservato e attorno ad esso è la fede di molti che si è rigenerata, si rigenera e crediamo, si rigenererà. I tre raggi della stella, li vorrei paragonare alle tre virtù teologali che caratterizzano la vita del cristiano in tutti i suoi aspetti, particolarmente quando la sofferenza e il dolore si affacciano ai suoi giorni. Il primo raggio è quello della fede.
Nella sofferenza, la fede è sempre messa alla prova: dalla prova ne viene rafforzata, ma a volte frantumata. Anche le persone più distratte o distanti si sentono interpellate nel momento della prova: la fede non risolve la sofferenza umana, a volte l’allevia, ma soprattutto la trasforma. Proprio nella sofferenza della Croce, Gesù ci offre i doni più grandi: tra questi sua Madre. “Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore. All’ uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce”. (Lumen fidei 57).
Alla luce della fede, viviamo la nostra sofferenza e facciamoci presenza amica alla sofferenza del prossimo. Il secondo raggio è quello della speranza. Nella prospettiva della fede, appare agli occhi del cristiano una speranza più forte di ogni prova, delusione, oscurità e dolore. La presenza di Dio nel cuore del mondo, alimenta la speranza della guarigione del mondo stesso. E’ una speranza che ci permette di cogliere molteplici segni di questa guarigione e nello stesso tempo di non scoraggiarci nel momento in cui non li vediamo. “Ma si tratta, appunto, di speranza e non ancora di compimento; speranza che ci dà il coraggio di metterci dalla parte del bene anche là dove la cosa sembra senza speranza … Certo, nelle nostre molteplici sofferenze e prove abbiamo sempre bisogno anche delle nostre piccole o grandi speranze – di una visita benevola, della guarigione da ferite interne ed esterne, della risoluzione positiva di una crisi, e così via”. (Spe salvi) Sono segni di una speranza più grande che vogliamo alimentare, perché ci sostenga nei frangenti impegnativi della vita. Il terzo raggio è quello della carità. La fede e la speranza del cristiano non avrebbero il potere di rigenerare il quadro della Vergine Addolorata e dell’umanità addolorata, senza il raggio della carità.
La carità è il dono dell’amore stesso di Dio. Innanzi tutto è un dono da accogliere e sperimentare nella forma del perdono dei nostri peccati e della manifestazione dell’amore nella persona di Gesù. Ma il dono dell’amore di Dio cresce in noi, nella misura che lo offriamo al nostro prossimo. C’è tanto bisogno di amore. Forse le preoccupazioni, le delusioni e le paure ci fanno pensare che è di altro che abbiamo bisogno: ma sarebbe una grande illusione. Ogni persona umana, ogni essere vivente, qualsiasi sia la sua condizione, ha bisogno di amore e diventa grande nell’amore. Il raggio della carità rigenera l’affresco dell’Addolorata e trasforma il dolore in un infinito dono d’amore. La misura della nostra umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. “Ai piedi della croce, nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e noi leggiamo in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo. Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio”. (EG) Questa è l’Addolorata del Santuario del borgo.
Processione
Sulla croce, quando Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il peccato del mondo e la misericordia divina, poté vedere ai suoi piedi la presenza consolante della Madre e dell’amico. In quel momento cruciale, prima di dichiarare compiuta l’opera che il Padre gli aveva affidato, Gesù disse a Maria: “Donna, ecco tuo figlio!” Poi disse all’amico amato: “Ecco tua madre!” …. Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra. Solo dopo aver fatto questo Gesù ha potuto sentire che “tutto era compiuto”. Ai piedi della croce, nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre, e il popolo legge in quell’immagine materna tutti i misteri del Vangelo… Come una vera madre, cammina con noi, combatte con noi, ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio … Ella è la donna di fede, che cammina nella fede, e “la sua eccezionale peregrinazione della fede rappresenta un costante punto di riferimento per la Chiesa”. (EG)
La tradizionale processione, che stiamo concludendo, assume le caratteristiche di un autentico pellegrinaggio: il pellegrinaggio della fede. L’esperienza della fede cristiana è ben rappresentata dall’immagine del “cammino”: Gesù cammina sulle strade dell’umanità e coloro che stanno con Lui, credono in Lui, lo seguono sulle stesse strade. La fede non si custodisce in uno scrigno, ma la si alimenta seguendo Gesù e il suo Vangelo, lungo le strade della vita umana, nelle sue inesauribili forme. La nostra processione è una rappresentazione, un segno, un simbolo di questo “camminare nella fede” lungo le vie della città, le vie della vita. E’ la città di tutti, che qui ed ora assume il volto di un “borgo” e dunque di una storia, di una prossimità che si manifesta nei modi più diversi: nella gioia e nel dolore, nella festa e nella ferialità.
La condivisione di vissuti che disegnano la geografia del borgo, l’abbiamo vista ancora una volta rappresentata e riproposta in questa processione che, per la rilevanza cittadina che ha assunto, manifesta il volto della stessa città e soprattutto la consapevolezza dell’importanza dei sentimenti, dei convincimenti profondi, della pluralità di esperienze costruttive, del superamento di indifferenze ed esclusioni.
Abbiamo camminato insieme evocando l’importanza di un percorso condiviso e soprattutto di una meta condivisa. A volte, il cammino diventa faticoso proprio perché condiviso. Non dimentichiamo allora l’espressione di Papa Francesco: “A camminar da soli, a volte, si va più veloci; ma a camminare insieme, sempre, si va più lontano”. E questo “più lontano” non è semplicemente una distanza, ma è piuttosto una grandezza, una speranza, un sogno capace di abbracciare ciascuno e tutti. Abbiamo camminato insieme attirando gli sguardi di coloro che sono stati ai bordi della via: pure questi sguardi hanno dato consistenza e significato al nostro cammino. La nostalgia, la curiosità, l’indifferenza o la partecipazione rivelano i sentimenti che abitano i cuori e la città, rivelandosi in momenti così.
Abbiamo camminato insieme pregando, raccogliendo e distribuendo preghiere. E’ così misterioso il mondo della preghiera: dimensione intima del cuore dell’uomo e insieme manifestazione corale della fede e di un’appartenenza che, per un cristiano, non può essere mai esclusiva. Fraternità è la virtù che la città propone e si propone, nell’imminente celebrazione del suo Patrono. Fraternità è riconoscimento reciproco, è prossimità non occasionale, è consapevolezza che non ci basta la giustizia, l’uguaglianza, la libertà, ma che queste saranno sostenute non solo dalla forza della legge, ma soprattutto dal tessuto dei rapporti nel segno della fraternità. E allora ancor più forte è il significato del nostro cammino portando e mostrando un immagine: quella di una madre, la Madre di Gesù, la Madre del Figlio di Dio; l’immagine di una madre che non si sottrae al dolore di suo Figlio e di coloro che rappresentano il volto sofferente della città: i malati, gli abbandonati, gli esclusi, gli umiliati, gli insignificanti, gli invisibili, i violentati, i disperati … Solo paternità e maternità, segnate indelebilmente dall’amore e inevitabilmente dal dolore, generano fraternità. Non è possibile invocare ed esibire questa maternità, dimenticando la fraternità con coloro che soffrono.
E allora camminare insieme, non è solo camminare con gli altri, ma verso gli altri, riconoscendoli come fratelli. La processione finisce, non il cammino che abbiamo rinnovato nel segno dell’Addolorata di Borgo Santa Caterina.