Care sorelle e fratelli,
abbiamo udito la splendida pagina evangelica del miracolo del cieco nato. Gesù guarisce un uomo nato cieco. Immediatamente scatta la domanda che percorre l’esistenza umana da sempre. Di fronte al male immediatamente ci si chiede di chi è la colpa. Ancor prima di domandarci qual’è la causa, noi siamo alla ricerca del colpevole. Così ci narra anche il Vangelo: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, visto che è nato cieco?”.
Noi abbiamo bisogno, per poter vincere il male, di conoscerne le cause. Anche di fronte al male che in questi giorni vuole schiacciarci con la potenza del contagio – che crediamo possa essere arrestato, col sostegno dei nostri comportamenti civili e solidali – noi ci domandiamo legittimamente: quale è la causa?
Sicuramente persone con le loro competenze scientifiche e mediche ci condurranno a riconoscere la causa di questo morbo così contagioso.
Ma ci rendiamo conto che non basta conoscere. Diceva uno degli scienziati più famosi a livello mondiale, un padre della ricerca moderna, come Albert Einstein: “Siamo diventati giganti nella conoscenza, ma siamo rimasti nani nella coscienza”. Non basta conoscere. A partire dalla conoscenza siamo chiamati a compiere delle scelte che investono la nostra coscienza, la nostra responsabilità. Dobbiamo ammettere che di fronte ad un progresso che sembra inarrestabile dal punto di vista scientifico, tecnologico e medico, noi ci riveliamo impreparati rispetto alle esigenze che questo sviluppo pone alla coscienza dell’uomo, dimensione decisiva della sua dignità, libertà e responsabilità.
Io penso che proprio a partire dallo sconvolgimento che stiamo provando, debba imporsi la consapevolezza dell’importanza decisiva di ciò che rappresenta la coscienza della persona umana non solo per quanto riguarda i comportamenti attuali, ma certamente per come ci porremo di fronte a quelli che ci attendono.
Spesso, nei secoli passati e nella tradizione spirituale e biblica, devastazioni così vaste, capaci di coinvolgere un numero incalcolabile di persone sono state interpretate come un castigo di Dio. Ancora oggi, non sono poche le persone che evocano come causa dei mali più gravi, la decisione di Dio di punirci per il male che abbiamo compiuto.
Ebbene, cari fratelli e sorelle, non voglio giustificare Dio, né difendere Dio da attributi che ritengo inaccettabili. Si tratta piuttosto di scoprire come Dio ci abbia mostrato il suo volto in maniera definitiva: Egli non è il Dio del castigo! Lo affermo, non per una personale ispirazione o attitudine o speranza. Lo dico in nome della fede che ci unisce: il nostro Dio ha rivelato se stesso nelle parole, nella vicenda, nella persona, nella morte e risurrezione di Gesù. Gesù è il volto di Dio in cui noi crediamo: è il volto di un’infinita misericordia che non nasconde il male, tanto meno lo giustifica o tollera, ma lo assume tutto su di per poterci riscattare dalla sua radice che è il peccato.
A questa considerazione, se ne accompagna un’altra, provocata dalla domanda: perchè Dio non ascolta, non risponde e non esaudisce le nostre preghiere, le nostre suppliche, quelle che salgono dallo strazio che sta attraversando tante famiglie? Dio è dunque sordo alle nostre preghiere? Dio è indifferente alle nostre necessità? Che cosa dobbiamo fare per farci ascoltare da Dio?
Care sorelle e fratelli, a domande così importanti non ci sono risposte facili: oggi il Signore ci consegna la sua risposta attraverso il Vangelo del miracolo del cielo nato.
In questi giorni, noi stiamo sperimentando una cecità dolorosissima. Vediamo scomparire letteralmente dai nostri occhi i nostri cari. Spesso diciamo di coloro che muoiono: sono scomparsi. In questi giorni succede proprio così: i nostri cari scompaiono ai nostri occhi. In questo senso possiamo dire che siamo diventati ciechi. Avvertiamo questa scomparsa in maniera sconcertante e straziante. Sicuramente i nostri cari, scomparsi alla vista, non scompaiono dai cuori, ma ci manca l’esperienza di vederli, non fosse altro per l’ultima volta, per un’ultima carezza, una preghiera, un commiato.
Vi è una bellissima preghiera, suggerita dal rituale delle esequie, per il momento in cui un nostro caro viene coperto e chiuso nella bara. La tradizione fa porre sul suo viso un velo. Mentre si compie questo gesto che toglie alla nostra vista il volto di chi ci è caro, si prega: “Dio onnipotente ed eterno, Signore della vita e della morte, noi crediamo che la vita del nostro fratello, della nostra sorella, ora è nascosta in te. Il suo volto che viene sottratto alla nostra vista, contempli ora la tua bellezza e sia illuminato per sempre della vera luce che ha in te la sorgente inesauribile”.
Care sorelle e fratelli, il cieco nato non riceve soltanto il dono della luce, ma il dono degli occhi. Purtroppo un cieco anche se è circondato dalla luce, non vede nulla. La luce è la Parola del Vangelo. In questi giorni, che per tanti aspetti ci sconcertano e ci svuotano, torniamo al Vangelo, torniamo a quella luce necessaria per vedere. Ma oltre la luce occorrono occhi capaci di vedere.
I più vecchi ricorderanno che nel giorno di Pasqua, quando suonavano le campane, le mamme e le nonne prendevano dell’acqua, possibilmente l’acqua benedetta e bagnavano gli occhi dei loro figli e dei loro nipoti. Abbiamo bisogno di occhi e non solo di luce.
Abbiamo ricevuto il battesimo: ecco l’acqua che ha aperto i nostri occhi sulla possibilità di riconoscere il Signore Gesù, sorgente della nostra speranza.
Non è qualcosa di magico, ma è qualcosa che ha a che fare con il cammino della fede.
Se avete badato, nella pagina del Vangelo – che vi invito a rileggere – Gesù incontra il cieco nato, prende l’iniziativa, gli spalma del fango sugli occhi e poi gli dice: “Va’ alla piscina a lavarti!”. E quell’uomo che è cieco da sempre, compie un atto di fede: lui ancora non vede e quindi barcollando nel buio – come stiamo barcollando noi – si avvia verso la piscina perché ha dato fiducia alla parola del Signore. Così finalmente i suoi occhi sono guariti.
Insieme al dono di Dio, noi vogliamo rinnovare la nostra fede: quel cammino di fede che ci porta a riconoscere in mezzo a questo dramma la presenza di un Dio che non è lontano e indifferente.
Che il collirio di Dio possa guarire i nostri occhi e farci vedere una luce nella tenebra che ci sta avvolgendo.