Pontificale del giorno di Pasqua

20-04-2014
Care sorelle e cari fratelli nel Signore,
vorrei condividere con voi una sensazione. Noi spesso percepiamo che qualcosa ci sfugge. Viviamo come se qualcosa ci sfuggisse sempre. Abbiamo preparato tutto, poi qualcosa ci sfugge: sfugge alla memoria, sfugge al controllo, sfugge al calcolo, sfugge alla programmazione, sfugge alle previsioni più raffinate. Qualcosa sfugge sempre al dolore, al male, al peccato, all’oscurità: da qualche parte una luce si accende. Ma qualcosa sfugge sempre anche all’amore e quello ci fa soffrire tanto, perché vorremmo proprio che l’amore abbracciasse tutto. Quell’abbraccio non soffocante vorremmo che non ci facesse sfuggire chi amiamo, invece qualche volta succede proprio così. 
 
Ho immaginato allora il nostro incontrarci come se fossimo venuti a cercare ciò che ci sfugge e Gesù ci viene incontro come è andato incontro alle donne di Galilea, perché in realtà ciò che ci sfugge, ciò che ci lascia la sensazione che la nostra vita sia affidata all’imponderabile non è qualcosa, ma è Qualcuno e non lo raggiungeremo mai. La sorpresa della Pasqua è proprio questa: questo “Qualcuno” ci viene incontro. 
 
“Abbandonato in fretta il sepolcro – dice l’Evangelo che abbiamo ascoltato – con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli, ed ecco Gesù venne loro incontro e disse “salute a voi”, ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: Non temete!”. Ecco l’incontro che vince la paura.
 
Siamo venuti, ma sapremo riconoscere chi ci viene incontro? Sapremo riconoscere il Signore? Alle donne Gesù ha dato una traccia: “Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea, là mi vedranno”. In Galilea dove tutto è cominciato, in Galilea dove tutto ha il sapore del quotidiano e non dell’eccezionale. “In Galilea” è la rappresentazione di gran parte della nostra vita. 
 
“Là mi vedranno”: ecco la traccia che ci lascia il Signore Risorto.  
 
Mi vedranno nei tratti dell’uomo che Lui ha disegnato. Gesù disegna una figura di uomo, una figura sublime, affascinante e ogni volta che noi riconosciamo un tratto di questa sublimità e di questo fascino noi stiamo riconoscendo Gesù. 
 
Ma è anche l’uomo debole, disprezzato, perché questo uomo sublime è anche l’uomo più massacrato e più umiliato. Allora anche lì dove noi o chi accanto a noi è disprezzato, massacrato, umiliato, noi lo potremo incontrare. 
Lo potremo incontrare e riconoscere nel Vangelo che lui ha annunciato. Senza Vangelo non potremo riconoscere Gesù. Lui lo annunzia, lo abbiamo ascoltato anche stamane, lo annuncia raccontandolo e lo racconta ogni giorno nella vita degli uomini che incarnano il Vangelo, consapevolmente e spesso inconsapevolmente. Se noi, però, abbiamo occhi di fede sapremo riconoscere il Vangelo anche lì dove chi lo sta incarnando ne è inconsapevole.
 
Finalmente lo possiamo riconoscere in questo Pane e la solennità con la quale circondiamo questo pane non deve nasconderci il profondo significato e il segreto di questo pane che è ancora Lui, è la sua vita consegnata: “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue dato per voi”.
 
Cristo è risorto, è sfuggito a quel potere a cui sembra che nessuno possa sfuggire. È sfuggito alla morte, è sfuggito al sepolcro dove seppelliamo le cose migliori, perché siamo impotenti e alla fine ci sfuggono, perché siamo delusi e ciò che abbiamo sperato finisce in una tomba, perché siamo falliti e qualche volta perché siamo arrabbiati. Gesù sfugge alla morte, da cui come cantava San Francesco “nullo homo vivente può scappare”. Se a noi qualcosa ci sfugge sempre, alla morte non sfugge nulla, mai. Lui sì, è sfuggito alla morte. Il potere della morte che ancora devasta è un potere rabbioso perché è stato detronizzato, perché il peccato che genera la morte è stato definitivamente perdonato. 
 
Care sorelle e cari fratelli, siamo qui per incontrare Colui che ci viene incontro e che finalmente ci svela ciò che ci sfugge. È Lui. È Lui che ci permette di gustare ogni istante della nostra vita, è Lui che ci permette di superare quella situazione per cui la vita ci sfugge dalle mani come la sabbia. È Lui.
 
È a partire da questo incontro che noi diventeremo seminatori di resurrezione, coltivatori di  primizie, instancabili suscitatori di speranza. Come? Con i gesti del risorto che sono i gesti dell’amore, che resuscitano i morti, i disperati, i dimenticati, gli abbandonati, che alla fine resuscitano noi stessi.
 
Vi voglio lasciare questa risonanza della Pasqua. La Pasqua è un’esperienza, non è un ricordo. È l’esperienza che c’è Qualcuno che riempie quella sensazione per cui tutto ci sfugge e invece Lui a tutto, anche al più piccolo gesto, riesce a dare compimento.
 
Celebriamo questa Pasqua a distanza di otto giorni da un altro evento che ci riempirà di gioia. Esattamente domenica prossima, in Piazza San Pietro, davanti agli occhi di tutta l’umanità Papa Francesco proclamerà Santi Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II. È una grande gioia, è una grande gioia per la nostra diocesi. Anche loro sono stati una primizia. In modo particolarissimo vogliamo coltivare nella nostra Chiesa la primizia di Papa Giovanni: mentre lo onoriamo, mentre lo pregheremo, cercheremo di coltivare quella primizia di resurrezione che lui ci ha consegnato.