Ordinazione dei Diaconi Permanenti

Cattedrale
16-01-2021

La pervasività del contagio, sta contrassegnando la nostra vita e la nostra fede: anche le nostre celebrazioni. Non si tratta semplicemente delle misure di contenimento, che siamo giustamente chiamati ad osservare, ma di un clima, un’atmosfera, che, se non condiziona la nostra gioia, la caratterizza con pensieri e sentimenti che probabilmente non ci avrebbero attraversato in altri momenti.

Consideriamo la risonanza che assume in questo tempo la parola “servizio”, così pertinente alla chiamata e alla scelta di questi nostri fratelli. Il diaconato è proprio il sacramento del servizio o meglio la grazia che conforma a Cristo servo coloro che lo ricevono.

Abbiamo ascoltato la testimonianza di Giovanni Battista che indica Gesù come “l’agnello di Dio” che coincide con la figura del servo di Dio. Gesù è colui che apre l’orecchio a Dio, ne proclama la Parola e finalmente sta in mezzo agli uomini come colui che serve.

Certamente l’immagine del servo non esercita una grande attrazione. L’attrazione non è esercitata dalla figura del servo, ma da quella di Cristo, che interpreta la propria esistenza e la propria missione nella luce del servizio a Dio e all’uomo, assolutamente radicale. E la radicalità consiste proprio nel fatto che Gesù non esercita semplicemente un servizio, ma assume liberamente la condizione di servo.

In questi mesi abbiamo assistito al dispiegarsi generoso delle più diverse forme di servizio: impressionante, nel famoso discorso del Papa nella piazza deserta, l’elenco non esaustivo di coloro che si sono posti al servizio del prossimo: “… le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni che … stanno scrivendo gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. … Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera.”.

Il sacramento dell’Ordine, nella forma del diaconato, ha a che fare con tutto questo: esige un’esemplarità in rapporto a tutto questo e a tutti costoro. Ma la fede, la relazione con Gesù, il servo di Dio e degli uomini, la Grazia comunicata nel Sacramento non vi conforma semplicemente a coloro che esercitano un servizio nei confronti del prossimo: vi conforma innanzi tutto a Cristo che si è fatto servo di Dio a favore di ogni persona umana.

Il vostro coinvolgimento nella liturgia, annunciando il Vangelo e servendo alla mensa, rende ragione della vostra chiamata e della vostra missione, la alimenta e nello stesso tempo è decisivo nel dar forma alla testimonianza del servizio di Cristo ad ogni persona umana, al povero, all’umanità intera. Proprio per questo, il servizio liturgico assume tanto più significato, quanto più avviene lì dove testimoniate il servizio al prossimo.

Tre consegne raccolgo dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.

La prima è rappresentata dall’obbedienza: la Parola non chiede solo l’ascolto della mente, ma l’adesione del cuore, della libertà e della volontà. La nostra volontà che si lascia plasmare dalla volontà di Dio. La tentazione dell’ascolto estetico o sentimentale della Parola è sempre in agguato. Non possiamo permetterci di gingillarci con la Parola: l’ascolto è lo spazio che le diamo non solo nella mente, ma nel cuore, nella coscienza e finalmente nella volontà. “Parla Signore, che il tuo servo ti ascolta”, abbiamo sentito risuonare sulle labbra di Samuele: la sua risposta coincide con un eccomi esistenziale ed operativo che prevede una conversione continua. Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà”.

La seconda consiste in una sobrietà che rifiuta ogni enfasi retorica. Sobrietà di parole, di gesti, che non coincide con un’assenza o lontananza, ma con un’ascesi della verità delle cose, del loro spessore, delle implicazioni in termini di responsabilità che esigono; sobrietà nel numero e nella qualità delle parole, capaci di seminare anche nelle pieghe della quotidianità le parole del vangelo. “Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai”. In questo temo, siamo costretti a sobrietà di gesti, di movimenti, di iniziative: sia occasione per una scelta di sobrietà, che allarghi gli spazi per ciò che conta, costruisce, rimane.

La terza sottolineatura che la Parola ci consegna è quella dell’apostolo Paolo: Glorificate dunque Dio nel vostro corpo”. Non si tratta dunque semplicemente di adempiere a servizi ecclesiali nei quali si risolve il vostro diaconato e il sacramento che lo consacra. Si tratta di vivere “diaconalmente” nella vostra famiglia, nella società, nella comunità. Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

Che questo possa avvenire è frutto di uno sguardo: lo sguardo di Giovanni fisso su Gesù e quello di Gesù fisso su di Pietro.

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava disse “Ecco l’Agnello di Dio” … Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni…”

Fissate dunque il vostro sguardo su Cristo, l’Agnello di Dio, il servo di Dio e lasciate che lui continui a fissare il Suo sguardo su di voi.