Giovedì Santo – Nella cena del Signore

Cattedrale
28-03-2024

Care sorelle e fratelli,
prendendo parola dopo il gesto di aver lavato i piedi ai suoi, Gesù dice: “vi ho dato l’esempio”. Vogliamo allora raccogliere questo esempio perché ci viene consegnato come gesto che rappresenta la sua stessa vita, il suo stile di vita.

Il suo stile di vita è rappresentato dal gesto umile di lavare i piedi, che esprime la considerazione che noi abbiamo del prossimo, la sua importanza.

Il gesto umile di Gesù di lavare i piedi è corrisposto al gesto umile di lasciarsi lavare i piedi. Tutti viviamo una presunzione di autosufficienza ben rappresentata dall’apostolo Pietro. Un’autosufficienza fragile che può diventare comunque disponibilità a lasciarci lavare i piedi. Il lasciarsi lavare i piedi è il riconoscimento della nostra piccolezza. Noi abbiamo bisogno degli altri, abbiamo bisogno del nostro prossimo. Al di là di esibizioni di forza, a volte anche convinte, siamo piccoli e abbiamo bisogno degli altri.

Il gesto umile di lavare i piedi e di lasciarsi lavare i piedi rappresenta la piccolezza evangelica che cambia la vita. Sono infiniti i gesti che si ripetono quotidianamente in famiglia, nei luoghi della vita sociale, nella vita delle nostre comunità. Sono gesti piccoli, insignificanti agli occhi di molti. Molto spesso anche noi magari facciamo per abitudine, in realtà sono gesti che rappresentano la piccolezza evangelica che cambia la vita cominciando dal basso.

Il gesto umile di lavare i piedi e di lasciarsi lavare i piedi, rappresenta la concretezza come autenticazione dell’ideale. Non solo le belle parole, ma anche gli ideali belli, persino ispirati dal Vangelo, che possono abitare la nostra mente, i nostri convincimenti, il nostro cuore hanno bisogno di essere tradotti in una necessaria concretezza che fa passare dall’ideale al reale.

Il Signore non ci ha lavato la testa. Abbiamo presente l’espressione popolare: “Servirebbe una bella lavata di testa!”. Gesù invece lava i piedi, semplicemente i piedi. Se qualche volta ci intimorisce il fatto che qualcuno possa farci una lavata di testa, lasciamoci almeno lavare i piedi.

Il gesto umile di lavare i piedi e di lasciarsi lavare i piedi rappresenta la necessità della continuità. Sono tanti i gesti evangelici che vivono di ripetizione, anche col rischio della lamentela: “l’ho fatto altre volte, l’ho fatto tante volte… non serve a niente!”. Nella quotidianità i piedi si sporcano. Se non si sporcano i piedi, si sporca qualcosa d’altro della nostra vita. Non basta una volta per lavare, occorrono tante tante volte. E sempre è necessario rifarlo. È insita dunque la disposizione a non lasciarsi lavare i piedi una volta per tutte, perché ne avremo bisogno continuamente.

Il gesto umile di lavare i piedi e di lasciarsi lavare i piedi rappresenta poi l’invisibilità del servo. Gesù ha compiuto questo gesto, la cui narrazione attraversa i secoli, ma è un gesto che è fatto normalmente da persone invisibili, come erano gli schiavi e i servi al tempo di Gesù e come sono un’infinità di donne e di uomini che compiono questi gesti e rimangono completamente invisibili.

Come invisibili sono i monaci e le monache (a cui questa sera laverò i piedi): non li vediamo mai. Come invisibile è il gesto di lavare i piedi, così invisibile è la preghiera. A volte non vediamo nemmeno i frutti della preghiera. È solo un sentimento? È solo una illusione?  A cosa serve? A auto-consolarci momentaneamente? Ma senza l’invisibilità della preghiera, senza il servo, senza il monaco i piedi, le mani, la testa, il cuore sarebbero irrimediabilmente sporchi. La loro preghiera nell’invisibilità tocca la nostra necessità di lasciarci lavare i piedi.

In questo anno della preghiera ho chiesto alle monache e ai monaci di poter lavare loro i piedi. Rappresentano non solo le persone consacrate, ma una miriadi di oranti. Come guardiamo le stelle nel cielo, pensiamo a quanti pregano nella nostra città, nella nostra diocesi, nel mondo. Sono invisibili ma lavano il mondo con la loro preghiera, un’infinità di lava piedi.

Tra poco indosserò un grembiule per rivivere il gesto di Gesù. Il grembiule che userò me lo hanno regalato le donne che sono in carcere e con le quali ho passato ieri il pomeriggio. L’hanno confezionato con le loro mani. I carcerati mi scrivono sempre parole molto belle che andrebbero udite da tanti. “Abbiamo realizzato per lei un grembiule che vorremmo che indossasse per la lavanda dei piedi, così sarà protetto dagli schizzi dell’acqua. È una piccola cosa, ma per noi molto significativa. Vorremmo che questo grembiule le ricordi di noi”. Ho promesso loro che non solo io, ma tutti noi questa sera le avremmo ricordate.

(trascrizione da registrazione)