28-03-2013
Cari fratelli e sorelle,
vogliamo ricordarci innanzitutto questi due convincimenti.
Il primo è che nella lettura e nell’ascolto delle pagine della Scrittura noi siamo posti in relazione con Dio. Le pagine della Scrittura non sono semplicemente la rievocazione o il ricordo di fatti che si allontanano nel tempo, ma è il Signore che parla, che ci parla. “Parola di Dio” noi dichiariamo.
Il secondo convincimento è che questa Parola assurge poi alla sua altezza più grande nel Vangelo. È il Signore Risorto in mezzo alla nostra comunità che ci parla, che ci comunica la buona notizia dell’amore di Dio, la buona notizia che nel momento in cui viene accolta cambia la vita.
Con questi convincimenti vogliamo riflettere su ciò che il Signore ci ha consegnato.
La pagina del libro dell’Esodo ci consegna questa parola liberante: Dio libera il suo popolo. Dio si rivela come un liberatore. La celebrazione della Pasqua per l’antico Israele, e tutt’oggi per coloro che credono in Israele, è la celebrazione di questa liberazione. Una fede custodita anche nei momenti più oscuri di Israele, una fede che i cristiani raccolgono nello stesso modo. Noi crediamo che manifesti il suo amore con un’azione liberatrice. Liberatrice rispetto ad ogni schiavitù, a cominciare da quella decisiva del peccato. L’uomo – ognuno di noi – che sperimenta e che commette il peccato sa che il male ci rende suoi schiavi: non solo quello che ci viene fatto dagli altri, ma quello che noi stessi siamo capaci di compiere e compiamo.
Chi ci libererà? Ecco la parola del Signore: Dio nel suo amore ci riscatta, ci libera, indipendentemente da ogni merito. Non che il merito non sia qualche cosa di irrilevante, ma si configura come una risposta riconoscente a questa azione gratuita e sorprendente di Dio.
C’è una nuova pasqua. Una nuova rivelazione di Dio, che ci parla, che si comunica a noi, che è per noi in una maniera impensabile, per alcuni aspetti scandalosa. Nella vicenda di Gesù Dio non si rivela solo come “il liberatore del popolo”, ma si rivela come “il servo dell’uomo”.
O le parole sfuggono via come l’acqua sulla roccia, o se noi prendiamo in considerazione il significato di queste parole non possiamo che vedere dentro di noi tremare quella che diciamo essere la nostra fede.
Il gesto della lavanda è la parola che Gesù ci consegna in questo senso, ma resterebbe un gesto isolato, sorprendente, scandaloso – Pietro si scandalizzerà -, un simbolo, un esempio – lo dirà Gesù: “Vi ho dato l’esempio” – se non fosse che il gesto della lavanda è come una rappresentazione concreta di tutta l’esistenza di Gesù e soprattutto di quello che avverrà nel momento culminante. Quella morte che non è semplicemente la conclusione della vita di Gesù, o il fallimento della sua missione, ma che in realtà diventa il gesto più grande dell’amore di Dio, di un Dio che si fa servo degli uomini.
Cari fratelli e sorelle, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia noi entriamo in comunicazione con questo amore. Attraverso i gesti semplici e solenni del pane e del vino, attraverso le parole – come quelle che abbiamo udito dall’Apostolo: “ciò che ho ricevuto ve lo consegno: nella notte in cui fu tradito Gesù prese il pane” – noi siamo messi in comunicazione con questo amore divino.
Nel momento in cui noi crediamo a questo amore, allora siamo chiamati a viverlo. “Voi che mi chiamate Maestro, siete miei discepoli. Fate come ha fatto il vostro maestro”.
Un’esistenza concepita così, nel segno di un amore che diventa servizio, sarebbe troppo facile. Il gesto di Gesù non è semplicemente il gesto del servo o dello schiavo che lava i piedi ai suoi padroni o come era al tempo agli ospiti del padrone per necessità prima del pranzo, prima di sedersi a tavola. Il Vangelo dice “durante la cena”. Probabilmente i piedi erano già stati lavati. Perché allora Gesù compie questo gesto? È solamente un simbolo? Che cosa succede veramente quando Gesù compie questo gesto?
Ogni volta che vediamo ripetere questo gesto, come questa sera, vediamo il Signore che si china, il Signore si abbassa, il Signore si inginocchia. Il Maestro lava i piedi, giù in fondo. Il discepolo è su. Non è semplicemente un servizio, un gesto generoso che si traduce nell’attenzione al prossimo, ma è il riconoscere che il mio prossimo è più importante di me. Questo è lo stravolgimento: che l’altro – che non sono io – diventa la regola della mia vita, diventa decisivo per me.
I percorsi dell’egoismo umano che attraversano ogni luogo, ogni tempo, ogni cuore e che in qualche modo nella nostra cultura abbiamo consolidato trasformandoli quasi in un sistema, vengono sconvolti. L’altro è più importante di me, è la mia regola.
Quanto più l’altro non conta, non è importante, non è riconosciuto come regola da parte di nessuno, non detta legge, tanto più questo gesto diventa provocante. È lo scandalo della croce. Questo avviene tra marito e moglie, tra genitori e figli. Avviene nei gesti e nelle considerazioni che siamo chiamati a vivere nelle nostre comunità parrocchiali, religiose, diocesane. Diventa criterio ispiratore per una società non solo più giusta ma anche più umana.
Adesso compirò questo gesto, ma diventi un’immagine per ciascuno. Lo compirò io, ma è Gesù che si china, si abbassa davanti all’uomo e ci insegna ad amare così, a fare dell’altro la mia regola. È qualche cosa che ci provoca profondamente, è qualcosa comunque che ha segnato la testimonianza dell’amore cristiano attraverso i secoli. È qualcosa che è capace – nel momento in cui è vero – di rigenerare ogni speranza, anche quella più mortificata dall’indifferenza, dall’egoismo, da quella centratura su noi stessi che è continuamente in agguato.
Cari fratelli e sorelle siamo qui, viviamo la cena del Signore, viviamo il suo gesto, accogliamolo per noi innanzitutto. Questo gesto Gesù lo compie a noi, con la sua grazia, con quell’amore che viene a prenderci anche nelle situazioni più lontane, quelle che ci sembrano meno degne di stare vicino a Dio. È questo il servizio, è questa l’umiltà di Dio che viene ad accoglierci lì dove ci sembra di essere totalmente indegni. Viviamo questi gesti, ma soprattutto apriamo il nostro cuore alla fede per accogliere quella parola che il Signore ci ha consegnato e ci introduce alla comprensione non solo del gesto della lavanda dei piedi, ma del gesto supremo che ogni volta celebriamo nell’Eucaristia.
(trascrizione da registrazione)