Giovedì Santo – Messa nella Cena del Signore

06-04-2012
Cari fratelli e sorelle,
Gesù bussa alle nostre orecchie perché ascoltino il suo testamento, il suo modo di passare da questo mondo al Padre.
Se ascoltiamo possiamo imparare come vivere i nostri passaggi su questa terra.
Abbiamo udito che ciò che succede avviene di notte.
Nel Vangelo troviamo: “Nella notte in cui veniva tradito, sapendo che era giunta di passare da questo mondo al Padre, durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda di tradirlo…”.
Nella prima lettura, dal libro dell’Esodo il Signore dice: “In quella notte ne mangeranno (si parla dell’agnello) la carne arrostita al fuoco e in quella notte io passerò”.
Vogliamo raccogliere quindi questa considerazione chiara: gli eventi che stiamo celebrando avvengono nella notte.
Nella notte del mondo, nella notte della vita, nella notte di Gesù e anche nelle nostre notti. Il contesto è quindi un contesto di oscurità.
Ed è in questo contesto che Giovanni commenta ciò che Gesù sta facendo con queste parole: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine”.
Nell’oscurità non si distingue più nulla ed è difficile anche avvertire l’amore. Ma è proprio nell’oscurità che dice Giovanni Gesù amò i suoi sino alla fine.
La notte della paura viene quindi abitata e illuminata dall’amore.
Non ci è difficile riconoscere quello che ho appena ricordato.
Non ci è difficile riconoscere che anche la più piccola fiammella d’amore è capace di illuminare le notti della vita e del mondo.
Proprio con questa intuizione profonda e mi auguro in qualche modo sperimentata da tutti, noi possiamo avvertire e riconoscere il mistero di queste notti, delle notte pasquali, in cui si accende una luce che non si spegnerà e che alimenterà altre luci.
È la luce dell’amore di Dio che si manifesta appunto in Cristo, nei suoi gesti, nelle sue parole e nella sua morte.
Allora possiamo domandarci: quali sono le caratteristiche di questo amore che non si spegne mai e che è capace di accendere altri amori o di riaccendere amori che si sono spenti?
La pagina evangelica ci consegna un lineamento molto chiaro di questo amore: è l’amore che assume la forma dell’umile servizio liberante.
Sì, bisogna dirlo, quando Gesù parla della purificazione – “voi siete già tutti puri, soltanto i piedi hanno bisogno di essere purificati” – evoca appunto non soltanto il servizio – “io sono in mezzo a voi come colui che serve” – ma un servizio liberante. Questo è uno dei connotati dell’amore che non si spegne, dell’amore che accende altri amori. Un servizio liberante.
Dobbiamo ricordarcelo, perché il rischio qualche volta è che il nostro servizio diventi condizionante. Il servizio evangelico, il servizio come autentica espressione d’amore, il servizio di Cristo è un servizio che libera, non che pesa su coloro che vengono serviti.
Il secondo tratto di questo amore che illumina la notte è il tratto del dono, quel dono che abbiamo sentito evocare in maniera potentissima nella breva pagina di Paolo, il primo che scrive: “nella notte in cui Gesù fu tradito, prese il pane e il calice e disse questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Ogni dono anche il più piccolo è capace di illuminare la notte, ma qui siamo di fronte alla luce che illumina ogni notte, che non si spegnerà più e che è capace di accendere altre luci.
Gesù dona il proprio io, quell’io che tante volte è una specie di calamita che attrae e mangia tutto ciò che sta attorno a sé. Qui no, è un io che viene dato per essere mangiato. Questa è la seconda caratteristica dell’amore che splende nella notte.
E, infine, abbiamo ascoltato proprio nella pagina dell’Esodo di Dio che passa e il suo passaggio drammatico allora è profezia di un altro passaggio, quello di Cristo, in cui Dio nel suo Figlio dona la sua vita, sacrifica la sua vita per la vita del mondo.
Il terzo tratto dell’amore è che lì dove è libero e sincero genera vita.
Nei gesti eucaristici questo amore ci viene comunicato.
Noi non siamo semplicemente i discepoli di un maestro, siamo i fratelli, gli amici, siamo messi in una relazione che noi chiamiamo di comunione profonda con il Cristo crocifisso e risorto che comunica a noi questo amore. Io non sono capace di amare così, noi a volte sperimentiamo la povertà del nostro amore, ma attingendo al gesto eucaristico noi entriamo in comunicazione, in comunione con questo amore. Il Signore Gesù ci comunica, ci offre questa capacità di amare, per tutta la vita, al di là delle nostre cadute, dei nostri egoismi gretti.
Nel gesto simbolico della lavanda dei piedi viene evocata la verità esistenziale di ciò che ho rammentato, sì perché sono importanti le parole, è importante anche il gesto – ma il gesto è un simbolo, anche questa sera – , ma quell’amore che illumina la notte trova la sua verità nella vita, nella vita di Gesù e nella vita di chi lo accoglie, di chi crede, di chi entra in comunione con questo amore e lo lascia brillare nella sua stessa esistenza.
La lavanda dei piedi ci evoca questo amore. Li laverò ai missionari, a coloro che rappresentano il mondo missionario, uomini e donne, persone che nella grande storia della nostra Chiesa bergamasca si inseriscono e diventano segno di una moltitudine d uomini e donne, preti e suore, persone consacrate e laici, che a partire dall’esperienza di fede alimentata qui nella nostra Chiesa si sono posti al servizio della fede, di Cristo e degli uomini in tanti paesi del mondo. “Come sono belli – dice il profeta – i piedi del messaggero di lieti annunzi” ed è giusto allora che il Vescovo, come segno di riconoscimento lavi questi piedi dei messaggeri del lieto annuncio del Vangelo.
Cari fratelli e sorelle, così vogliamo vivere intensamente questa Eucarestia e disporci attraverso i gesti che alimentano le celebrazioni pasquali a rinnovare quella fede che è capace di trasformare l’esistenza e la storia del mondo.