Giovedì Santo – Messa Crismale

Cattedrale
18-04-2019

Cari sacerdoti,
rivolgo a tutti il mio saluto fraterno unito alla riconoscenza per aver accolto l’invito a questa solenne celebrazione.

Saluto con affetto i vescovi presenti (mons. Mazza e mons. Bonicelli), i presbiteri religiosi, i diaconi permanenti, i seminaristi, il diacono Glauco che avremo la gioia di ordinare presbitero tra poche settimane.

Un saluto a tutti i sacerdoti assenti (anziani, infermi, malati, isolati, stanchi, o risentiti…).

Un saluto al Vescovo Bruno Foresti e al Vescovo Serafino Spreafico che per motivi di salute non possono essere presenti ma ci sono vicini.

Un saluto a coloro che rappresentano il nostro presbiterio e la sua generosità su frontiere che superano i confini della nostra Diocesi.

Un augurio affettuoso a coloro che celebrano un anniversario speciale.

Un pensiero carico di affetto per i nostri fratelli che non esercitano più il ministero.

Un particolare ricordo per il Vescovo Lino nel primo anniversario della sua morte e del Vescovo Roberto nel decimo anniversario (che ricorderemo in modo speciale nei prossimi mesi).

Desidero salutare con gioia i cresimandi presenti: cari ragazzi e ragazze partecipate ad una grande liturgia. Sentirete la voce di tanti sacerdoti promettere la propria vita al Signore e vedrete la consacrazione del Sacro Crisma con cui sarete segnati nel giorno della vostra Cresima. La lunghezza di questo rito non vi scoraggi e la testimonianza di tanti sacerdoti riuniti apra il vostro cuore a considerare la chiamata di Gesù a donare la vostra vita per Lui e per il suo Vangelo.

Abbiamo udito le parole del profeta Isaia: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti. Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore”. Stupenda questa immagine: uomini di Dio, benedetti dal Signore.

Così ci stanno vedendo con gli occhi e con il cuore le persone presenti e quelle che attraverso lo schermo televisivo stanno assistendo alla nostra celebrazione e che pure saluto cordialmente.

Ed è ancora il profeta, riletto da Gesù nella sinagoga di Nazareth, che illumina con particolare intensità la connotazione essenzialmente missionaria del nostro ministero che è certamente un servizio ed una responsabilità, ma indubbiamente è missione.

Forti le parole di Papa Francesco in Evangelii Gaudium: “La missione al cuore del popolo di Dio non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG 273).

Questi verbi li troviamo rappresentati proprio dagli olii, che tra poco benediremo, segni originali della missione del vescovo e del presbitero. La vita nuova, la consolazione liberante, la consacrazione permanente a Lui, trovano nel segno dell’olio un’espressione certamente simbolica, ma soprattutto sacramentale. Sono i “santi segni” messi “esclusivamente” – non in termini di privilegio ma di servizio – nelle mani del vescovo e del presbitero.

La bellezza, la gioia e la trepidazione di questa interiore consapevolezza trovano la loro espressione comunitaria e, possiamo dire solenne, nella rinnovazione delle promesse sacerdotali. Non si tratta semplicemente della riaffermazione di un proposito. Promesse e giuramenti sono ricorrenti nella vita cristiana: corrispondono ad una necessità educativa ed ascetica, ad una consapevolezza rinnovata e approfondita e comunque insufficiente e sempre fragile. Noi rinnoviamo le promesse soprattutto nel segno della Grazia, alimentando insieme il sentimento di meraviglia per le “grandi cose che ha compiuto in noi l’Onnipotente”. È la grazia della Pasqua. È la novità della Pasqua la sorgente di ogni rinnovamento: è Dio, nel Cristo vivente e nel suo Spirito che rinnova la sua promessa e “dà fiato” alla nostra. Non dunque una rinnovazione formale, addirittura stanca o rassegnata, ma una parola che sale dal cuore che il Signore è capace di rinnovare, più forte delle nostre stanchezze e dei nostri “tradimenti”.

Nella lettera d’invito ho sollecitato alla preghiera per le vocazioni al sacerdozio ministeriale, particolarmente, ma non esclusivamente, in questa celebrazione, a partire dalla riconoscenza e dalla gioia per la nostra chiamata e dall’impegno a corrispondervi fedelmente e integralmente.

Preghiamo e proponiamo non la nostra vita, la nostra immagine, ma la missione che il Signore ci affida: è un invito che rivolgo a voi e a tutti i cristiani, nell’orizzonte di questi anni, in cui abbiamo guardato ai giovani, alla loro vita, alla loro fede e appartenenza alla Chiesa, alla dimensione vocazionale della vita.

Scrive il Papa nell’Esortazione apostolica Christus vivit: “Se partiamo dalla convinzione che lo Spirito continua a suscitare vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, possiamo ‘gettare di nuovo le reti’ nel nome del Signore, con piena fiducia. Possiamo – e dobbiamo – avere il coraggio di dire ad ogni giovane di interrogarsi sulla possibilità di seguire questa strada. Alcune volte ho fatto questa proposta a dei giovani, che mi hanno risposto quasi in tono beffardo dicendo: ‘No, veramente io non vado in quella direzione’. Tuttavia, anni dopo alcuni di loro erano in Seminario. Il Signore non può venir meno alla sua promessa di non lasciare la Chiesa priva dei pastori, senza i quali non potrebbe vivere né svolgere la sua missione. E se alcuni sacerdoti non danno una buona testimonianza, non per questo il Signore smetterà di chiamare. Al contrario, Egli raddoppia la posta, perché non cessa di prendersi cura della sua amata Chiesa” (CV 274-275).

La considerazione dei giovani e della loro vocazione diventa, in questa circostanza, uno sguardo, illuminato da affetto e speranza, nei confronti dei sacerdoti più giovani del nostro presbiterio: sono una minoranza numerica, ma non una minoranza qualitativa.

Quel benedetto ascolto dei giovani che il Papa continuamente raccomanda dobbiamo esercitarlo tra noi, più di quello che stiamo facendo. Non si tratta di un atteggiamento accondiscendente, non si tratta di sottrarci alle nostre responsabilità di adulti e anziani, ma di raccogliere le provocazioni e la profondità della loro presenza, del loro servizio, della loro gioia, della loro fatica.

Il Consiglio Presbiterale Diocesano del 12 dicembre scorso è stata occasione preziosa per ascoltarli, così come avviene più frequentemente nelle Fraternità, nelle parrocchie e unità pastorali, nelle numerose occasioni di incontro e formazione.

Un rilievo critico a queste possibilità, pur apprezzate, è la loro frammentarietà che rischia di svuotarle di valore: dobbiamo far nostra una logica processuale e ancor più una logica generativa. Nutro una forte speranza nelle dinamiche che le Fraternità Presbiterali si propongono. È vero, sono necessarie anche competenze, ma la continuità relazionale e generativa non è impresa per pochi eletti: è piuttosto consapevolezza della posta in palio che è la nostra stessa “vitalità” esistenziale e pastorale.

Raccogliendo le riflessioni dei nostri confratelli più giovani desidero invitare tutti ad uno sguardo più ampio che è capace di vedere e di fare unità dei tanti frammenti del nostro ministero che ci sembrano semplicemente giustapposti, se non addirittura contrapposti. È lo sguardo che non solo permette di riconoscere i “segni dei tempi”, ma anche i processi in atto e le loro implicazioni. La frammentarietà dei vissuti, non diventi frammentazione del nostro ministero.

Loro, i più giovani tra noi, denunciano in maniera più aperta l’esposizione ad una solitudine sofferta, non soltanto da loro: non solo solitudine affettiva, ma anche pastorale e infine esistenziale.

Le cause di questa esposizione sono diverse e non dobbiamo sottovalutare quella, paradossale, che è frutto di un principio di autonomia così radicale, da sfociare inevitabilmente nell’isolamento, nell’incomprensione e nella solitudine.

Alimentare tutte le possibili variazioni che le dinamiche fraterne e amicali possiedono, rappresenta il percorso perché, quella che rischia di diventare la più grave epidemia del nostro tempo – la solitudine – non contagi la nostra vita e il nostro ministero.

Non ci dispiaccia di “appartenere”: se il legame con il Vescovo merita tutta la cura, soprattutto da parte sua, quello con il presbiterio diventa l’atmosfera quotidiana del nostra vita e del nostro servizio evangelico.

Le tentazioni trionfalistiche sono sottoposte oggi alla dura prova delle delusioni e delle umiliazioni; non ci possiamo lasciare sedurre dalle prospettive di una “casta privilegiata”, ma lasciamo che la gioia e l’onore di appartenere alla compagine di uomini scelti dal Signore per la speranza e la salvezza di tutta l’umanità trovi spazio nei nostri cuori. Non ci vantiamo di noi stessi, ma certamente della chiamata del Signore, che ci unisce non per separarci dagli altri, ma per meglio donarci a loro.

Un’ultima istanza ci viene dai preti più giovani: la necessità di superare la cosiddetta ansia da prestazione, che appartiene alla nostra cultura e si alimenta ulteriormente alla concretezza tipicamente bergamasca che fa del lavoro e dei suoi risultati un criterio decisivo.

Vi riporto le loro parole: “Noi stessi ci misuriamo con criteri prestazionali e ci frammentiamo in mille cose. L’unica via d’uscita è garantirsi uno spazio per un lavoro spirituale che diventi un luogo di sintesi. Un luogo dove rileggere alla luce del Vangelo noi stessi nel ministero per ricondurre alla loro giusta dimensione le varie esaltazioni ed eccessi o risentimenti, strappi relazionali, sensi di colpa, sbagli… per poterne essere liberi, accettando i propri limiti, e ‘reggere’ il peso delle aspettative scoprendo che si possono anche deludere senza per questo colpevolizzarsi o perdere la serenità”.

Insieme all’attenzione a queste condizioni, vogliamo accogliere le indicazioni preziose non solo per i giovani, ma per tutti. Non si tratta di giustificare pigrizie, ma di non lasciarsi imprigionare nelle maglie di una mentalità giudicante e selettiva, che fa dei risultati più che dei frutti il metro di misura del nostro ministero.

Cari fratelli, è l’occasione propizia per entrare nel dinamismo pasquale, non sottraendoci alla prova della croce, credendo fermamente nel dono di una vita, più che nell’esito di un nostro sforzo, aprendoci alla possibilità di un orizzonte sempre sorprendente che viene inaugurato dalla risurrezione di Gesù: si tratta di quell’oggi che è risuonato nella sinagoga di Nazareth e che nella Pasqua diventa l’oggi della nostra esistenza e del nostro ministero: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”.

“Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.