17-01-2016
Cari fratelli e sorelle,
ci stiamo rendendo conto di quanto sia preziosa questa occasione di preghiera condivisa, connotata dalla celebrazione nelle comunità di tutto il mondo della Giornata del Migrante e del Rifugiato e in particolare con una preparazione accurata avvenuta in questo Vicariato.
Mi sembra che aver condiviso l’ascolto del Vangelo in tante lingue del mondo ci faccia consapevoli da un verso dell’universalità della Chiesa e nello stesso tempo di quello che abbiamo cantato insieme: “annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore”.
Per chi è cristiano, non c’è cristiano al mondo che sia per lui straniero.
In questa occasione è tanto prezioso anche ricordare donne e uomini di altre religioni: fratelli e sorelle di religione ebraica (il Papa proprio in questo momento sta visitando la Sinagoga di Roma e incontrando persone di religione ebraica); nella nostra preghiera incontriamo anche sorelle e fratelli di religione islamica, coloro che sono tra noi e che vorremmo accogliere in maniera degna permettendo che possano professare e pregare nella loro religione e coloro che abitano tanti Paesi particolarmente attorno al Mediterraneo ma anche lontani come l’Indonesia. Vogliamo pregare per quei fratelli che stabiliscono con noi relazioni di pace e di comprensione e anche per quelli che deformando l’immagine di Dio e utilizzandola a giustificazione di violenze aberranti stanno scatenando terrore nel mondo e perseguitando i nostri fratelli cristiani.
Nell’Eucaristia misteriosamente noi possiamo portare tutti, consapevoli che l’Eucaristia allarga il nostro cuore e nello stesso tempo ci richiama responsabilità che attingono al Vangelo e che dobbiamo esercitare con tutta la nostra intelligenza e la nostra convinzione.
La Giornata mondiale di quest’anno porta come titolo: Migranti e rifugiati ci interpellano e il Vangelo risponde con la misericordia.
Misericordia è una forma della carità. Lo sto ripentendo diverse volte quest’anno: la carità è più grande della misericordia, la carità abbraccia tutta la vita. Un cristiano ispira alla carità tutti i suoi comportamenti. La misericordia è quella forma di carità che siamo chiamati ad esercitare nei confronti delle miserie umane, la più grande delle quali – non dimentichiamo – è il peccato.
Misericordia è il nome della carità che Dio usa nei confronti delle mie miserie, delle nostre miserie e che noi, una volta accolta e compresa, possiamo esercitare come testimoni della carità di Dio nei confronti di tutti gli uomini e le donne e delle loro miserie. Miserie culturali, miserie esistenziali, miserie materiali, miserie morali e spirituali.
La miseria a partire dalla storia di Gesù non è una condanna ineluttabile alla quale tante persone umane devono rassegnarsi, ma dalla vicenda di Gesù scaturisce una speranza più forte di ogni miseria.
Care sorelle e fratelli cristiani, di tutti i popoli, siamo chiamati ad essere i testimoni di questa speranza più forte di ogni miseria. Noi non possiamo risolvere tutte le miserie del mondo, ma possiamo disporre la nostra intelligenza, il nostro cuore e le nostre mani perché ogni miseria possa essere sollevata, riscattata, cominciando dalle persone che possiamo accostare.
Uno dei messaggi più forti che il Papa ci lascia in questa giornata è proprio questo: abbiamo davanti l’orizzonte del mondo, perché quello delle migrazioni è oggi un fenomeno mondiale. Noi possiamo certamente alimentare il nostro sguardo, la nostra conoscenza in maniera più grande anche nei confronti di queste dimensioni, ma poi dobbiamo esercitare la nostra fede nella misericordia a partire dalle persone che incontriamo, da coloro che vivono con noi. Veramente l’incontro, lo sguardo che si incrocia e l’abbraccio che possiamo concederci gli uni gli altri è qualche cosa che sta accanto alla nostra casa, dentro nei nostri paesi e le nostre città, dentro le nostre comunità e i nostri oratori, così come nel bel convegno di ieri si è ricordato.
Care sorelle e fratelli, questo grande fenomeno che caratterizza il nostro tempo pone tanti interrogativi. Pone interrogativi a coloro che ricevono nel loro paese persone che arrivano da Paesi diversi e pongono interrogativi anche a voi, fratelli e sorelle giunti da Paesi diversi dal nostro e che abitate nel nostro paese da tanti anni. Anche voi condividete con noi italiani, proprio alla luce della fede comune, le domande e gli interrogativi, ma dobbiamo dire anche le inquietudini e le paure che accompagnano queste domande e questi interrogativi.
Non prendere sul serio le domande e gli interrogativi che questo fenomeno suscita significa già porsi in una posizione superficiale e dare spazio a tutti coloro che a queste domande e a questi interrogativi danno risposte inumane.
Noi pensosamente, seriamente, ci poniamo le domande e gli interrogativi che questo grande fenomeno comporta.
In questa circostanza desidero dire un grande grazie a tutti coloro che in questi anni e particolarmente in questi mesi si sono disposti a dare una risposta umana, ispirata al Vangelo, a queste domande e a questi interrogativi.
Desidero ringraziare coloro che nella nostra Diocesi, nelle nostre parrocchie, nell’associazionismo o nei movimenti ispirati dal Vangelo e dalla carità hanno generosamente e coraggiosamente offerto queste risposte. Non in modo estemporaneo. Sono risposte qualificate e ricche di umanità.
Desidero ringraziare anche tutti i responsabili del bene comune che hanno messo in gioco le loro competenze per dare risposte degne dell’uomo e della nostra civiltà a coloro che sono giunti nel nostro Paese con speranza di un futuro migliore.
Cari fratelli, dicevo che il Papa ci dice che la prima risposta è quella di guardare negli occhi, dell’incontrare coloro che inizialmente ci sono estranei. Le testimonianze delle nostre comunità che hanno aperto a questa accoglienza dicono che aprendo gli occhi, incrociando gli sguardi, incontrandosi senza pregiudizi si sviluppa una comprensione che molto spesso non viene neppure immaginata. Questa è la prima risposta che possiamo dare.
Vi è una seconda risposta, che possiamo dare come cristiani e come cittadini di questo Paese. Il Papa dice: dobbiamo sostenere tutte quelle politiche che incidono realmente sulle condizioni di pace, di giustizia e di benessere sociale nei Paesi da cui si spostano enormi quantità di persone spesso giovani. Tante volte l’abbiamo detto, qualche volta l’abbiamo anche sbandierato come uno slogan, ma non lo stiamo facendo. In questi decenni non è stato fatto. Non possiamo soltanto imputare questo a coloro che ci hanno governato e ci governano, siamo noi i cittadini di questo Paese e di questa Europa. Questa strada non vuole essere un muro che si oppone ai liberi spostamenti degli uomini, ma deve essere veramente invece la condizione perché questi spostamenti avvengano in una autentica libertà e non sotto il segno di ingiustizie, guerre, violenze, fame, carestia, dittature o anche semplicemente per cercare un futuro migliore o un lavoro.
Sotto questo profilo ribadisco ancora che non possiamo distinguere poveri da poveri, miserie da miserie e opporre gli uni agli altri.
La miseria che socialmente ci ha colpito di più in questi anni nel nostro Paese è quella della disoccupazione. Di questa hanno sofferto molti italiani e probabilmente anche alcuni tra voi o alcuni tra i vostri cari. Ne hanno sofferto anche molti immigrati da anni nel nostro Paese, esponendoli a una precarietà ancor maggiore della nostra. Desidero ribadire che la nostra Chiesa, la nostra Diocesi, le nostre comunità non hanno fatto mancare risposte concrete a questa grave situazione che non abbiamo ancora superato e che prende il nome di disoccupazione.
Possiamo fare sempre di più, ma io credo che con senso di responsabilità e grandezza di cuore abbiamo dato risposte, accogliendo anche le nuove attese, le nuove miserie che appunto persone che arrivano da altri Paesi ci hanno sottoposto.
Infine, la terza risposta ispirata dal Vangelo a questo grande fenomeno è quella che ci porta a riconoscere comunque, qualsiasi sia la sua condizione, in ogni essere umano non solo i tratti indelebili della sua dignità, ma addirittura i tratti di Gesù, il Figlio di Dio: “Quello che avete fatto a uno di questi, lo avete fatto a me”.
Care sorelle e fratelli, dobbiamo entrare nella prospettiva che questi movimenti di persone umane sono parte integrante delle caratteristiche del nostro tempo. In questo senso non dimentichiamo i tanti italiani che nel secolo scorso sono emigrati dalle nostre terre e la ripresa dell’emigrazione italiana da parte di nuove generazioni.
Dobbiamo passare da una considerazione di questa realtà come una permanente emergenza ad una considerazione della permanenza strutturale di questo fenomeno.
L’emergenza, quella vera, deve essere quella della nostra coscienza, della coscienza cristiana capace di suscitare gesti di giustizia e di solidarietà che il Vangelo ogni giorno ci richiede.
(Trascrizione da registrazione)