Eucaristia nel XX anniversario della morte di Mons. Giulio Oggioni

26-02-2013
“Non dobbiamo programmare Dio, ma piuttosto metterci nel programma di Dio”

 
È questo un passo di un’omelia di mons. Giulio Oggioni, il Vescovo che, per 14 anni, ha guidato la nostra Chiesa, spendendosi, con non poca sofferenza, per dare alla diocesi di Bergamo un volto di Chiesa conciliare. Nella Pentecoste del 1983, in questa Cattedrale, egli ricordò alla diocesi che senza santità il Vaticano II non potrà avere efficacia ecclesiale. Solo la santità è via di efficacia e di autentico rinnovamento.
 
Questa meta alta di ogni cristiano non consiste, però, nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo Gesù: nell’accogliere l’abbraccio della sua misericordia che ci assicura che i nostri peccati, anche se fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve e nell’offrire la nostra sincera disponibilità a lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, per essere, noi pure, come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia.
 
Il vangelo di questo giorno di quaresima ci invita a guardare a Cristo; solo Lui è il Maestro e Signore che non delude. Soltanto Lui è l’unico vero Maestro. Alla bontà di Dio e al suo amore per gli uomini che si sono manifestati in Cristo Gesù (Benignitas et Humanitas era il motto dello stemma di mons. Oggioni) ci invita a riflettere, stasera, a venti anni dalla morte (avvenuta il 26 febbraio 1993), la testimonianza del vescovo Giulio che, nella nostra Chiesa di Dio che è in Bergamo, è stato pastore infaticabile e vigilante.
 
L’insegnamento fu la nota peculiare del suo episcopato, come testimoniano i suoi numerosi interventi, pubblicati anche in opuscoletti con la riproduzione, in copertina, dell’immagine della cattedra, la sede del Vescovo, segno evocativo del compito di maestro della fede. Il vescovo Giulio custodiva in cuore un sentire alto della priorità di annunciare il messaggio cristiano, in particolare, attraverso la predicazione in Cattedrale.
 
Personalmente ho sempre sentito forte la responsabilità del discorso nella Cattedrale e l’ho privilegiato come strumento del mio ministero di maestro: l’ho privilegiato di fronte ad altre forme come le lettere pastorali o gli interventi dottrinali. Sentendo la Cattedrale come il luogo del mio insegnamento … (Messa Crismale del Giovedì Santo 23 marzo 1989 in La Vita Diocesana 1989 n. 4 pag. 37).
 
I presbiteri, in particolare, erano i destinatari che egli teneva sempre presenti, non solo nei discorsi rivolti espressamente a loro, come nella Missa Chrismatis, ma in ogni discorso fatto in Cattedrale.
 
Come maestro della fede ed educatore della fede, il vescovo Giulio non ha fatto mancare la sua parola sulla spiritualità dei vari stili di vita, anche se, come è noto, non ha lasciato un testamento spirituale e neanche scritti a carattere diaristico che permettano di leggere il suo profilo spirituale e di rivisitare le fonti da cui ha attinto la linfa che lo ha alimentato nel suo servizio ecclesiale.
 
Il suo magistero è stato rivelatore dei tratti spirituali della sua personalità, anche se, nelle omelie e nelle catechesi, i riferimenti alla propria vita personale e al proprio mondo interiore sono pochi. Tra i pochi – e proprio per questo significativi – la risposta alla domanda da lui stesso posta, nel discorso di ingresso in diocesi: Chi mi ha mandato a Bergamo?
 
Non sono venuto per mia scelta. Neppure il più lontano pensiero mi portava verso questa Chiesa; e quindi nessun gesto, né diretto, né indiretto ho compiuto al riguardo. Neppure sono venuto indicato o chiamato da voi. Chi ha indicato la mia umile persona per l’ufficio di pastore della grande Chiesa di Bergamo? Non lo so, ne lo voglio sapere. Del resto non è a questo tipo di ricerche, ma alla parola di Dio e alla riflessione teologica che dobbiamo domandare la risposta all’interrogativo sull’invio e sulla missione del Vescovo (Discorso di ingresso, 28 agosto 1977, La Vita Diocesana, 1977 pag. 417).
 
Nella stessa occasione, rivelò con grande semplicità e schiettezza di avere semplicemente indicato, nel suo discorso di ingresso, le linee guida del ministero e della sua missione di Vescovo. E rispondendo indirettamente a quanti, da subito, si attendevano un programma di azione pastorale, il vescovo Giulio diede una preziosa e perenne indicazione di vita:
 
Forse… voi avreste desiderato un programma più preciso e organico. Non l’ho presentato, perché finora non ce l’ho. Mi aiuterete voi sacerdoti, religiosi e laici a costruirlo in modo conforme e docile alla Parola di Dio – non dobbiamo programmare Dio, ma piuttosto metterci nel programma di Dio – in comunione con tutti i Vescovi uniti al Papa, in aderenza alle situazioni della nostra Chiesa (idem).
 
L’episcopato del vescovo Giulio si è caratterizzato non solo per l’insegnamento (in sermone) ma anche per le opere (in opere). E le opere, come l’insegnamento, hanno avuto un chiaro e continuato punto di riferimento nel Concilio ecumenico Vaticano II.
 
La fedeltà al Concilio, la sua retta comprensione e la sua corretta applicazione sono state al centro della cura episcopale del vescovo Giulio, dai primi passi del suo ministero a Bergamo, fino al compimento della sua missione, con il Convegno Ecclesiale da lui sentito come percepito come sintesi dell’intero episcopato: Dare alla diocesi di Bergamo un volto di Chiesa conciliare.
 
In un mondo in trasformazione ha cercato vie di aggiornamento, fedeli all’insegnamento della Chiesa e nel solco della nostra storia e della nostra tradizione. In questa luce, si comprendono molte opere del suo episcopato: l’istituzione dei Vicariati, il riordino della Curia e dei Centri pastorali, la Visita Pastorale, la rivisitazione degli Istituti Sacerdotali, gli orientamenti per lo svolgimento della catechesi, il rilancio della pastorale degli oratori, la cura per la pastorale delle vocazioni e il Seminario, le attenzioni per la pastorale sociale e la pastorale della santità, dedicando a quest’ultimo tema una specifica lettera pastorale.
 
Il volto della Chiesa mistero, con le note che professiamo nel Simbolo degli Apostoli – credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica – ha illuminato le sue scelte e il suo ministero. Nella Pentecoste del 1978 così concluse la riflessione sulla Chiesa:
 
Quanto abbiamo detto della Chiesa mistero e della sua unità vale anche per la Chiesa di Dio che vive in Bergamo. Solo se si sente portatrice di tanto mistero, e ne trae ispirazione per il proprio comportamento, la Chiesa bergomense sarà veramente Chiesa. Solo se si sente comunione di vita in tutti i suoi membri e in tutte le sue espressioni – locali, di settore e di gruppo – sarà veramente se stessa e potrà presentarsi agli altri, con umiltà e chiarezza, con atteggiamento di dialogo, diventando non campo da conquistare o preda da catturare, ma interlocutore rispettoso, capace di annunciare il Vangelo. (Omelia nella solennità di Pentecoste 14 maggio 1978, La Vita Diocesana, 1978, pag. 470).
 
Grazie al Concilio il vescovo Giulio maturò alcuni principi di fondo che divennero di fondamento della sua attività pastorale e da lui esposti nell’omelia in occasione del cinquantesimo di ordinazione sacerdotale. Con una premessa e una finale che trovo utile riprendere. La premessa.
 
Si parla oggi frequentemente di rievangelizzazione… Condivido questo bisogno, ma anzitutto lo intenderei non solo nel significato ridotto di rinnovato annuncio della Parola – mentre temo che essa sia intesa da molti in questo senso riduttivo – ma di rinnovata presentazione del messaggio cristiano, delle celebrazione liturgica, della formazione del popolo di Dio. In secondo luogo vorrei notare che la rinnovata evangelizzazione non va intesa solo nel senso di forme nuove di evangelizzazione adatte al mondo e alla cultura attuale, ma soprattutto nel senso di riscoprire le novità dell’evangelo che è sempre buona novella ed efficace novità (Omelia, 3 giugno 1989, in La Vita Diocesana 1989, n 6-7 pag. 20)
 
Ne ricordo poi la conclusione. E’ una conferma dell’unità tra ministero sacerdotale e vita spirituale La riflessione sulla mia esperienza pastorale di questi 50 anni… mi ha condotto, quasi insensibilmente, a tracciare delle direttive pastorali, dove la mia esperienza personale si nasconde per far emergere il mio ministero episcopale. Però io non distinguo oggi tra la mia esperienza e il mio ministero; e se ho sconfinato dall’una all’altra per darvi delle direttive, accettatele non solo come un ministero, ma anche come una mia esperienza. Rivestiranno così anche l’aspetto di un dono personale che io offro oggi, con gioia, ai miei sacerdoti e ai miei fedeli (Omelia, 3 giugno 1989, in La Vita Diocesana 1989, n 6-7 pag. 20)
 
Altri insegnamenti si potrebbero raccogliere dalla figura, dalle parole, dalle attuazioni e dai gesti pastorali del vescovo Giulio Oggioni. Ho scelto raccolto e proposto questi pochi, che possono aiutarci a farci crescere nella gratitudine, nella venerazione e nel ricordo affettuoso di un grande Vescovo, formatore nella fede e nella vita cristiana.