29-03-2015
Care sorelle e fratelli,
nell’istante di silenzio dopo l’annuncio della morte del Signore abbiamo lasciato risuonare nel nostro cuore una preghiera. A questa aggiungo una piccola riflessione che condivido insieme con voi, consapevole che la narrazione della passione di Gesù e della sua morte rappresenta certamente una delle più grandi narrazioni che esistano nella storia del mondo.
È un grandissimo affresco che non finiamo mai di contemplare, ma soprattutto è un vangelo, cioè è un annuncio, è un messaggio che vuol comunicarci una speranza, che vuol dirci qualcosa di buono da parte di Dio. Veramente sembra paradossale questo fatto, che mentre viene detta una morte, descritta in tutta la sua drammaticità, ci venga consegnata una buona notizia.
La buona notizia la conosciamo, ma continuamente dobbiamo risentirla per rinnovare la nostra fede in questo annuncio. La buona notizia è che questa morte è per la nostra vita. Noi stentiamo a crederci, come Pietro e tutti quelli che progressivamente si sono allontanati lungo il percorso della croce. Ma la comunità dei credenti, la Chiesa, dai primi che hanno visto e testimoniato, fino ad oggi continua ad annunciare agli uomini questa speranza: che in questa morte che sembrerebbe la fina di ogni speranza, è invece germinata la vita. Una vita per sempre, non perché si dispiega nei secoli, senza fine, ma perché è definitiva e nessuna morte – qualsiasi sia quella che stiamo sperimentando – è capace di distruggere quella vita che con la fede noi possiamo raccogliere.
Siamo partiti con l’annuncio dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Una festa e nel camminare in questa splendida giornata, in questa splendida città, pensavo a Gerusalemme dove i cristiani alla stessa ora, come noi, stanno camminando per le strade della città santa e per i cristiani di Gerusalemme la rievocazione dell’ingresso di Gesù è un momento importantissimo. Vogliamo pregare allora per tutti i cristiani del Medio Oriente, per i cristiani perseguitati ricordando questi luoghi santi ma ancora tanto tormentati.
Anche noi nella “nostra” Gerusalemme abbiamo cantato “Osanna al figlio di David”. Non so se avete badato: nell’annuncio della passione Gesù viene riconosciuto più volte con il titolo di “figlio” e con attribuzioni di paternità diverse: il figlio di David, il figlio dell’uomo, il figlio di Dio, “dicci se sei tu il Cristo il figlio del Dio vivente” e l’affermazione di Gesù – “vedrete il figlio dell’uomo” – sarà il motivo della sua condanna per bestemmia. Finalmente, lungo questo percorso segnato dal titolo di figlio, c’è un uomo, un povero uomo, un uomo tagliato fuori, anche se in quel momento è tra quelli che ha esercitato il potere più drammatico e tragico, cioè quello di mettere concretamente in croce Gesù Cristo: il centurione, il quale “vedendo com’era spirato disse: veramente quest’uomo è figlio di Dio”.
Il percorso della passione ci viene consegnato perché anche noi a conclusione di questa narrazione usciamo con la stessa espressione. Tra un istante diremo il credo, ma tutto il credo quest’oggi potrebbe essere raccolto in queste parole: “vedendo (e anche noi attraverso l’annuncio della passione abbiamo visto) come era spirato, disse: veramente quest’uomo era figlio di Dio”.
Dentro questo immenso dolore, dentro questa immensa oscurità del male, proprio anche attraverso quella passione che noi abbiamo ancora una volta contemplato, si manifesta la potenza dell’amore di Dio. È questo che fa dire al centurione: veramente quest’uomo era figlio di Dio. Quest’uomo. È un Dio fatto uomo. Fatto uomo fino in fondo, fino alla morte e alla morte di croce, quindi l’ultimo degli uomini. Ma proprio lì, dove sempre che tutto sia oscurato brilla la luce dell’amore di Dio. Questo è il Vangelo.
Non siamo salvati magicamente, siamo salvati dall’amore. Non è il dolore che salva, è l’amore che salva. Anche nel dolore, soprattutto nella prova del dolore, quando sembrerebbe che tutto ci venga rubato, che il cuore venga svuotato. Questo è il dono di Dio.
Anche noi, ascoltando il Vangelo vogliamo lasciarci illuminare gli occhi e dire: veramente quest’uomo era figlio di Dio.
Un’ultima piccola nota. C’è una variazione: il centurione non poteva che dire “era” il figlio di Dio, perché l’ha visto morire, ma noi siamo coloro che credono che Cristo è risorto. Allora quell’espressione non è più al passato, il Cristo Crocifisso è il Risorto. Veramente quest’uomo “è” il figlio di Dio.
Care sorelle e cari fratelli, portiamoci nel cuore questa radicale speranza e testimoniamola nel gesto più quotidiano, in quello a volte meno riconosciuto, facendoci vicino ai crocifissi e noi stessi portando la nostra croce abitata da questa speranza, la speranza di un amore che è capace di riscattare ogni croce.
(trascrizione da registrazione)