20-05-2012
Cari fratelli e sorelle,
alla luce della parola che abbiamo ascoltato arricchiamo la nostra fede in questo momento in cui celebriamo l’ascensione del Signore.
L’ascensione è dono che ci viene consegnato dentro la grande esperienza della resurrezione. Chi ascende al cielo è Gesù, il crocifisso risorto. È Gesù che appare ai suoi e li conferma nella fede. È Gesù che, come dice appunto già nel momento dei primi annunci di resurrezione, “va al Padre”: “Dì ai miei fratelli che vado al Padre mio e Padre vostro”.
Gesù si congeda da questa condivisione e convivenza con i discepoli con la promessa dello Spirito Santo: “Riceverete lo Spirito”. Lo Spirito Santo continua la presenza di Dio in mezzo agli uomini, nel cuore degli uomini, nella storia degli uomini.
E questa promessa si accompagna a un compito che Gesù affida a coloro che credono in lui, un compito missionario: “Andate e annunciate il Vangelo sino ai confini della terra”, in ogni condizione di esistenza e di vita. Non c’è nulla che non possa essere raggiunto dal Vangelo e della grazia che lo accompagna.
In questo orizzonte luminosissimo si stagliano le parole dell’Apostolo Paolo, che abbiamo ascoltato, che dice ai cristiani di allora e di oggi: “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto”.
Abbiamo ricevuto una chiamata. Essere cristiani non è una combinazione, è una chiamata del Signore alla quale giorno dopo giorno rispondiamo. L’Apostolo ci esorta a rispondere in maniera degna della chiamata e di chi ce l’ha rivolta.
Questa risposta prende la forma di vocazioni diverse e anche di compiti diversi, tutti rivolti a costruire, a delineare, a incarnare nella storia questo corpo di Cristo che è la Chiesa, questo corpo che non può essere smembrato ma che va continuamente riportato all’unità di un solo Dio, di un solo battesimo, di una sola fede, di una sola speranza.
Cari fratelli e sorelle, questo che è ciò che noi ogni giorno da cristiani tentiamo di compiere, e che oggi trova un suo segno particolarmente intenso nella consacrazione di Rosa nell’Ordo Virginum, l’ordine delle vergini, che il Concilio Ecumenico ha riconsegnato all’esperienza di tutta la Chiesa dopo che vi era appartenuto nei primi secoli.
Questa consacrazione avviene qui, in Cattedrale. Rosa, come ciascuno di noi, viene da una comunità alla quale noi diamo il nome di parrocchia, ma queste comunità non vivono separate le une dalle altre, o semplicemente federate tra di loro, ma sono l’espressione dell’unica Chiesa e la Cattedrale è segno di questa unità. Ed è anche il segno di come questo ordine di vergini consacrate appartenga in modo speciale alla vita della Chiesa locale e abbia un legame speciale con il Vescovo.
Dobbiamo riconoscere che questo dono della verginità sfugge alla sensibilità e alla comprensione anche di molti cristiani. Permettete allora di dire una parola su questo carisma. Esso appartiene alla fondamentale vocazione di ogni uomo e non solo del cristiano, che è la vocazione ad amare. Dio, il Padre, ci dona la vita, riecheggiando la sua stessa vita: siamo fatti a sua immagine e somiglianza.
Il segreto della vita di Dio, che diventa il segreto della vita dell’uomo, è l’amore. Cari fratelli e sorelle, ci sono mille aspetti della vita, anche attraenti, esaltanti, convincenti, ma non dimentichiamolo: il segreto, cioè il cuore e la ragione della vita è l’amore. E non ci può essere delusione o disincanto che cancelli la limpidezza di quello che anche i più distratti possono intuire, che anche i più disperati nella loro disperazione reclamano: noi siamo fatti per amare, come Dio. Tutta la vicenda di Cristo Gesù ci spinge in questa direzione: Gesù è la grande storia di Dio stesso diventato uomo nel segno di un amore senza confini, il cui limite non è rappresentato neppure dalla morte perché anche quella viene superata e trasformata dall’amore.
Se possiamo dire una parola sulla verginità consacrata dobbiamo dire che essa è un’espressione dell’amore, è una risposta alla fondamentale vocazione dell’amore. Sì, è vero, noi celebriamo delle nozze mistiche in questa circostanza: è un autentico sposalizio con Cristo. Il matrimonio diventa il segno visibile di questo amore che ha in Cristo la sua sorgente. Matrimonio e verginità consacrata si rimandano uno all’altro. La verginità consacrata ricorda agli sposi che il segreto della loro vita è l’amore, ma l’amore così come ce l’ha consegnato Gesù Cristo. Addirittura gli sposi credenti fanno sì che questo segno, che è di tutti, diventi un sacramento di grazia, cioè di vita di Dio che viene comunicata mentre vivono il loro matrimonio. Chi è consacrato e testimonia la sua consacrazione con la verginità ricorda che l’ultima radice, la sorgente permanente di ogni amore è Dio, prima di tutto Dio e soltanto Dio. L’amore non può essere sconfitto né dai nostri egoismi, né dalle nostre meschinità, neppure a volte dalle nostre incomprensioni che tanto ci fanno soffrire, perché lui è la sorgente. Chi si consacra a lui, attraverso il segno della verginità, dà questa testimonianza. D’altra parte chi è sposato mostra tutta la pregnanza umana dell’amore: ricorda ai consacrati che l’amore non è soltanto questione di parole, non è semplicemente uno slancio spirituale ma ha bisogno, giorno dopo giorno, di diventare spessore umano, di diventare volti, sguardi, mani, intimità, aiuto, perdono, accompagnamento, capacità di superare insieme le prove.
Cari fratelli e sorelle, questa è la ricchezza della Chiesa: una ricchezza di vocazioni d’amore che prendono forme diverse. Non solo si guardano, ma si arricchiscono le une le altre.
Tutto questo diventa una missione, un compito. Io mi auguro che in qualche modo possiamo percepire la bellezza di questo amore, che appunto si manifesta in vocazioni diverse. Ma non basta: nel momento in cui percepiamo questa bellezza, il Signore ci manda ad annunciarla.
Manda anche te, cara Rosa, manda tutte le persone consacrate, manda coloro che già appartengono all’ordine delle vergini, in missione a testimoniare l’amore di Cristo e per Cristo innanzitutto presso il matrimonio, presso gli sposi, ricordando questa grande speranza che la tua consacrazione deve consegnare loro: che c’è un amore più grande del loro, ma non per schiacciare il loro, ma piuttosto per rigenerarlo continuamente.
Il Signore manda le persone consacrate a lui a testimoniare l’amore presso le solitudini smarrite, così frequenti in questo mondo che è fatto di mille contatti, ma anche di tante distanze. Vi manda, care persone consacrate a lui, a rendere questa testimonianza: che la solitudine non è l’ultima parola della vita e che anche alla fine, quando uno pur in mille relazioni si sente radicalmente solo, c’è Qualcuno che è radicalmente vicino. Ed è il nostro Signore.
Ti manda e vi manda presso la comunità cristiana perché la arricchiate di questa testimonianza di cui abbiamo bisogno.
E vi manda – Rosa, le tue compagne, tutte voi persone consacrate a lui – presso un mondo che si rappresenta banale in rapporto all’amore e alla sessualità. Non è così il mondo. Anche le persone che a volte ci sembrano più superficiali e più distratte avvertono la verità di ciò che rende vera e bella la vita. La rappresentazione che diamo è una rappresentazione molte volte mortificante, tendente al consumo di amore e sessualità. No. Da cristiani vogliamo dare una testimonianza non moralistica, ma la testimonianza della pregnanza, della verità, del senso che l’amore dà ad ogni esistenza. E ne vogliamo essere testimoni tutti.
Ora compiremo i gesti e le preghiere dentro i quali la grazia del Signore col suo Spirito accetterà la tua consacrazione, anzi lui stesso ti consacrerà. E tutta la Chiesa ti accompagna e benedice il Signore per questo dono.
(trascrizione da registrazione)