02-11-2013
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo ascoltato la Parola di Dio che ci dice, cominciando dal Profeta, della fede in Dio che diventa fede nella vittoria di Dio sulla morte. Stupenda la pagina del Profeta Isaia in cui si dice: “Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto e si dirà in quel giorno: Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato!”. La fede in Dio così come ci viene consegnata dalla sua Parola è una fede che ci apre il cuore alla speranza della vittoria sulla morte promessa da Dio. Una speranza che trova il suo riscontro nella vicenda di Gesù, per cui l’Apostolo a una specie di vitalismo tragico di chi non ha alcuna speranza e cerca di accendere il massimo della vita contrappone una tensione carica di speranza: “Tutta la creazione soffre e geme, ma come una donna che sta partorendo”. È certamente una sofferenza, ma è una sofferenza che genera un mondo nuovo, quello che appunto scaturisce dalla risurrezione di Gesù.
Un mondo nuovo che è caratterizzato essenzialmente da quella legge d’amore che Gesù declina in quel grande scenario che è il giudizio universale. Un giudizio evangelico sulla vita: l’amore già praticato concretamente introduce alla vita, mentre l’egocentrismo è una autentica dannazione.
Proprio questa scena del giudizio universale riporta la nostra attenzione ad un’opera di misericordia che non viene indicata nella parola evangelica ma che appartiene non solo alla tradizione cristiana, ma alla tradizione biblica e alla tradizione di ogni religione, quella cioè di seppellire i morti.
Nella tradizione cattolica le sette opere di misericordia corporali si concludono con questa di seppellire i morti e le sette opera di misericordia spirituali si concludono con questa: pregare per i vivi e per i morti. Innanzitutto vale la pena ricordarci quest’opera, sia l’una che l’altra.
Seppellire i morti. Da sempre le civiltà si sono connotate con questa che non è soltanto una precauzione, ma è l’espressione della pietà, è l’espressione della dignità riconosciuta appunto a chi non c’è più. Pensando al gesto della sepoltura ricordiamo anche solo per una allusione alla grande figura di Antigone che seppellisce i morti in spregio dell’ordine del re suo padre, sacrificando la sua stessa vita, dicendo che ci sono valori che superano ogni legge e ogni disposizione, anche quella del re. Possiamo ricordare anche la bellissima figura biblica del padre di Tobia che in esilio si dedica a seppellire i suoi confratelli lasciati al ludibrio e allo spregio degli animali del deserto.
Vorrei però soffermarmi sull’opera di misericordia spirituale che stiamo proprio vivendo e realizzando in questi giorni, non solo ricordando i nostri morti ma pregando per loro. Anche questa Eucaristia concelebrata nella nostra Cattedrale è la grande preghiera per tutti i defunti. La preghiera è un gesto d’amore. È un gesto d’amore che non ci aliena, non ci allontana dalla realtà. Qualcuno pensa che la preghiera sia una specie di scappatoia che i credenti assumono per non guardare in faccia alla realtà: non si può far molto, qualche volta ci può essere anche qualche pigrizia o qualche alibi e allora ci rifugiamo nella preghiera. No. La preghiera è un gesto d’amore. È bellissimo aver presente come ad esempio proprio i monasteri di clausura, cioè i luoghi di preghiera, siano stati i luoghi dove si è esercitata una carità molto intensa, a volte anche una carità rischiosa, una carità drammatica per certi versi. La preghiera è proprio un gesto d’amore perché non allontana dall’amore, ma piuttosto stimola all’amore.
La stessa preghiera che noi rivolgiamo a Dio per i nostri morti in ultima analisi ci consegna l’impegno nei confronti dei vivi. Preghiamo allora per i nostri morti per accompagnarli a Dio. È un gesto d’amore perché noi con la preghiera non abbandoniamo i nostri morti. Con la preghiera non solo li ricordiamo ma li accompagniamo a Dio. Li accompagniamo a Dio anche in quell’opera di purificazione che l’incontro con Dio esige. Dio è l’amore nella sua massima intensità e l’amore purifica da ogni scoria coloro che si avvicinano. Noi vogliamo accompagnare i nostri cari in questo percorso di avvicinamento a Dio.
Con la preghiera noi vogliamo ringraziare Dio per i nostri cari, per tutti gli uomini. Vogliamo ringraziare Dio per ciò che abbiamo ricevuto di bene da coloro che ci hanno preceduto. Vogliamo non solo non dimenticare, ma vogliamo ringraziare. Ringraziare loro che sono morti ringraziando Dio, perché ringraziando Dio il nostro grazie raggiunga anche loro.
Con la preghiera noi comunichiamo con i nostri morti. A volte ci sono delle forme un po’ strane di comunicazione con i defunti che attirano anche qualcuno, ma il credente ha una comunicazione che è una specie di strada aperta, percorribile da tutti, assolutamente non condizionata da poteri oscuri o particolari: è la strada della preghiera. Noi pregando Dio comunichiamo con i nostri cari attraverso di lui.
Con la preghiera noi continuiamo ad amare i nostri cari e non soltanto a ricordarli. A gioire di loro che speriamo in Dio, che abbiamo accompagnato a Dio.
Cari fratelli e sorelle, la liturgia del 2 novembre, commemorazione di tutti i defunti, diventa la grande preghiera della comunità cristiana per tutti i defunti, anche per coloro che non sono battezzati, per coloro che non sono credenti. È una preghiera che è un gesto d’amore che noi compiamo a partire dalla nostra fede in Cristo Gesù, morto e risorto, che giorno dopo giorno possiamo incontrare nel nostro pellegrinaggio nella storia, proprio nell’Eucaristia così come la stiamo celebrando.
(trascrizione da registrazione)