Celebrazione di apertura della sessione diocesana del processo di beatificazione delle Suore delle Poverelle morte di ebola

08-06-2013
Cari fratelli e sorelle,
ascoltando questo Vangelo siamo messi dinanzi alla compassione di Cristo. Il Vangelo ci presenta l’espressione della misericordia di Dio davanti a quel corteo doloroso: “Gesù fu preso da grande compassione”. Questo coinvolgimento di Gesù si trasforma in una convinzione: Gesù toccò quella bara in cui era deposto il fanciullo. Questo avvicinare la sua mano a qualcosa che era intoccabile dice appunto questo coinvolgimento di Gesù nella nostra condizione, nel nostro limite e in fine nella nostra morte.
 
Leggendo con attenzione questa pagina evangelica, in filigrana si può già vedere ciò che Gesù vivrà, cioè la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione. Condivisione radicale della nostra condizione umana.
 
Una condivisione che viene aperta ad un esito assolutamente impensabile, rappresentato e reso attuale dalla parola di Gesù: “Ragazzo, dico a te: alzati!”. Cristo con la sua morte e risurrezione, con la sua compassione e condivisione è la parola che dà la vita. Di generazione in generazione ci fa esclamare: “Dio ha visitato il suo popolo”.
 
In questa luce consideriamo la morte delle sei sorelle della comunità delle Suore delle Poverelle e l’apertura del Capitolo Generale. Condividiamo care sorelle il “benedictus” della vostra famiglia religiosa, nell’anno del 50mo di beatificazione di don Luigi Maria Palazzolo vostro fondatore, l’anno del Capitolo che inizia l’oggi, l’avvio dell’inchiesta diocesana per la beatificazione delle sei Sorelle morte di ebola che hanno generosamente donato la loro vita a Kikwit, dedicandosi alla cura dei malati contagiati dalla febbre emorragica e alla fraternità tra loro quando il contagio ha intaccato la loro comunità.
 
I volti di questi sorelle, le loro storie, la loro umanità, come uno specchio d’acqua riflettono il cielo, come già riconosciuto dalle testimonianze raccolte in questi anni. L’inchiesta aperta a Kitwit il 28 aprile scorso e quella che si apre oggi nella nostra diocesi intende rivisitare l’esperienza spirituale di queste care sorelle e riconoscere la grandezza fino all’eroismo della loro risposta al dono di Dio. Al termine del processo avremo di ciascuna di loro una conoscenza più ampia, più profonda e sicuramente più luminosa. 
 
Le sei sorelle martiri di carità hanno alimentato il carisma del fondatore e il suo insegnamento a vivere “l’amore di abbracciamento”. “Amiamo non con amore di ammirazione ma con amore di abbracciamento, con questo si farà manifesto il nostro vero amore a Gesù. L’amore di abbracciamento nasce stando con Maria e San Giovanni evangelista davanti al Cristo ignudo sulla croce e dopo la sua morte avvolto in un lenzuolo”.
 
Suor Annelvira poco prima di essere aggredita dal male scrive alla Madre Generale: “Con Maria ai piedi della croce vogliamo ravvivare la nostra fede e ripetere con Gesù e Maria e con tutte le nostre consorelle e con lei, cara Madre Generale, il nostro “fiat” certe che lui sa tutto ed è con noi anche in questa durissima prova”.
 
L’amore di abbracciamento cresce, come ha testimoniato Suor Floralba, “cercando solo il Signore in tutto in modo che egli sia sempre al centro della vita”.
 
E come ha scritto Suor Vitarosa, “stando davanti a lui a parlargli con umiltà e semplicità. Possiamo dire tante cose, ma non potremo mai farlo gustare se prima non lo conosciamo bene noi, se prima non sono ben riempita io dell’amore di Dio, acquistato da lui parlandogli e lasciandolo parlare”.
 
L’amore di abbracciamento genera storie di abbracciamenti ai poveri, ai rifiutati, ai dimenticati e agli ultimi affidati al cuore materno di queste religiose. Suor Clarangela così pregava: “Aprimi interamente al tuo amore, Padre, ponimi accanto ai miei fratelli libera, accogliente, felice, povera tra i poveri, come una goccia d’acqua sperduta nell’oceano immenso del tuo cuore”.
 
L’abbraccio quotidiano al crocifisso risorto ha reso l’esistenza di queste religiose capace di riflettere l’amore di Dio e di seminare la misericordia del Signore, come a Suor Annelvira e a Suor Rosalba; ha dato loro lo sguardo lucido per riconoscere i doni di Dio, come ha scritto Suor Vitarosa: “Posso dire che ho ricevuto tanto da loro, soprattutto la serenità e la capacità di sopportazione. Loro accettano tutto dalla mano di Dio”. 
 
Questo amore le ha rese piene del desiderio di vivere la gioia, come si esprimeva Suor Danielangela, “perché siamo fatti per la gioia. Il dolore ha tanti nomi e tante facce per questo non possiamo cancellarlo. Allora è bene guardarlo in faccia per non prendere abbagli. No all’evasione, no alla rassegnazione, no alla ribellione. Vivere. Cristo afferma che siamo fatti per la gioia”.
 
Quali esempi per tutti noi, cari fratelli e sorelle, il racconto di queste testimonianze. Poco fa nella documentazione dell’apertura del processo informativo diocesano sono stati apposti firme e timbri. Sono convinto che le sorelle ne avessero assai di più di quelli apposti oggi: ne avevano una riserva per ogni giorno. Avevano “timbri” cioè segni da lasciare nei cuori delle persone che incontravano, suscitando in esse il desiderio del cielo.
 
Cari fratelli e sorelle, lasciamo salire dal cuore il canto del nostro “benedictus” che diventa Eucaristia: “Dio ha visitato il suo popolo”, Dio davvero ha visitato la nostra Chiesa, Dio ha visitato care sorelle la vostra famiglia religiosa.
 
Riascoltiamo la consegna di queste nostre sorelle: “La nostra missione è quella di servire i poveri: cosa ha fatto il nostro fondatore? Noi siamo qui per seguire le sue orme. Noi siamo qui, e voi, voi dove siete? Interceda per noi il cuore immacolato della Beata Vergine Maria”. 
 
(trascrizione da registrazione)