“Nella Basilica di San Francesco ad Assisi si possono ammirare affrescate da Giotto le 28 scene che narrano la vita del Santo. In realtà le scene avrebbero dovuto essere 29, ma all’epoca i ricchi e i notabili della città, che finanziavano l’opera, non vollero pagare la realizzazione delle ventinovesima scena, quella del bacio e dell’abbraccio di San Francesco con il lebbroso a Rivotorto. … Il motivo per cui non si autorizzò la realizzazione pittorica di quella scena è molto semplice: i signori della città non volevano che si sapesse della presenza di lebbrosi ad Assisi. La città ne avrebbe sfigurato“. È successo anche a me, durante il primo viaggio in Africa: portavamo aiuti ai lebbrosi, ma nella città ci rispondevano che lì, lebbrosi non ce n’erano.
Abbiamo ascoltato le parole di Vangelo che annunciano una speranza: il lebbroso è guarito. Le abbiamo ascoltate oggi, proprio nei giorni in cui, un anno fa, la violenza del contagio si manifestava lontano da noi e poche settimane dopo, avrebbe colpito anche noi come mai avremmo immaginato. Apriamo la visita pastorale alle parrocchie della nostra diocesi, nei giorni in cui il virus e le sue varianti è ancora in agguato e ci chiede di lavorare, studiare, incontrarci, celebrare, con tutte le precauzioni che ne impediscano rinnovate irruzioni. Le prime parrocchie che incontrerò, le incontrerò così, con l’interiore certezza che la forza dello Spirito ci unirà, più di ogni necessario distanziamento e contingentamento.
Abbiamo ascoltato le parole di Mosè che imponevano allontanamenti contrassegnati da dolore, ma anche da condanna. Solo il peccato poteva giustificare una devastazione, come quella della lebbra. Il lebbroso era dunque un reietto, malato, emarginato, disprezzato.
Abbiamo ascoltato la parola di Gesù, che all’implorazione del lebbroso risponde «Lo voglio, sii purificato!». Sono parole dettate da un cuore capace di condividere la sofferenza e accompagnate da una carezza: la carezza di Dio, che letteralmente si sporca le mani, con la malattia di quell’uomo, con la sua disperazione, con la sua condanna. Ancora una volta Gesù sconvolge l’immagine di Dio, avvicinandosi, approssimandosi, affratellandosi all’uomo nel suo abbondono, nella sua solitudine. La misura di Gesù è quella dell’amore traboccante, scandalizzante: il suo amore non guarisce soltanto, il suo amore salva.
Alla tradizionale visita pastorale ho dato il nome di pellegrinaggio, forse perché è l’immagine di molte esperienze condivise con donne e uomini, con vecchi e giovani, lungo le rotte del mondo, delle missioni e lungo le strade del nostro paese, attraversate con tanti giovani. E’ immagine che dice di un viaggio speciale, di un’attesa e di una ricerca, di una meta diversa: la meta di un pellegrinaggio non è una città e neppure un santuario. La meta è l’incontro, il più sorprendente, il più da tutti segretamente desiderato. L’incontro con Dio.
La ragione vera è proprio questa: mi metto in viaggio per sei anni, lungo le vie della nostra Diocesi, incontrando donne e uomini, vecchi, giovani e bambini, per scoprire, riconoscere e incontrare in loro, il Signore Crocifisso e Risorto. Il santuario sarete voi, care sorelle e fratelli, nelle vostre comunità, che vorrei ritrovassero, alimentassero, custodissero i tratti della fraternità, dell’ospitalità e della prossimità, perché è intravedendo quei tratti a volte incipienti, luminosi, ma anche stanchi o deformati, che potrò intravedere Dio in mezzo a noi. Mi faccio pellegrino per incontrare i miei fratelli preti, lì dove condividono con voi la meraviglia della fede, la sofferenza delle indifferenze e a volte dei tradimenti, ma anche la speranza irriducibile che scaturisce da Cristo Gesù, il nostro Maestro, il nostro Signore.
Ho scelto l’immagine del pellegrinaggio a partire dalle parole dell’apostolo Paolo che abbiamo appena sentito risuonare e saranno luce che illumina i miei sentimenti e anche i vostri. Come lui anch’io oggi vi dico: “Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, continuamente pregando per voi, avendo avuto notizie della vostra fede in Cristo Gesù e della carità che avete verso tutti i santi a causa della speranza che vi attende nei cieli. Ne avete già udito l’annuncio dalla parola di verità del Vangelo che è giunto a voi”.
Ma, lasciando risuonare in me il Vangelo di questa domenica, mi sono reso conto che la scelta di farmi pellegrino rivela qualcosa di assolutamente sorprendente: se la fede riconosce nel Vescovo che viene, la visita di Gesù, in questo pellegrinaggio è il Vescovo che, come il lebbroso, si avvicina a ciascuna delle comunità parrocchiali e riconosce in esse la presenza del Signore chiedendo di essere toccato dalla loro fede. “In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!”. La vostra fede è il dono che il Vescovo-pellegrino desidera, domanda, riconosce ed accoglie. E così, come ogni volta che un incontro avviene, oltre ogni confine o muro che impedisce ai cuori di risuonare, vivremo la gioia del miracolo. Il miracolo della vita nuova, della vita buona, della vita bella, che è frutto dello Spirito, della grazia riconosciuta e accolta con fede.
Dove stiamo andando, chiede il poeta e risponde: “Stiamo tutti tornando a casa”. La casa è l’immagine dell’incontro. Dove ci si incontra nell’amore, lì c’è la nostra casa. La comunità cristiana, particolarmente nella forma della parrocchia, è la rappresentazione di questa esperienza: un incontro che diventa casa. Una casa ospitale perché contrassegnata dalla fraternità; una casa dalla quale uscire per raggiungere ciascuno, servendo la vita dove la vita accade.
Sono certo della vostra comprensione, sono certo della vostra preghiera. In questo tempo di pandemia abbiamo pregato, al punto da cominciare l’edificazione di un santuario: non un santuario di pietra, ma un santuario di preghiera, dove i mattoni, le colonne, le architravi, sono le preghiere: da quelle più nascoste a quelle più corali. Compiendo il mio pellegrinaggio, condivideremo la gioia di edificare un santuario di preghiera e saremo felici che tra i numerosi santuari che le nostre comunità hanno edificato nei secoli, ne esista uno fatto così.