60° anniversario della morte di mons. Adriano Bernareggi

23-06-2013
Il Vangelo di oggi ci porta a Cesarea di Filippo, ai piedi dell’Hermon, alle sorgenti del Giordano. Luca, per la verità, non ne fa cenno. A lui, non interessa il riferimento geografico. Cesarea di Filippi, può essere ovunque. Importanti per l’evangelista Luca sono le condizioni spirituali dell’evento: l’incontro con Gesù avviene lontano dalla folla, in un luogo appartato, in un clima di preghiera, perché la domanda di Gesù ai discepoli non è un sondaggio mirato a stabilire indici di gradimento. La domanda di Gesù nasce dal desiderio vivo di mettere i suoi discepoli in relazione con il mistero della sua vera identità. “Ma voi, chi dite che io sia?”.  
 
Fratelli e sorelle, oggi Cesarea di Filippi è qui. In questa nostra chiesa di Bergamo. A noi è rivolta la domanda di Gesù. E da noi, non dai sondaggi sociologici, Gesù attende risposta. “Per te, chi sono io?”.
Ci aiuta e ci incoraggia nella risposta mons. Adriano Bernareggi. Proprio oggi ricorre il sessantesimo della sua morte. Fu uno dei vescovi più ascoltati della prima metà del Novecento. Papa Luciani ebbe per lui una singolare ammirazione. Nei 33 giorni del suo pontificato aveva preparato un messaggio per ricordare il XXV della morte del grande vescovo di Bergamo. Avrebbe voluto inciderlo su nastro magnetico, per essere presente al convegno (18-20 ottobre 1978) con la propria viva voce. La morte improvvisa ne impedì la realizzazione. In quel messaggio, papa Luciani richiamò l’attenzione sull’esperienza centrale del mondo interiore del vescovo Bernareggi, un pastore che ebbe la coscienza viva di Dio, un pastore interamente afferrato dall’assillo di Dio e della sua gloria, un pastore che visse la propria vocazione come studio e conoscenza e, soprattutto, come profonda esperienza di fede:
“La vocazione sacerdotale non è soddisfatta dal puro insegnamento. Esige la vita sacerdotale con l’insegnamento della dottrina cristiana presentata ai cuori e alle anime, non solo alle menti…(26 luglio 1921)
Tre settimane prima della morte, il 30 maggio, aveva ricevuto ad uno ad uno i sacerdoti novelli freschi di ordinazione. Nella propria camera da letto ad ognuno di loro aveva chiesto con la formula di rito: Prometti a me e ai miei successori, riverenza e obbedienza? E a ciascuno aveva dato l’abbraccio di pace, abbraccio di paternità e di affidamento della missione di far conoscere il mistero di Cristo per camminare con Lui, in Lui radicati e su di Lui edificati. Era vivissimo in lui il sentimento del dovere di far sentire Cristo agli uomini e alle donne, di condurre ciascuno a Lui e di portare Cristo ad ogni persona. Diceva:
Cristo ha da essere mostrato al mondo come la Via… la Verità… e la Vita… Via, Cristo, ha da essere seguito: Verità ha da essere creduto. Vita ha da essere vissuto. Nulla deve stare più a cuore del vescovo quanto Cristo: che Cristo, e per Cristo la Trinità Santissima, abiti e viva con la grazia nel cuore di tutti i fedeli (discorso di mons. Bernareggi nel decennio di episcopato, La Vita Diocesana, 1942, pagg. 12-20)
In questo 60° della morte lo vogliamo ricordare riandando alle sorgenti della sua spiritualità, per sostare, in particolare, sulla centralità di Cristo nella sua vita e  nel suo ministero sacerdotale ed episcopale.
 
Cristo al centro del suo magistero
Nel 1942, a 10 anni dall’inizio del suo episcopato a Bergamo, mons. Bernareggi dedicò a Gesù Cristo una lunga lettera pastorale. Nell’ora buia di una guerra che stava segnando di dolore e di preoccupazioni le nostre famiglie e le nostre parrocchie egli additò la luce vera, la sorgente della riconciliazione e della pacificazione.
Ciò che noi cerchiamo, ansiosamente cerchiamo, Gesù Cristo ce lo può dare. Ed è Lui stesso. Gesù Cristo non è un’astrazione. E’ una realtà vivente. Cristo non è lontano da noi. Egli è con noi è in noi. … Egli è sempre presente, sempre attuale. Egli è la luce che illumina tutti gli uomini che vengono in questo mondo, è la porta per la quale chi entrerà sarà salvo, è il buon pastore, è la risurrezione e la vita, per cui avrà vita chiunque in Lui vive e crede, è il pane di vita e il pane vivo. Egli è – ed è la più completa di tutte le definizioni – la via, la verità e la vita (La Vita Diocesana 1942, pag. 35).
Da questa professione di fede prende forza e slancio il suo insegnamento, il suo pressante appello a ritornare a Cristo, alla fede nella sua divinità. La fede nel figlio di Dio fatto uomo deve improntare tutto il nostro cristianesimo. Proprio come ha ricordato recentemente papa Francesco: Possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore.
 
Senza Gesù, ogni cosa perde di peso e di consistenza. Lontano da Gesù, cresce un mondo senz’anima che ci imprigiona e ci soffoca. Per questo mons. Bernareggi esorta i fedeli ad avere uno sguardo di lucido discernimento sulla storia e sul mondo per non smarrire la rotta del Vangelo.
 
Chi vive rinchiuso in questo mondo meccanico e non vede e non tocca se non ciò che è prodotto dalla scienza meccanica, può non accorgersi di questa assenza di Dio, come l’aviatore che smarrito nella nebbia, ha perduto il senso della direzione e dell’equilibrio. Ma chi si è sottratto alla schiavitù di questo mondo, come noi che viviamo di fede … troppo chiaramente si avvede che esso sbanda, perché delle due ali delle quali Dio l’aveva fornito, della materia e dello spirito, del contingente e dell’eterno, dell’umano e del divino, una, l’ala dello spirito, dell’eterno, del divino è stata spezzata (LVD, 1941 pag. 36).
 
Per guarire l’ala dello spirito mons. Bernareggi invita a ritornare a Cristo, verità di Dio e verità dell’uomo, e a far rinascere in ogni credente il “pensiero cristiano”, cioè le convinzioni e le motivazioni della fede. Così, di fronte all’errore che, secondo mons. Bernareggi si presentava sottile e seducente, non ci lasceremo deviare e nemmeno ci lasceremo ingannare dal male, quando assume il volto di bene. (cfr. LVD, 1942, pag. 36).
 
Per riprendere il volo non basta ritornare a Cristo solo a parole; occorre andare dietro a Lui, lasciandosi plasmare dal suo spirito, così da avere i suoi stessi sentimenti e  occorre custodire e praticare l’esempio ricevuto: nessuno più di Gesù ebbe ad amare e nessuno fu più sublime di lui nel sacrificarsi…
Non si può essere veri cristiani se non si è studiato Cristo, e in modo speciale Cristo Crocifisso. Davanti alla Croce si può misurare l’amore senza misura del Redentore… Solo meditando la Croce possiamo apprendere la grande legge del sacrificio (LVD, 1942, pag. 41).
 
Negli ultimi anni dell’episcopato, il periodo della ricostruzione post bellica, il vescovo Bernareggi osservando ammirato la straordinaria operosità della nostra diocesi, scrisse:
La diocesi di Bergamo ha bisogno più di redini per essere trattenuta che di frusta per essere stimolata. Beata Diocesi! (Luigi Cortesi, Frammenti per la storia di un’anima, ed. Opera barbarico, Bergamo 1958, pag. 306).
Ebbe, però, anche vivissima percezione del rischio di un attivismo fine a stesso, di una pastorale che opera senza Dio… Il Sinodo e le lettere pastorali di quegli anni non mancarono di ricordare che per ricondurre il mondo a Dio e Dio al mondo, affinché Cristo sia tutto in tutti, si richiede a ciascuno di essere più interamente cristiano nel pensiero e nell’azione. Le opere devono nascere da una fede schietta, franca, non confusa, incerta, tentennante e vergognosa (LVD, 1953, pag. 43). Testimoniare il volto paterno e misericordioso di Dio è possibile solo a chi si fida di Cristo Gesù e si affida interamente a Lui.
Come è facile che il cristianesimo anche nel singolo si diluisca, si dissolva, rimanga pura apparenza! E come diventa difficile la testimonianza del proprio cristianesimo davanti a questo cristianesimo mondanizzato che a tutto si accomoda, che non ha nerbo di resistenza, ma su tutto cede. Lo scandalo maggiore del momento attuale (siamo nel 1953) mi pare sia proprio quello che viene da un simile cristianesimo, impoverito, anemico (LVD 1953, pag. 48).
 
Cristo al centro della sua vita di vescovo e di sacerdote
Mons. Bernareggi ebbe un solo programma di vita: pensare, sentire e operare radicato in Cristo Gesù. Nella semplicità del proprio cuore consegnò tutto se stesso. Nelle pagine del diario spirituale annotò:
Gesù sia l’unico termine di ogni mia azione. Nulla intraprenderò che non sia per Gesù. Agendo, operando l’”io” spesso si infiltrerà nell’opera mia o per cercare di deviare verso sé una parte, almeno, dell’opera, o per guastarla, pretendendo di dirigerla, secondo criteri puramente umani. Tuttavia … dovrò dichiararmi contento, se avrò ottenuto che Dio, non l’”io”, non le creature o qualche creatura, sia il movente principale e decisivo della mia azione (20 settembre 1921).
Al programma di permanere e crescere nell’amore di Gesù si mantenne fedele e ed ebbe cura di riprenderlo, perché non rimanesse nell’ombra o ai bordi dell’anima, ma fosse sempre ben fisso al centro del proprio cuore. Per evitare che la molteplicità degli impegni lo distraesse o lo spingesse a un riferimento solo virtuale a Gesù e al suo Vangelo si propose di dare a Dio un’attenzione attuale e permanente. Dio doveva essere per Lui l’unico pensiero e l’unico amore della giornata.
Affinché le occupazioni non mi nuocciano penserò sempre che io non sono se non il servo di Gesù; che tutto quello che faccio, lo faccio per ordine di questo buon padrone e sposo; che se faccio male faccio sfigurare Gesù; che se perdo tempo, defraudo Lui (27 settembre 1923).
 
Cristo al centro del suo ministero di guida spirituale
Mons. Bernareggi svolse anche un ministero, forse, poco noto ai fedeli, e che giovò non solo alle persone da lui guidate, ma anche al proprio cammino spirituale. L’incontro con la Serva di Dio Itala Mela (oblata benedettina che visse con un voto speciale la missione di far conoscere il mistero dell’inabitazione della Trinità) e con il sacerdote contemplativo don Luigi Pelloux fu di edificazione per mons. Bernareggi. I problemi spirituali che gli sottoposero, lo portarono a prepararsi e a entrare egli stesso nei misteri che si spalancavano davanti alla sua anima e a offrire con l’ostia sulla patena, ogni giorno, le anime affidategli da Dio. Manifestò la consapevolezza di questo dono in una lettera a don Luigi:
Mi pare di averti già detto la mia esperienza dell’utile avuto dal dirigere anime. Noi non vediamo il volto della nostra crescita. Se non attraverso uno specchio. Così noi difficilmente riusciamo a vedere nitidamente dentro di noi, mentre ci riconosciamo più facilmente attraverso lo specchio delle altre anime (sabato santo 1938).
 
Soffiare sull’anima
L’insegnamento e l’esempio di mons. Bernareggi e gli orientamenti da lui dati alle persone che cercavano la sua direzione spirituale ci riportano all’apostolo Pietro e alla sua risposta alla domanda di Cristo: “Voi chi dite che io sia?”.
Pietro ha risposto bene: Tu sei il Cristo di Dio. Ha risposto con il cuore illuminato dalla grazia. E quella confessione ha cambiato la sua vita. Così è stato per la folla immensa che nessuno può contare di discepoli di Gesù, così è stato per il Vescovo Bernareggi. Così avviene per ogni vero credente. Oggi per noi. Confessare che Gesù è il Cristo di Dio non è una questione di parole, ma di vita e di grande responsabilità verso le donne e gli uomini di questo nostro tempo.
Di questo, mons. Bernareggi ebbe coscienza vivissima. E’ significativo il finale di una sua conferenza ai laureati cattolici:
Parlando a voi di responsabilità ho sentito questa mia responsabilità personale. Ho fatto passare in voi la passione che si agita nel mio animo in quest’ora? Ecco ciò che mi chiedo, perché è solo per questo che ho accettato di parlavi, nient’altro che per questo (9 gennaio 1943).
Oggi la responsabilità dell’ora è nostra. Per affrontarla, occorre soffiare sull’anima perché si faccia più fiamma (28 ottobre 1938). Occorre tornare al Vangelo e ridire con la bocca, con il cuore e con la vita: Tu sei il Cristo di Dio.
Questo è grazia!
Il vescovo Bernareggi ne era consapevole e ne fece il programma di vita, lo stesso che indicò alla Serva di Dio Itala Mela:
Attraverso il sacrificio forma Cristo in te, fa che Cristo in te viva e in te cresca e che da te si effonda e si diffonda in quanti ti accostano (25 marzo 1929).
Lo stesso programma che oggi affida a noi.