Care sorelle e fratelli, vorrei condividere con tutti la gioia della nostra Chiesa di Bergamo, unitamente alla Congregazione delle Suore delle Poverelle, perché Papa Francesco ha dichiarato “venerabili”, riconoscendone ufficialmente le virtù eroiche, tre delle sei Suore (4 bergamasche e 2 bresciane) che nel 1995 donarono la vita per i malati di Ebola: suor Floralba Rondi, di Pedrengo, la prima a morire il 25 aprile 1995, chiamata «mama Mbuta» dagli africani per la sua tenerezza verso i malati; suor Clarangela Ghilardi, di Trescore, ritenuta un angelo custode di tanti bambini, e suor Dinarosa Belleri, di Villacarcina (Brescia), che diceva a tutti: «io sono qui a servire i poveri».
A loro si uniranno, speriamo presto, le altre tre: suor Vitarosa Zorza di Palosco, suor Danielangela Sorti di Lallio e suor Annelvira Ossoli, di Orzivecchi (Brescia).
Proprio in questo momento di prova e di dolore, il Santo Padre ha voluto cogliere nuovamente i germogli di santità della nostra terra, dopo il riconoscimento del miracolo del loro fondatore il Beato Palazzolo, presto Santo, appena sarà possibile per Papa Francesco celebrare la canonizzazione, e dopo il decreto per il venerabile don Antonio Seghezzi nelle scorse settimane.
C’è un ulteriore significato per il quale dobbiamo rendere lode al Signore: queste Suore erano infermiere e hanno dato la vita offrendosi per i malati, non rinunciando a stare accanto a loro.
Era il 1995, il virus dell’Ebola si diffuse e queste Suore non ebbero paura di affrontare l’epidemia, fino a morire contagiate di quel male che sembrava incurabile e che all’epoca era poco conosciuto. Ma con loro e grazie e a loro, il contagio della speranza fu più forte della malattia. Vedo racchiuso in questo riconoscimento di “virtù eroiche”, come in uno scrigno prezioso di santità, anche il sacrificio, il servizio, il dono di tante persone che si sono spese, anche fino al dono della vita, nella pandemia che tanto assomiglia a quanto queste sei Suore delle Poverelle hanno affrontato tanti anni fa. In loro riconosco la tempra bergamasca e bresciana, la linfa valoriale orobica, la fede genuina imparata nella nostra chiesa locale e poi plasmata dal carisma dell’Istituto del Palazzolo, quello di “essere avvolte” dai poveri e dai sofferenti, quello di “stare con gli ultimi, sempre, e immergersi fra gli ultimi, prendendoli per mano”. Senza mollare mai. Una donazione totale che raccoglie tanti gesti d’amore che in questo lungo, terribile, doloroso anno hanno testimoniato che la speranza della risurrezione è più forte della malattia e della morte.