Care sorelle e fratelli,
questa solenne celebrazione nella quale benediremo e consacreremo i sacri olii è anche quella in cui tutto il presbiterio si ritrova, senza dimenticare tutti i confratelli vescovi, sacerdoti, diaconi che non possono essere presenti, in modo particolare quelli malati e infermi, quelli lontani per missione e quelli lontani per condizione, quelli che sono chiamati e stanno giungendo alla gioia dell’ordinazione, quelli che in questo anno sono mancati perché il Signore ha chiamato a sé e quindi tutti i mandati secondo le parole del profeta che il Gesù attribuisce a sé, che noi sentiamo risuonare nel nostro cuore: “mandati ad annunciare ai poveri il lieto annunzio”.
Abbiamo ascoltato la Parola di Dio che ci stupisce di giorno in giorno:“Lo Spirito del Signore è su di me. Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti”. Questa Parola ci guida oggi nella considerazione dell’esercizio del nostro ministero nell’anno della preghiera. Questo anno che Papa Francesco ha indetto in preparazione al Giubileo, constato continuamente come è stato accolto con grande simpatia e convinzione da tutti, sacerdoti e comunità.
Vorrei allora soffermarmi sulla preghiera del prete, una preghiera “promessa”: questa secondo me è la prima caratteristica della nostra preghiera.
Tra poco rinnoveremo le promesse sacerdotali con queste parole: “Volete rinnovare le promesse, a suo tempo fatte davanti al vostro Vescovo e al popolo santo di Dio? Volete unirvi e conformarvi intimamente al Signore Gesù, rinunziando a voi stessi e rinnovando i sacri impegni che, spinti dall’amore di Cristo, avete assunto con gioia verso la sua Chiesa, nel giorno della vostra ordinazione sacerdotale?”.
Ci riportano alla domanda risuonata nel giorno della nostra ordinazione presbiterale: “Volete, insieme con noi, implorare la divina misericordia per il popolo a voi affidato, dedicandovi assiduamente alla preghiera, come ha comandato il Signore?”.
Il nostro “Sì, lo voglio!” riecheggia il primo impegno preso nell’ordinazione diaconale, che mai abbiamo dimenticato: “Volete custodire e alimentare nel vostro stato di vita, lo spirito di orazione e adempiere fedelmente l’impegno della liturgia delle ore, secondo la vostra condizione, insieme con il popolo di Dio per la Chiesa e il mondo intero?”.
Mentre riflettevo su queste domande che io rivolgo a voi, non potevo sottrarmi a quanto a me è stato chiesto nell’ordinazione episcopale: “Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo popolo santo ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio?”.
La preghiera del prete è una preghiera promessa, promessa a Dio e promessa al popolo di Dio.
Quale è il senso e il valore di una promessa?
È importante quella parola che diventa promessa!
Il valore e il senso lo troviamo innanzitutto a partire dalla meraviglia che suscita in noi la Parola di Dio come promessa. È una promessa di Dio innanzitutto. Dice l’Apostolo: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso”.
La promessa di Dio si unisce alla promessa dell’uomo.
La nostra promessa è umana: noi condividiamo la condizione e la capacità di promettere con tutta l’umanità. È una parola impegnativa, perché nasce da una scelta, nasce da una libertà, nasce dal fatto che è una parola data in prima persona: nessuno si può sostituire alla nostra promessa. Anche nel momento in cui la nostra promessa sacerdotale la condividiamo e la ripetiamo insieme, è sempre una decisione e una responsabilità personale. In prima persona io prometto.
Vi è un’altra caratteristica della promessa umana: è una parola che nasce dal cuore e genera futuro. Non è una firma fredda con la quale sottoscriviamo un contratto o un impegno. È qualcosa che coinvolge tutta la nostra vita: in questo senso nasce dal cuore. Proprio per questo apre il futuro, il futuro nostro e il futuro di quelle persone che con questa promessa noi vogliamo accompagnare.
Inoltre, la promessa umana abita ed è abitata da una relazione personale. Noi promettiamo al Signore: c’è in gioco la nostra persona in relazione con lui. Promettiamo anche davanti al popolo di Dio e quindi è una relazione impegnativa con la comunità che il Signore affida proprio alla nostra promessa.
Siamo consapevoli della nostra fragilità. La promessa ci riporta alla polarità tra la fedeltà e il tradimento, tra la fragilità dell’uomo e il mistero di Dio. La promessa di Dio appartiene al suo mistero e ci sovrasta, tanto che a volte ci interroghiamo: “Dio mantiene la sua promessa?”. Noi rinnoviamo la fiducia in lui, non solo perché ne riconosciamo il grande segno che è Gesù Cristo, ma anche gli infiniti segni nei quali vediamo il Regno che cresce, nella consapevolezza che Dio ci supera sempre.
La sua promessa ha a che fare con l’inesauribilità del mistero di Dio. La nostra promessa invece a che fare con l’inesauribilità della nostra fragilità.
Per questo siamo qui ancora a rinnovare umilmente la nostra promessa che vogliamo oggi ripensare soprattutto nel suo legame alla preghiera.
La promessa e la preghiera
La preghiera dei sacerdoti, la preghiera che promettiamo, è una preghiera a partire da una condizione che ne alimenta l’efficacia: rimanere in Cristo. Senza questa condizione è inefficace. È la sua parola forte che risuona per noi proprio in questi giorni: “rimanete in me!”.
Cari fratelli, la potenza non è nelle nostre parole, ma la potenza è di Dio. Noi possiamo attingerne ed esprimerla soltanto rimanendo in Cristo.
Sotto questo profilo la Messa celebrata quotidianamente ha un suo preciso e prezioso valore: è la fonte da cui anche le altre forme ricevono la “linfa”: la liturgia delle ore, l’adorazione eucaristica, la lectio divina, il santo rosario, la meditazione.
Insieme alla Messa quotidiana è essenziale la Lectio Divina. La lettura della Sacra Scrittura è preghiera, deve essere preghiera, deve emergere dalla preghiera e condurre alla preghiera.
“Gli evangelisti ci dicono che il Signore ripetutamente – per notti intere – si ritirava sul monte per pregare da solo. Di questo monte abbiamo bisogno anche noi: è l’altura interiore che dobbiamo scalare, il monte della preghiera. Solo così possiamo svolgere il nostro servizio sacerdotale, solo così possiamo portare Cristo e il suo Vangelo agli uomini… Il tempo che impegniamo per questo è davvero tempo di attività pastorale, di un’attività autenticamente pastorale” (Papa Benedetto – Crismale 2006).
San Carlo sottolinea nella bella lettura proposta nell’Ufficio della memoria, l’importanza della cura della nostra anima: “Non trascurare la tua propria anima: se la tua propria anima è trascurata, anche agli altri non puoi dare quanto dovresti dare. Quindi, anche per te stesso, per la tua anima, devi avere tempo”.
La preghiera di intercessione.
C’è un aspetto particolare della preghiera del sacerdote su cui vorrei soffermarmi: è la preghiera di intercessione.
Noi siamo intercessori. Lo siamo in modo qualificato. Appartiene alla nostra missione sacerdotale.
Appena evochiamo questo, ci appaiono innanzi grandi figure bibliche: Abramo, Mosè, Davide intercedono presso Dio a favore del popolo.
Nell’Eucaristia e nella liturgia delle ore in modo particolare noi facciamo memoria di Dio: facciamo memoria di Dio al popolo e facciamo memoria del popolo a Dio.
Proprio per questo la preghiera di intercessione è stare sulla breccia, è stare in mezzo, come Cristo Crocifisso.
La preghiera di intercessione è sempre una preghiera sofferta.
In questi giorni Papa Francesco ha mandato un videomessaggio ai detenuti del carcere di Barcellona, nel quale mostra una “bella croce” in legno in cui si vede Gesù in ginocchio, con un braccio teso verso il Padre, mentre con l’altro tiene una persona, allungando la sua mano per avvicinarla a Dio.
Stare sulla breccia è stare sulla croce. La croce è fatta da due braccia allargate: una per tenere la mano del Padre e l’altra per tenere la mano degli uomini.
“Chi ascolta il gemito e il sospiro degli umiliati, sente crescere in sé una rabbia, una esasperazione, una ribellione. Sente nascere la voglia di invocare un qualche fulmine che incenerisca la mano ostile, l’accanimento crudele, l’oppressore insopportabile. Sente nascere la voglia, l’istinto di invocare un qualche diluvio che lavi via il male dalla terra, un qualche intervento risolutivo che difenda l’indifeso, che umili l’arrogante, che faccia pagare il giusto a chi è stato troppo ingiusto. Si sente nascere dentro un’impazienza, una insofferenza, un risentimento verso un cielo muto, verso una storia ostile, verso un’umanità insopportabile. Invocheremo un fulmine? Invocheremo un diluvio?” (Mons. Mario Delpini).
No! Cari fratelli, noi intercediamo! Noi stiamo sulla breccia, noi stiamo nel mezzo. Intercedere è pregare allargando le braccia per avvicinare l’uomo a Dio, Dio agli uomini e gli uomini tra loro.
Nell’intercessione il presbitero esercita il suo ministero di pastore portando davanti a Dio i cristiani della comunità di cui egli ha la responsabilità e ricevendoli così nuovamente da Dio: nell’intercessione, il presbitero si dispone ad un’assunzione di responsabilità radicale nei confronti dei membri della comunità che gli è affidata.
La preghiera di intercessione è il luogo in cui constatiamo e testimoniamo come la preghiera del presbitero si lasci plasmare dalla vita e dalle storie personali di coloro che fanno parte della sua comunità, della Chiesa e dell’umanità intera.
La preghiera di intercessione è esercizio di sollecitudine e responsabilità pastorale e lotta contro ogni forma di cinismo, assumendo la pazienza di Dio, i sentimenti di Cristo, la vita degli uomini.
Tertulliano ci consegna una bella pagina nel trattato «L’orazione»: “Si sente raccontare che in antico la preghiera infliggeva colpi, sbaragliava eserciti nemici, impediva il beneficio della pioggia ai nemici. Ora invece si sa che la preghiera allontana ogni ira della giustizia divina, è sollecita dei nemici, supplica per i persecutori. Solo la preghiera vince Dio. Ma Cristo non volle che fosse causa di male e le conferì ogni potere di bene. Ma c’è un fatto che dimostra più di ogni altro il dovere dell’orazione. Ecco, questo: che il Signore stesso ha pregato”.
È rimanendo in Gesù e con Gesù in preghiera che ora rinnoviamo il nostro dovere della preghiera “promessa”.
Cari fratelli e sorelle, in conclusione anche io mi faccio intercessore, rinnovando un appello all’accoglienza e alla solidarietà.
L’accoglienza diffusa, che viene rilanciata anche dagli ultimi arrivati da zone di guerra e anche dalla striscia di Gaza.
La solidarietà, poi, come sostegno concreto: la colletta di questa mattina la vogliamo destinare al Patriarca e al Patriarcato di Gerusalemme. Ieri ha scritto ai Cattolici di Terra Santa dicendo “nessuno vi dimentica”: vogliamo quindi manifestare anche generosamente che non ci dimentichiamo di questi nostri fratelli.
(trascrizione da registrazione)