Care sorelle e fratelli,
il Vangelo ci consegna due immagini: l’immagine di Maria e l’immagine del pastori.
Maria porta nel cuore ciò che sta succedendo e nel suo cuore riflette alla luce della fede, alla luce di quella Parola antica che Dio ha consegnato ai profeti. A me sembra che dentro la velocità del tempo sia necessario trovare degli spazi di riflessione, di silenzio, di raccoglimento. A fronte di eventi che si succedono e che alimentano inquietudine, io penso che sia necessario trovare spazio per meditare nel nostro cuore alla luce della fede e della parola del Vangelo ciò che sta succedendo e ciò che ci sta succedendo.
Probabilmente per affrontare i problemi della nostra vita e quelli della vita del mondo abbiamo bisogno di maggiore interiorità. Il rischio non colpevole a cui siamo esposti è quello di una certa superficialità: non abbiamo tempo per fermarci. Gli esiti di questa condizione però si stanno manifestando in maniera sempre più preoccupante. Credo che non sia un di più, un qualcosa che non possiamo permetterci, ma dobbiamo proprio sentire come esigenza il fermarci qualche istante, come adesso. Le nostre chiese – anche quando non c’è una celebrazione – sono luoghi che favoriscono momenti di silenzio in cui raccogliamo la nostra vita, la rileggiamo e, nel momento in cui da credenti la rileggiamo con la parola della fede e del Vangelo, noi attingiamo a una forza interiore che avvertiamo particolarmente necessaria in questo tempo.
La seconda figura è quella dei pastori. Sono persone che ascoltato l’annuncio degli angeli, si mettono in cammino. Ci dicono che non possiamo cedere alla pigrizia spirituale. La grandissima parte di noi certamente non soffre di pigrizia: le nostre giornate sono piene, la nostra attitudine è quella di lavorare tanto, ma il rischio è quello di diventare pigri spiritualmente. Non significa soltanto non partecipare all’Eucaristia domenicale, ma è il rimandare, con quel “sarebbe bello… ma ci sono tante cose…”. Diventare pigri spiritualmente significa pian piano appiattirsi dentro, nel cuore. Ma è fare un torto a noi stessi. I pastori ascoltano la parola e partono, si mettono in cammino.
Anche noi, questa sera, vogliamo assumere l’atteggiamento di Maria e dei pastori e intraprendere quelle vie di pace che proprio l’annuncio del Natale fa risuonare: gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini. Mettiamoci in cammino. La pace dipende anche da noi, dal nostro metterci in cammino.
Significa innanzitutto che non possiamo dare per scontata la pace e attendere che le cose vadano meglio, sperando che i conflitti attuali non arrivino a toccare le nostre città e le nostre vite. Noi dobbiamo invece alimentare una cultura di pace. Abbiamo vissuto decenni di pace nel nostro paese dopo le grandi guerre mondiali: siamo entrati nella prospettiva che i conflitti non vengono risolti adeguatamente con la guerra. Però poi di fatto oggi ci troviamo con una guerra alle porte. Siamo chiamati a coltivare dei pensieri forti di pace e non semplicemente il desiderio di pace. Dobbiamo recuperare le ragioni della pace. Dobbiamo alimentare come primo passo una cultura di pace a partire dalla nostra situazione quotidiana, dai conflitti che sorgono nelle nostre famiglie e tra famiglie, o all’interno di una associazione, di una comunità, di un’impresa, via via fino alla città. Non possiamo più permetterci di dare per scontata la pace. Bisogna che in qualche modo ci pensiamo e non solo la desideriamo. Questo pensiero più è condiviso, più diventa forte, più si arricchisce. È necessaria una condivisione partecipata per costruire, custodire e alimentare la pace.
Un secondo tratto di questo cammino intrapreso alla luce del Vangelo è quello di verificare i nostri stili di vita e verificare i nostri gesti personali partendo dalla consapevolezza che non possiamo immaginare la pace solo per noi. La pace è un bene comune e lo si persegue insieme.
Il messaggio del Papa per la Giornata della Pace di quest’anno va proprio in questa direzione: “Dall’esperienza della pandemia è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti i popoli e tutte le nazioni a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti è insieme nella fraternità e nella solidarietà che costruiamo la pace, garantiamo giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi”.
La pace ci chiede uno stile di vita caratterizzato dalla responsabilità. Mai come oggi, in un’epoca di tanto progresso umano, si rende necessario l’appello alla coscienza morale di ogni persona umana nella responsabilità di ciascuno.
Infine, la revisione dei nostri stili di vita è quello di condividere in maniera sempre più convinta e con tanta pazienza i valori che ci stanno a cuore. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un rinnovato senso comunitario, un “noi” aperto alla fraternità universale.
Un terzo passo nel cammino dei pastori – che siamo noi – è rappresentato dal lavoro e dal sostegno alle forme di difesa non violenta. È un modo di costruire la pace. Non si può pensare solo a incrementare gli armamenti, ma è necessario alla luce dei fatti che in questo tempo ci toccano più da vicino, cominciare – anche se non è facile – a immaginare delle forme di difesa non violenta, a reali percorsi di disarmo. Il disarmo nucleare suscita tanta inquietudine nell’umanità. Ma dobbiamo cominciare dal disarmo del cuore.
Pensiamo agli strumenti internazionali di risoluzione dei conflitti che ci sembrano molto deboli in questo momento. Paolo VI nel 1965 si recò all’ONU. Risentiamo le sue parole: “Voi – rivolgendosi ai rappresentanti di tutti gli Stati – sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, dalla violenza, non dalla guerra e nemmeno dalla paura e dall’inganno”.
Cari fratelli e sorelle, vi auguro pace nelle vostre famiglie. Perché possiamo però godere pace nelle nostre case non possiamo rimanere indifferenti alla costruzione della pace nella grande famiglia umana. Papa Giovanni XXIII, a noi così caro, è stato il grande messaggero della pace e nell’anno che stiamo inaugurando, il 2023, noi celebriamo i 60 anni da quello che è riconosciuto come il grande manifesto della pace, la “Pacem in terris”. Noi siamo nella sua terra, siamo i suoi amici, e vogliamo raccogliere ancora più intensamente quelle intuizioni e quelle ispirazioni che scaturiscono dal messaggio di pace che il Natale offre a tutta l’umanità.
Lo potremo fare in modo particolare a partire dall’evento che caratterizza la nostra città in questo anno. Bergamo e Brescia saranno capitale della cultura. Vogliamo pensare a una capitale della cultura ispirata dalla fede, capitale della fraternità. Come dice la rappresentazione di questo evento, noi saremo veramente una “città illuminata”, una città capace di dare luce al cammino di ciascuno delle nostre comunità e del mondo intero.
(trascrizione da registrazione)