Via Crucis da Premolo

Chiesa parrocchiale di Premolo
03-04-2020

Care sorelle e fratelli,
pregheremo questa Via Crucis dalla chiesa parrocchiale di Premolo. Ho desiderato venire qui, perché questo è il paese natale di don Antonio Seghezzi. Un prete che non vogliamo dimenticare.

Nasce in questo paese nel 1906. Diventerà prete nel 1929. Curato ad Almenno, insegnante in Seminario, cappellano militare in Eritrea. Al suo ritorno il Vescovo Bernareggi lo nomina Assistente della Gioventù maschile di Azione Cattolica. Ricco di un’esperienza, che lo ha messo in contatto con i giovani, ne diventa un punto di riferimento di riconosciuto valore. Viene apprezzato ampiamente, come formatore di anime, di anime coraggiose.

All’interno di questo ministero, matura l’ultima parte della sua vicenda sacerdotale. Accusato di appoggiare la Resistenza, proprio per i suoi rapporti con i giovani che stanno impegnandosi nella Resistenza stessa, viene arrestato. Un momento che don Antonio vivrà con passione, dentro un’esperienza che diventa una vera Via Crucis; infatti i comandanti tedeschi minacciano rappresaglie, nei confronti della gente, dei giovani e degli stessi sacerdoti, perché non riescono a trovarlo: così don Antonio che si consegna.

Da questo gesto, nel 1943, prende il via il percorso finale della sua vita: don Antonio viene prima incarcerato a Verona e poi deportato in Germania. Negli ultimi giorni della sua vita viene trasferito nel campo di concentramento di Dachau dove morirà pochi giorni dopo la liberazione, per gli stenti e le malattie che la carcerazione gli ha causato.

Di lui scompare traccia fino al 1952, quando si ritrovano i suoi resti, vengono riconosciuti e riportati a Bergamo: ora riposano nella cripta di questa di chiesa parrocchiale, realizzata per lui.

Don Antonio Seghezzi viene riconosciuto come un testimone esemplare della fede e si avvia per lui la causa di beatificazione nel 1991. Siamo in attesa del riconoscimento della sua venerabilità da parte del Santo Padre e ce l’auguriamo con tutto il cuore.

Quest’anno ricorre il 75mo anniversario della sua morte.

Uno dei motivi per cui ho voluto essere qui, alla luce di questa testimonianza esemplare, è proprio per ricordare i 24 sacerdoti diocesani che in questi venti giorni sono morti. Desidero che tutta la Comunità diocesana, in questa circostanza, li ricordi e preghi il Signore per loro e con loro.

I brevi testi di commento alla Via Crucis sono tratti dai numerosi e appassionati scritti di don Antonio Seghezzi. Una documentazione che, negli anni, è stata curata in modo particolare da don Tarcisio Tironi e oggi viene alimentata e custodita dal parroco di Premolo, don Gianluca Colpani, che desidero ringraziare per la sua accoglienza.

Leggo un breve scritto di don Antonio, che ci introduce in modo significativo in questa preghiera: “In mezzo alle nostre case, più alta, più bella di tutte, c’è la casa del Signore. E dentro la chiesa, c’è l’altare, centro e punto dove si concentrano gli occhi di tutti i fedeli. E sull’altare, alta, la croce: perché per il crocefisso noi siamo salvi e tutti i giorni dal crocifisso silenzioso cadono sull’altare le gocce di sangue, sangue che si fa fuoco, fuoco che brucia il mondo”.

Questo fuoco d’amore che brucia il mondo e accende il cuore, è quello che io desidero invocare con voi all’inizio di questa Via Crucis.

In questa Quaresima così speciale, ho consegnato un dono alle nostre Comunità: non è mio, è un dono del Signore posto nelle mani della Chiesa. Nei giorni ormai prossimi alla Pasqua, molti di noi avvertono l’esigenza di confessarsi, di accedere al sacramento della misericordia. Sappiamo che, date le circostanze, non può avvenire. Allora, in questo momento di preghiera, vogliamo condividere realmente – voi nelle vostre case, io in questa chiesa – l’esperienza della “confessione di desiderio”.

Che cosa significa? Signore, sono impossibilitato a confessarmi, lo desidererei tanto, ho bisogno del tuo perdono! Allora ti manifesto questo desiderio: lo manifesto con la preghiera, ma soprattutto lo manifesto con il cuore, lo manifesto impegnandomi con un segno che concretamente rappresenti questo mio desiderio: una rinuncia, un particolare sacrificio, anche se già ne stiamo facendo in questi giorni, un’attenzione particolare ad una persona che sappiamo ne ha bisogno. Insieme, esprimiamo il proposito sincero – non si può barare con il Signore –  di confessarci appena sarà possibile.

A partire da questa possibilità che la Chiesa ci offre, consegnandoci il perdono di Dio per i peccati della nostra vita, vi invito a pregare con me.

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Care sorelle e fratelli,

ci siamo lasciati guidare dalla Parola del Signore e dalle testimonianze di don Antonio Seghezzi, un sacerdote che con la sua vita, ancor prima che con la sua morte, ci consegna un esempio luminoso di fedeltà non solo al Signore e al suo Vangelo, ma a tutti, particolarmente ai tanti giovani che gli sono stati affidati.

Ho ritenuto di arricchire la nostra preghiera con il gesto condiviso di chi ha voluto e ha potuto esprimere davanti al Signore il suo pentimento, il desiderio del perdono, la consapevolezza che in questo momento non può celebrare il sacramento ma si ripromette di farlo appena possibile. Sappiate che questo perdono, proprio per la misericordia di Dio e l’azione della Chiesa, è consegnato alle vostre esistenze.

In queste settimane, in questi giorni, noi siamo stati messi in relazione particolare con l’esperienza del dolore: chi lo vive proprio nella sua carne perché malato e chi lo vive nella sua carne perché sono state ferite le relazioni più care della propria vita. Abbiamo forza, attingiamo a ciò che ci è caro e a ciò che crediamo, per alimentare la nostra forza, ma l’urto del dolore è grande. È grande come la violenza di questo contagio.

Da sempre il dolore è stato rappresentato con l’immagine della croce. Anche nel linguaggio comune quando si parla di un dolore si parla della croce: “Non pensavo che sarei stato caricato di una croce così pesante!”. La croce ha la forza di raccogliere e rappresentare tutte le forme di dolore.

Sulla croce è salito Gesù. Gesù sperimenta il dolore del mondo e insieme rivela l’amore più grande, un amore che non consegna il dolore alla disperazione: il dolore infatti, quello del corpo, della mente, dei sentimenti è capace di mangiarci l’anima.

Quando una persona è provata dal dolore – nel suo corpo, nella sua mente, nel suo cuore – sembra che tutto di sé si concentri attorno a quel dolore. È come se il dolore diventasse una calamita attorno alla quale tutto quanto viene attratto. Una persona ha davanti agli occhi i propri cari, vorrebbe appellarsi alla sua fede, guarda ai medici e a chi lo cura e spera di essere guarito. Nello stesso tempo, però, inesorabilmente, senza che un secondo conceda requie, il dolore si fa sentire con una voce più forte di tutte le altre. Non si riesce a pensare, non si riesce nemmeno a pregare. Il dolore ha la possibilità di mangiarci l’anima.

Cari fratelli e sorelle, guardare il crocifisso è importante, non semplicemente per riconoscere in Lui il nostro dolore, ma per riconoscere in Lui l’amore più grande, quello di chi è disposto a donare, anzi, a sacrificare la propria vita per amore di coloro che gli sono affidati.

Allora, anche se il dolore sembra morderci fino in fondo e portarci via l’anima, noi sappiamo che in Gesù e grazie a Lui, questo non sarà possibile. Anche se, e quando, il grido dovesse essere forte e angosciato, in quel grido il Crocifisso non ci abbandonerà.

Preserviamo la nostra anima, custodiamola l’anima quando stiamo bene, quando guardiamo ancora sorridenti i nostri figli: difendiamo l’anima e la fede con la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, il condividere con altri, anche attraverso i mezzi delle comunicazione, la nostra convinzione. Non sono accessori della vita.

Difenderemo la nostra anima nel modo più bello, se la consegniamo nelle mani del Signore, non solo quando ci sarà chiesta nell’ultimo giorno, ma già oggi. Il modo migliore perché la nostra anima -cioè la profondità di noi stessi, il senso della vita, il principio spirituale della nostra esistenza – non vada perduta è consegnarla già oggi al Signore.

Anche quando ci sarà chiesta la prova suprema, questa consegna – che forse in quel momento non riusciremo a far più né con le parole né col pensiero – avverrà perché è già avvenuta. Noi non abbiamo paura del Signore! Se il dolore rischia di mangiarci l’anima, il Signore la conserva gelosamente e premurosamente nelle sue mani.