18-05-2013
Cari fratelli e sorelle,
qualche anno fa, non molti, è uscito un film dal titolo “Il concerto”. È la storia di un’orchestra in disarmo, di un maestro distrutto dall’alcol e di un capolavoro della musica che è il concerto per violino di Tchaikovsky. È una storia, una specie di fiaba pur avendo anche dei connotati drammatici. Alla fine avviene il miracolo, il miracolo della musica, il miracolo dello spirito della musica, dell’ispirazione. Questa orchestra sgangherata e il suo maestro in maniera sorprendente fanno addirittura dichiarare all’impresario del tutto ateo – vetero comunista, perché si trattava dell’antica orchestra del Bolshoi – che Dio doveva esistere. Da una parte, nel momento in cui l’orchestra, che peraltro si era dispersa per tutte le vie di Parigi, si ritrova insieme è come se risvegliasse lo spirito. Dall’altra parte l’ispirazione di quel capolavoro musicale riesce a ridare non solo compattezza, ma forza, capacità, creatività che stupisce tutto il pubblico inizialmente perplesso nell’ascoltare l’esecuzione.
Cari fratelli e sorelle, questa è una specie di parabola dello Spirito e della Chiesa. Dobbiamo ammettere che qualche volta anche noi siamo un po’ dispersi, un po’ sgangherati, un pochettino smarriti. Qualche volta può succedere che così ci appaiano anche le nostre guide. Poi, in una maniera che a volte ci sfugge ed è inspiegabile, non solo c’è una ricomposizione, ma proprio un risveglio, una rinascita. Così è stata la prima Pentecoste: uomini che hanno condiviso tutto di Gesù – conoscevano il Maestro, erano i suoi discepoli -, uomini che hanno vissuto il dramma del fallimento, uomini che hanno vissuto la sorpresa inimmaginabile della risurrezione, ma uomini ancora lì, fermi, perché mancava lo Spirito. Lo Spirito scende nel momento in cui – come ci narrano gli Atti degli Apostoli – sono tutti insieme, sono tutti riuniti. È come se questo Spirito venisse dai loro ricordi, dalla loro storia, dai loro affetti per Gesù, dalle esperienze che avevano vissuto con lui, ma non basta. Questo Spirito “scende”, è il grande dono che Gesù ha fatto.
Cari fratelli e sorelle, la Chiesa non può ridursi a un grande messaggio. La Chiesa non può ridursi a una nobile morale, la più grande. La Chiesa non può nemmeno rappresentarsi nei suoi segni, a volte veramente grandiosi. La Chiesa per vivere ha bisogno di un’ispirazione e questa ispirazione non viene da noi, ma da Dio: è il suo Spirito. È di questo che noi viviamo. È di questo che ci sorprendiamo. Camminiamo insieme agli altri, condividiamo appunto le gioie e i dolori di tutti, siamo portatori di qualche cosa che non è nostro, che abbiamo ricevuto immeritatamente e sorprendentemente.
Veramente, come un’orchestra, la Chiesa è di anno in anno, di secolo in secolo, di tempo in tempo chiamata a eseguire, a riconsegnare il capolavoro del Vangelo. Ogni volta che avviene un’esecuzione musicale è un fatto nuovo. Le riproduzioni che abbiamo a casa possono essere perfette, ma non ricreano quell’evento che succede quando un gruppo di uomini, davanti ad altri uomini, ricrea quella musica che è scritta sotto i loro occhi. Così è la vita della Chiesa. La musica del Vangelo è quella, ma quando soffia lo Spirito e la comunità lo asseconda, in quel momento, in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo sia eseguita questa musica sublime, si compie un fatto nuovo.
Noi vegliamo questa sera in preghiera, celebriamo la Pentecoste, e non soltanto vogliamo ribadire questa convinzione, ma vogliamo chiedere al Signore che in qualche modo ci conceda ancora di vivere questa esperienza.
Lo facciamo in un anno assolutamente particolare, l’Anno della Fede, a 50 anni dal Concilio: a 50 anni dalla Pentecoste Conciliare. Lo facciamo con quell’affetto che ci lega a Papa Giovanni che pure ricordiamo nel suo 50mo di morte, che tra poche settimane, il prossimo 3 giugno, celebreremo con molti – penso anche alcuni di voi – nella Basilica di San Pietro sulla sua tomba. Papa Giovanni ha immaginato veramente il Concilio come una nuova Pentecoste. Già poco prima di essere eletto, il 23 ottobre, poco prima di entrare in Conclave, così scrive al Vescovo di Bergamo Mons. Piazzi: “Una breve riflessione prima di entrare in Conclave. È un appello quello che lancio attraverso la voce del Vescovo per ciò che ho di più caro nel mio cuore di buon bergamasco: la mia anima prende nuovo slancio nella speranza di una nuova Pentecoste”. Non era ancora Papa, non sapeva di diventarlo. Dopo la sua morte, il Cardinal Suenens, suo grande amico, uno dei grandi uomini del Concilio, dirà così commemorando Papa Giovanni: “Per Giovanni XXIII il Concilio non era essenzialmente un appuntamento tra i Vescovi e il Papa, un incontro orizzontale, esso era innanzitutto e soprattutto un appuntamento dell’intero Collegio Episcopale con lo Spirito Santo, un incontro verticale: l’accoglienza di un’immensa effusione dello Spirito Santo per il nostro tempo, una sorta di nuova Pentecoste”.
Così, cari fratelli, vogliamo raccogliere il Concilio che certamente ci viene consegnato attraverso i suoi grandi documenti che ancora troppo poco conosciamo. Ma il Concilio è uno spirito, è lo Spirito Santo che si è manifestato nella sua Chiesa e l’ha rigenerata, così come è avvenuto di tempo in tempo, a volte con dei segni del tutto irresistibili.
Viviamo questa veglia con tante persone, uomini e donne, giovani e anziani, che a partire da una particolare attenzione della vita evangelica, a partire da un dono dello Spirito, che in maniera caratteristica li ha affascinati, a partire da una passione per la Chiesa che è capace ancora di coagulare delle forze, si sono riunite. Siete qui, cari fratelli e sorelle, che formate i gruppi, le associazioni, i movimenti che arricchiscono la nostra Chiesa. A voi la nostra Chiesa – e non solo il Vescovo – ha voluto dedicare una particolare attenzione, consapevole che oggi insieme al Vescovo, insieme ai sacerdoti e ai consacrati, insieme a questa figura che ci sta affascinando di Papa Francesco, c’è assoluto bisogno di uomini e di donne, laici, competenti nella loro professioni, competenti nella loro capacità di amare, competenti in quelle relazioni fantastiche che sono le relazioni familiari, che lascino trasparire – non come qualche cosa che si impone, ma come qualche cosa che suscita simpatia, attenzione, illuminazione, speranza – e sappiano proporre a tutti la bellezza del Vangelo, la musica del Vangelo, l’ispirazione del Vangelo.
Sentiamo – anche attraverso la persona del Papa – tutta la responsabilità del compito di noi pastori. Anche questo mio decimo anniversario di episcopato – e vi ringrazio per la vostra vicinanza – è qualche cosa per rendere grazie a Dio, per gioire, ma è anche una responsabilità altissima. D’altra parte, però, debbo anche dire che non basta per la Chiesa: c’è bisogno di uomini e di donne che prendono sul serio questo mondo, che prendono sul serio le cose di questo mondo, che prendono sul serio le oscurità e le luminosità di questo mondo, che prendono sul serio i momenti eccezionali e i momenti quotidiani della vita di tutti. C’è bisogno di cristiani che camminando insieme ad ogni uomo e a ogni donna, sappiano fermentare di Vangelo la vita di tutti.
La presenza di associazioni, movimenti e gruppi nella nostra Chiesa va considerata un dono dello Spirito. Un dono da riconoscere, accogliere e valorizzare. Oggi siamo consapevoli che questi doni sono certamente per l’edificazione della Chiesa e di tutti. Sappiamo che questi doni ci fanno partecipi dell’unica missione di Cristo, ecco perché chiedevo un particolare slancio missionario. Missione non vuol dire conquista, missione vuol dire manifestazione dell’amore di Dio, missione vuol dire che non daremo mai per scontata la fede, come in una famiglia non si dà mai per scontato l’amore. Missione è questo: la scoperta innanzitutto da parte nostra dell’eterna giovinezza del Vangelo, dell’eterna capacità ispiratrice dello Spirito Santo nella vita di ciascuno, nella vita di ogni gruppo, movimento, associazione, nella vita di ogni uomo e di ogni donna.
(trascrizione da registrazione)