Cari fratelli e sorelle,
ci sono state consegnate alcune testimonianze e alcune storie. Vorrei dire grazie.
Questa sera invochiamo insieme lo Spirito, con una corale invocazione, riconoscendo la vitalità generativa dello Spirito. Ciascuna delle realtà che voi rappresentate, ciascuna delle nostre comunità è espressione di questa generatività dello Spirito. Lo sono anche le comunità religiose, lo sono anche tutti i ministeri che nella Chiesa vengono esercitati. Lo sono certamente le storie raccontate e quelle che ciascuno di noi potrebbe raccontare. Sono frutti dello Spirito.
Questa preghiera corale, questo riconoscimento della vitalità generativa dello Spirito, avviene in questo Santuario della Madonna dei campi, perché Maria è la donna piena di Spirito Santo. E sappiamo bene quale è il frutto di questa pienezza: è Gesù stesso.
In questo Santuario ho pregato recentemente il Santo Rosario insieme con la comunità parrocchiale di Sorisole e insieme a questa fraternità delle parrocchie di questo territorio, dove mi sono fermato per alcune settimane nel mio Pellegrinaggio Pastorale. Questa sera è rappresentata da don Raffaele che ringrazio della sua presenza come Moderatore della fraternità.
Il mio Pellegrinaggio Pastorale è nel segno di una parrocchia fraterna, ospitale, prossima.
Le storie che abbiamo sentito raccontare vanno nella stessa direzione.
Tre caratteristiche che abbiamo ritrovato nella parabola evangelica, nell’indimenticabile parabola del Buon Samaritano.
Papa Francesco ci riconsegna questa pagina nella sua ultima Lettera Enciclica “Fratelli tutti”, in cui rappresenta la fraternità in maniera delicata e insieme intensissima.
Ho avvertito – e penso lo abbiate avvertito anche voi – che una delle provocazione che ci viene nel momento in cui parliamo e vogliamo vivere la fraternità è la sua universalità: una fraternità aperta a tutti e una fraternità con tutti.
In realtà ci sono fraternità “esclusive” che accompagnano la storia dell’umanità. Non c’è bisogno di essere cristiani e nemmeno di valorizzare questa dimensione umana della fraternità per identificare nuclei di persone che si riconoscono come fratelli nel segno più diverso. Sono “i miei”, sono quelli della mia parte, cominciando dalla parentela, fino alla mia tribù, al mio paese, alla mia parrocchia, alle mie associazioni, ai miei gruppi. Sono fratelli, loro. “E gli altri?” “Vediamo un po’!”.
La tentazione dell’esclusività appartiene all’esperienza della fraternità. Negarla significa caderci. La fraternità è tendenzialmente esclusiva: questi sono i miei fratelli e quelli sono gli altri.
Stasera dalla parabola del Vangelo, dalla lettera del Papa, dalle esperienze ascoltate, noi siamo provocati a una fraternità che non ha confini.
Gesù ci introduce, dentro l’autentica provocazione della parabola, attraverso l’esperienza del bisogno, della debolezza, della povertà, attraverso quell’uomo che giace lungo la strada. Papa Francesco commentando dice: “All’amore non importa se il fratello ferito viene da qui o da là”.
Possiamo dire che la ferita è come una porta, è come un ponte, è come un appello che spinge a questa fraternità che abbraccia tutti.
Proprio nel momento in cui siamo consapevoli di questo, ci poniamo un interrogativo: siamo fratelli nel momento del bisogno e poi sconosciuti o addirittura nemici nella cosiddetta normalità?
Quella fratellanza che abbiamo percepito nei momenti più intensi della pandemia, oggi non solo si allontana nel tempo, ma riteniamo che non sia il criterio adatto e normale per continuare a vivere?
La parabola, a partire dalla condizione ferita dello sconosciuto, rappresenta delle opzioni di fondo che qualificano il modo di essere e di entrare in rapporto con gli altri: o si è briganti, o si è indifferenti, o si è buoni samaritani.
Mi direte: non esageriamo! Sono distinzioni un po’ troppo marcate! Ma nella parabola è così: ci sono l’uomo ferito, i briganti, gli indifferenti e il buon samaritano.
Noi, anche se non abbiamo seguito corsi speciali, siamo molto bravi a fare dei cocktail: siamo bravissimi a mischiare un po’ di brigante, un po’ di indifferente e un po’ di buon samaritano. Se guardo a me stesso farei fatica a definirmi in una di queste tre categorie in modo netto: in me c’è un po’ di tutto e tutto insieme.
Oppure mi vengono in mente quelle casettine che c’erano una volta, quando non c’erano i servizi meteo costantemente aggiornati, da dove uscivano omini diversi: uno con l’ombrello, uno senza ombrello, uno diceva che ci sarebbe stata la pioggia, uno diceva che ci sarebbe stato il sole. Siamo anche noi così: esce un omino diverso, a volte il brigante, a volte l’indifferente, a volte il buon samaritano.
Dobbiamo però ammettere che il ferito rivela inevitabilmente la verità del cuore di ciascuno e la verità dell’intera comunità. Rivela anche la verità della fede di chi si dice cristiano. Non possiamo dimenticare che la provocazione della parabola è così forte da rappresentare gli indifferenti come degli uomini di religione.
Allora quali scelte siamo chiamati a compiere singolarmente, o come comunità, associazioni, movimenti, realtà ispirate dallo Spirito Santo?
Papa Francesco e la Chiesa italiana stanno parlando di cammino sinodale e di stile sinodale. E devo dirvi francamente che stiamo iniziando a comprendere non teoricamente ma praticamente cosa significhi questo, ma vogliamo capire di più e per scelta.
La prima scelta che ci viene indicata è che se vogliamo in qualche modo entrare nella prospettiva di quella fraternità che la parabola ci consegna dobbiamo innanzitutto uscire di casa. Il ferito è sulla strada.
A volte la via è la nostra casa, perché il ferito è in casa nostra. Ma lo incontriamo in casa solo se usciamo dalla nostra casa: può essere la moglie, il marito, il figlio, il fratello e tu neanche te ne accorgi passando indifferente, sperando di non essere stato il brigante.
Bisogna uscire di casa, stare sulla via, solo così avviene l’incontro con le ferite.
Il criterio e la scelta che costa di più è proprio l’uscire di casa: da ciò che ho previsto, da ciò che ho calcolato, da ciò che ho programmato. Anche nella miglior casa, nella quale ospito, ma ospito chi dico io, chi voglio io, come voglio io, nel modo che dico io. Sulla strada tutto questo non può avvenire: o sei il brigante, o sei l’indifferente, o sei il samaritano.
Una seconda scelta è quella di fraternizzare con i feriti. Non è facile.
Quel ferito era probabilmente più che mezzo morto. Ricordo una bellissima meditazione di don Mazzi, dove invece di immaginarlo mezzo morto lo immaginava “mezzo vivo”. Questo è il vero problema. Finché è mezzo morto, noi dispieghiamo tutta la nostra capacità di amare, tutte le nostre attenzioni. Quando però è mezzo vivo, c’è anche lui e non sempre le cose funzionano come vogliamo noi, non sempre si abbandona alle nostre braccia. Fraternizzare con i feriti significa fraternizzare con i mezzi vivi e non solo con i mezzi morti.
Una terza scelta è quella di allargare continuamente il cerchio della fraternità. Sto bene nella mia famiglia, ma non mi deve bastare. Sto bene nella mia associazione, nel mio movimento, nella mia fraternità, ma non mi deve bastare. Sto bene nella mia parrocchia, ma non mi deve bastare. Il cerchio della fraternità deve passare dal cerchio chiuso al cerchio che si allarga e si apre in uno spazio largo.
Una quarta scelta, proprio per noi cristiani: è lo scegliere di riconoscere nel ferito il Signore. Allora la fraternità ci interpella in modo intensamente profondo: è il Signore che si è fatto nostro fratello e che ci si rappresenta attraverso la figura del ferito. Questo nutre una fraternità che non può essere esclusiva.
Finalmente, un’ultima scelta: fraternizziamo nel bisogno, ma prendiamo questa esperienza come tirocinio per una fraternità esistenziale. Ogni ora, ogni minuto, ogni istante sia segnato da un cuore che vuole essere fraterno.
Sul fascicolo è riportata una bellissima espressione latina dell’antico inno rivolto allo Spirito Santo: “infunde amorem cordibus”, infondi l’amore nei nostri cuori. Lo diceva San Paolo: “La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.