Solennità di tutti i Santi – Cimitero di Bergamo

01-11-2018
Care sorelle e cari fratelli,

 
l’esistenza, in un arco di tempo scandito dagli anni, man mano avanza è sottoposta al limite fino al limite supremo che è la cesura della vita. La vita si interrompe. Veniamo sepolti, ci consumiamo.
 
Il cuore della fede e dei cristiani nella risurrezione di Gesù è proprio il riconoscere che coloro che hanno compiuto quello che nella liturgia con una bella immagine definiamo “il pellegrinaggio terreno”, non si consumano, non si estinguono, ma vivono in Dio. Non semplicemente perché una concezione della vita ci fa pensare che il loro spirito duri in eterno, ma vivono in Dio per Cristo Gesù, che è il destinatario e il fondamento della nostra fede. Il lui, veramente morto e per noi credenti veramente risorto, sta la speranza della vita di tutti i nostri defunti.
 
Per questa ragione nella commemorazione dei morti unita a quella dei santi noi innalziamo al Signore preghiere.
 
Noi preghiamo i santi perché li riconosciamo viventi in Dio di una vita così intensa che è capace di consolare, di accompagnare, di sostenere la nostra stessa vita.
 
Noi preghiamo per i defunti – particolarmente quelli che hanno fatto la nostra vita in quelle relazioni fondamentali di amore, di amicizia, di collaborazione, di condivisione – accompagnandoli con la nostra riconoscenza presso Dio. Questa preghiera si chiama tradizionalmente “suffragio”, perché non riteniamo che quel corpo che si corrompe sia l’ultima parola della loro esistenza. Piuttosto li pensiamo e li crediamo viventi in Dio.
 
La concomitanza tutt’altro che casuale tra la festa dei santi e la commemorazione di tutti i defunti ci indica una unità che il Santo Papa Paolo VI, canonizzato da pochi giorni, ci consegna con parole chiare e profonde come tipico del suo grande magistero: “I santi sono anelli forti di una catena che lega gli uomini nel tempo e nella storia e definitivamente li ancora all’eternità. A rompere la mestizia del ricordo dei nostri cari è il poema della comunione dei santi. Una comunione che i cristiani nella loro vita di comunità devono prefigurare. Se noi siamo convinti che i santi vivono una relazione con Dio e fra di loro perfetta dell’amore, allora a questa immagine della nostra fede siamo chiamati a ispirare la nostra vita, la vita delle nostre comunità. Persone che faticano a credere, che prendono a volte distanze comprensibili dalla fede nella risurrezione, non debbono soltanto sentire parole che annunciano il Vangelo della risurrezione, ma vedere dei segni e un segno è questa comunione dei santi pellegrini sulla terra, che pure sconteranno ancora i loro peccati e i loro limiti; non parliamo di una comunione perfetta, parliamo di una comunione che diventa concretamente giorno per giorno comunità”. Una comunità capace di lasciar intravvedere la comunione dei santi. “Una comunità – diceva ancora Paolo VI – in cui si respiri un’atmosfera di solidarietà di simpatia, una comunità capace di armonizzare animi e voci, una comunità che trova nella famiglia uno dei luoghi principali in cui sperimentare questa unione la cui perfezione si trova presso Dio. Addirittura un popolo di Dio a cui la stessa fede, la stessa speranza, la stessa carità lasciano pregustare qualcosa della gioia dell’unità definitiva”.
 
Dentro questo orizzonte di fede che arricchisce i motivi per cui tutti, credenti e non credenti, tornano ai cimiteri in questi giorni e ricordano i loro defunti, vogliamo collocare quest’anno il ricordo particolare di tutti coloro che sono morti – noi diciamo “caduti” – in guerra. Lo facciamo nell’anniversario, ormai giunto alla sua conclusione, del centenario della fine della prima guerra mondiale.
 
Il ricordo dei caduti in guerra – di tutti i caduti, non solo quelli della prima guerra mondiale, pensando a tutte le guerre che ancora oggi si stanno compiendo sulla faccia della terra – ci pone di fronte a un’infinità di persone umane e di famiglie che hanno vissuto e sofferto questa morte, dalle origini dell’umanità fino ad oggi. Quasi come se la terra fosse una specie di enorme campo santo. Impressiona l’immagine dei cimiteri militari, con queste file di croci che sembrano non aver fine.
 
Ci fa pensare: questa terra che cos’è? Un teatro dell’odio, dello scontro, della violenza e della guerra? Il destino di questo pianeta è quello di trasformarsi in un enorme campo santo?
 
A queste domande vorrei rispondere con una testimonianza unica, originalissima, preziosa per tutta l’umanità, ma certamente in questa terra in modo peculiare: è la testimonianza del santo Papa Giovanni XXIII, uomo, soldato, cappellano militare, patriota, profeta della pace.
 
Nel santo Papa Giovanni noi ritroviamo tutte queste esperienze, quindi le sue parole trovano una particolare efficacia in questo ricordo, perché le esperienze che lui ha vissuto le ha vissute proprio in occasione della prima guerra mondiale. Ne vivrà poi un’altra, ormai Vescovo e Nunzio Apostolico.
 
Dicevo “patriota”. Parte così Angelo Roncalli e non va assolutamente sottovalutato questo aspetto che gli farà dire all’inizio della guerra parole di intensità impressionante: “Nel sacrificarci per la patria, noi sappiamo di sacrificarci per Dio e per i nostri fratelli”.
 
Sono parole che verranno poi nutrite in un’esperienza profonda che non le cancella, ma ne fa emergere il dramma della guerra e di quello che la guerra ha inciso nel suo cuore facendolo un profeta di pace. “La guerra – scriverà nel 1920 – è stata e rimane un gravissimo male e chi ha compreso il senso di Cristo e del suo Vangelo e lo spirito di fraternità umana e cristiana non saprà mai sufficientemente detestarla. Indimenticabile fu il servizio che compimmo come cappellano negli ospedali in tempo di guerra. Esso ci fece raccogliere nel gemito dei feriti e dei malati l’universale aspirazione alla pace, sommo bene dell’umanità. Mai come allora sentimmo quale sia il desiderio di pace dell’uomo, specialmente di chi come soldato confida di prepararne le basi per il futuro con il suo personale sacrificio e spesso con l’immolazione suprema della sua vita”.
 
Cari fratelli e sorelle, che tutti i morti nella guerra e di tutte le guerre riposino in pace, ma insieme che tutti i viventi e noi tra loro viviamo in pace e costruiamo giorno per giorno la pace. Ha detto il Signore: “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”.
 
Il 4 novembre suonerà la campana civica e la campana di ogni nostra chiesa. È la campana della vittoria, così era una volta. È la campana della fine della guerra. È la campana del ricordo e della memoria. È la campana del monito che la guerra e l’aspirazione alla pace di ogni uomo ci consegnano. È – finalmente – la campana della pace.
(trascrizione da registrazione)