Solennità di Sant’Alessandro – Pontificale

29-08-2016
La festa del Santo Patrono della diocesi e della città diventa festa non solo della comunità cristiana, ma dell’intera comunità di donne e uomini che abitano e vivono questa terra bergamasca. Desidero allora ringraziare in modo speciale tutte le autorità che hanno accolto il nostro invito e che rappresentano le istituzioni al servizio della pace, della giustizia e della libertà a livello nazionale, regionale, provinciale e cittadino. La vostra presenza è un segno e diventa per noi occasione del rinnovamento della consapevolezza di come insieme possiamo costruire i beni che ricordavo e diventa anche motivo di preghiera perché il vostro servizio si svolga nella serenità e con quel coraggio che quest’anno diventa la virtù attorno alla quale vogliamo riflettere, attorno alla quale diversi linguaggi e messaggi si dispiegano in questi giorni, proprio a partire dalla figura del martire Alessandro.
 
Sant’Alessandro con il suo martirio ci consegna il segno di un coraggio che è quello della fedeltà a Dio, della testimonianza della fede agli uomini, della sequela di Gesù fino alla morte in croce.
 
In questi giorni si unisce a questa figura attorno alla quale si coagulano non solo le nostre presenze, ma anche i nostri sentimenti, il ricordo di altri martiri: proprio ieri celebravamo nella nostra diocesi la prima memoria di un martire pur col nome di Alessandro, un sacerdote della nostra diocesi, un sacerdote delle nostre valli, don Sandro Dordi, proclamato beato proprio a causa del martirio che ha subito non secoli fa, ma 25 anni fa in Perù.
 
Accanto a lui permettete di ricordare la figura di don Antonio Seghezzi ed è stato fatto in questi giorni pur attraversati da motivi di particolare dolore per la morte di alcuni nostri sacerdoti. Altro sacerdote la cui esistenza e la cui morte possiamo mettere sotto il segno della testimonianza suprema.
 
Vorrei unire a questi nostri sacerdoti la figura di Padre Jaques, questo anziano sacerdote francese che è stato ucciso proprio sull’altare mentre celebrava l’Eucaristia. Quelle parole: “questo è il calice del mio sangue” hanno trovato un riscontro proprio in quel momento nel sacrificio della sua vita.
 
Non possiamo dimenticare il numero impressionante di cristiani, testimoni della fede fino alla morte “in croce”.
 
Al ricordo pensoso e serio di tutti loro, voglio unire all’inizio di questa riflessione il ricordo delle vittime del devastante terremoto in centro Italia e delle persone e famiglie sopravvissute in condizioni di totale precarietà. Voglio anche ricordare l’impegno solidale dell’intera comunità nazionale, di tante istituzioni e associazioni e debbo dire anche l’impegno della nostra Diocesi, che aderisce alla colletta organizzata dalla Chiesa italiana in tutte le parrocchie il 18 settembre in occasione del Convegno eucaristico nazionale, ma che intende solidarizzare anche immediatamente con le popolazioni colpite con un contributo di 50mila euro, attraverso la Caritas diocesana e della diocesi. Un contributo immediato al quale invito a portare anche la vostra generosità, che si dispiega attraverso molte iniziative promosse da istituzioni e associazioni.
 
Abbiamo assistito in queste ore a gesti di coraggio generoso da parte di molti, anche bergamaschi, che hanno rischiato, esponendo se stessi per salvare i più piccoli e i più deboli.
 
È proprio la considerazione del coraggio come virtù, che vogliamo approfondire in occasione della festa di quest’anno, non come gesto isolato, ma piuttosto come stile, come modo di vivere e di essere ogni giorno. Il coraggio cioè nella vita quotidiana e il coraggio della vita quotidiana.
 
Una domanda si affaccia immediatamente alla nostra riflessione: a che titolo, per quale particolare competenza o esperienza una comunità di cristiani può parlare di coraggio? Quale contributo può offrire all’esercizio di questa virtù?
 
Dobbiamo riconoscere che ancor prima che di coraggio, noi siamo esperti di paura. Conosciamo tutte le paure: le nostre e anche quelle di tanti fratelli che si affacciano alla comunità cristiana portando le loro paure. Siamo esperti di debolezza (le nostre e quelle degli altri), di fragilità e anche di viltà, di tradimenti, di pigrizie. Non possiamo nasconderci che forse ancor prima che di coraggio siamo esperti di tutto questo.
 
Un Vescovo francese, il Cardinale Barbarin, riferendosi all’episodio che ricordavo, a Lourdes il 15 agosto scorso, scriveva: “Dio sa che tra noi, nelle nostre società, tra i popoli, ci sono tante ferite, violenze, ingiustizie crudeli che ci mettono alla prova, ma dobbiamo mostrare, con le nostre azioni e le nostre parole, malgrado le nostre debolezze, le nostre miserie, i nostri smarrimenti, che la misericordia di Dio vincerà”.
 
Il coraggio della misericordia
Allora, il primo contributo della comunità cristiana a questa nostra considerazione pensosa è rappresentato dal coraggio della misericordia.
In questo anno della misericordia siamo chiamati ad esercitarci nel coraggio della misericordia anche a fronte del rischio dell’incomprensione, dell’ostilità, della condanna, del disprezzo.
 
Si tratta di un amore a fondo perduto, un amore che coraggiosamente si inoltra nel territorio della miseria e del male: “Misericordia è l’amore anche quando non c’è più il bello” (così diceva Papa Francesco a Cracovia ai giovani della GMG 2016). E aggiungeva: “Conoscendo la passione che voi mettete nella missione, oso ripetere: la misericordia ha sempre il volto giovane. Perché un cuore misericordioso ha il coraggio di lasciare le comodità; un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti. Un cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o l’ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per ricevere il profugo e il migrante. Dire misericordia insieme a voi, è dire opportunità, è dire domani, è dire impegno, è dire fiducia, è dire apertura, ospitalità, compassione, è dire sogni”.
 
Il coraggio di Dio
Il coraggio della misericordia è il coraggio di Dio.
 
Se noi possiamo dire una parola sul coraggio, dobbiamo parlare del coraggio di Dio: è questo “coraggio di Dio” che noi cristiani siamo chiamati ad annunciare e a testimoniare. Si tratta di del coraggio dell’amore, di un amore rischioso, di un amore che si affida: il coraggio di Dio è quello di affidare se stesso all’uomo. Nella creazione Dio non affida all’uomo soltanto il creato, ma affida l’uomo ad un altro uomo, addirittura affida se stesso alla libertà della sua creatura. Il coraggio di Dio è di fidarsi dell’uomo, di affidarsi all’uomo, fino al gesto supremo della consegna del Figlio e dell’abbandono del Figlio nelle mani dei peccatori.
 
Il coraggio del cristiano
Il coraggio del cristiano nasce e diventa questo: il coraggio di fidarsi e di affidarsi a Dio e agli altri uomini. Tanto difficile oggi: uno è sospettoso dell’altro, uno è concorrente dell’altro. È il coraggio dell’amore, è il coraggio della fede. È il coraggio di padri e madri, è il coraggio di figli, è il coraggio dei fratelli, è il coraggio di una comunità civile, è il coraggio della fede, di una fede che si traduce concretamente in amore.
 
Il coraggio alimentato dalla Parola di Dio consegnata alla nostra fede: “Non avere paura”
 
La fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi, per vedere il luminoso cammino dell’incontro tra Dio e gli uomini, la storia della salvezza. LF14
 
La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma è la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità (LF53).
Il coraggio dunque è quella forza della fede che si esprime in una virtù che ci permette di tener viva la speranza contro tutte le smentite e le intimidazioni contrapposte alla libertà dalle difficoltà della vita e dalle “potenze di questo mondo”. (S. Colombo)
 
Permettete di evocare quel grandioso dialogo tra il Cardinal Federigo e don Abbondio ne “I promessi sposi”: “Questi santi son curiosi – pensava intanto don Abbondio – in sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due giovani, che la vita d’un povero sacerdote” … “Torno a dire, monsignore – rispose dunque – che avrò torto io… Il coraggio, uno non se lo può dare”. E il Cardinale: “E perché dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un ministero che v’impone di stare in guerra con le passioni del secolo… Credete voi che tutti que’ milioni di martiri avessero naturalmente coraggio? [*si riferisce ai martiri dei primi secoli e a quel tempo si pensava che fossero milioni, ma molto di più sono oggi] che non facessero naturalmente nessun conto della vita? Tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti vecchi avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, tante donzelle, tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio era necessario, ed essi confidavano”.
 
La forza è questa: essi confidavano. La fede non è un alibi al coraggio, la fede è la ragione del coraggio, è la sostanza del coraggio di Dio, del coraggio che noi vogliamo testimoniare.
 
Tre esercizi di coraggio
Permettete ancora qualche cenno, indicando tre esercizi di coraggio che partono da queste considerazioni.
 
Il coraggio quotidiano
Il primo esercizio è il coraggio della vita quotidiana e mi sia concesso rifarmi a Padre Jacques, proprio come ho fatto con i 1.500 giovani bergamaschi a Cracovia, appena successo il fatto. Era una mattina, un amico mi aveva mandato l’ultimo articolo scritto da Padre Jacques sul suo bollettino parrocchiale e l’ho condiviso con i nostri giovani, dove narra proprio del coraggio quotidiano: “La primavera è stata piuttosto fresca. Se il nostro morale ne ha risentito, pazienza, l’estate sta per arrivare. È anche il tempo delle vacanze. Le vacanze, sono un momento per prendere la distanza dalle nostre occupazioni abituali. Ma non sono una semplice parentesi. «Apriamo il cuore alle cose belle». [*questo è il coraggio quotidiano, questo è il cuore del suo messaggio]. Che sia possibile sentire , in questi momenti, l’invito di Dio a prenderci cura di questo mondo, e a farne, là dove abitiamo un mondo più caloroso, umano, fraterno. Un tempo per l’incontro, con le persone a noi vicine, con gli amici: un momento per prenderci il tempo di vivere qualcosa insieme. Un momento per essere attenti agli altri, chiunque siano. Un tempo per la condivisione: condivisione della nostra amicizia, della nostra gioia. Condivisione del nostro sostegno ai bambini, mostrando loro che per noi contano. Anche un momento per pregare, attenti a ciò che succederà nel nostro mondo, in quel momento. Preghiamo per chi ne ha più bisogno, per la pace, per una convivenza migliore”.
 
Il coraggio della vita quotidiana è il coraggio di aprire il cuore alle cose belle, ogni giorno.
 
Il coraggio di privilegiare la costruzione della comunità più dell’affermazione di un’assoluta autonomia individuale
È il secondo esercizio del coraggio.
 
“Il coraggio vero non nasce dalla considerazione delle proprie forze ma dalla fiducia: fiducia nel prossimo, nella figura umana del mondo, nel carattere di casa che ha il luogo in cui viviamo. Il coraggio di affrontare le minacce e le paure ci viene, insomma, da una compagnia, dal regalo di una prossimità che ci dà fiducia, dal regalo di farci prossimi alimentando la fiducia. Se guardiamo bene, la paura è sempre legata alla solitudine: come succede nella notte che crea mostri… La temerarietà – o la pavidità – suprema è quella di chi si fida solo di sé. Solo Dio può liberarmi dalla paura radicale e darmi radicalmente coraggio: non temete quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima” (Sergio Colombo).
 
Il coraggio della preghiera
Infine, il terzo esercizio del coraggio è la preghiera.
 
Come preghiamo? Preghiamo così per abitudine, pietosamente, ma tranquilli, o ci mettiamo con coraggio davanti al Signore per chiedere quello per il quale preghiamo?L’atteggiamento è importante perché una preghiera che non sia coraggiosa — ha affermato Papa Francesco — non è una vera preghiera. Quando si prega ci vuole il coraggio di avere fiducia che il Signore ci ascolta, il coraggio di bussare alla porta. Il Signore lo dice, perché chiunque chiede riceve e a chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
 
Permettetemi di concludere con una preghiera che tante volte la comunità cristiana ripete, in tanti momenti della vita e della sua storia, è la preghiera del salmo 23, il salmo del pastore. Ad un certo punto colui che prega dice: “Anche se vado per una valle oscura non temo alcun male, perché tu sei con me”.
                                                                                                                                                                                                                                                                  (trascrizione da registrazione)