29-08-2016
Care sorelle e cari fratelli, mi permetto di continuare con voi una meditazione che sta accompagnando quest’anno la festa patronale, su una virtù che nella figura di un martire si riconosce in maniera evidente: la virtù del coraggio.
Parliamo di virtù, nel senso che non vogliamo immaginare il gesto eroico ma isolato che una persona è capace di manifestare in un momento particolare della sua vita, a volte quello finale. Stiamo parlando invece di uno stile di vita, di un modo di vivere che manifesti un coraggio evangelico.
Tra le diverse forme di coraggio ispirato al Vangelo c’è quello di rialzarci e ricominciare.
Se la fede in Gesù è capace di nutrire un interiore coraggio, ebbene il coraggio prende anche la forma di questo risollevarci. Gesù è colui che sa dare vera passione alla vita, è colui che ci porta a non accontentarci di poco, ci porta a dare il meglio di noi stessi. Gesù ci interpella, ci invita e ci aiuta ad alzarci ogni volta che ci diamo per vinti.
Non è facile e con il passare degli anni diventa sempre più difficile, non solo fisicamente ma anche spiritualmente. Siamo deboli, cadiamo, i nostri difetti sembra che con il passare del tempo si rafforzino e i nostri peccati non diminuiscono, ma Papa Francesco, con una bellissima espressione che in italiano suona un po’ originale, dice che “non importa se cadiamo, l’importante è non rimanere caduti”.
La nostra fede in Gesù ci permette di sperare e di rafforzare anche questo interiore coraggio a rialzarci perché è il Signore che ancora e sempre ci tende la mano della sua misericordia. Noi a volte siamo talmente provati che disperiamo di rialzarci, ma la fede alimenta questo coraggio: un coraggio che non è frutto solamente della nostra volontà, della nostra determinazione, della nostra forza, ma è frutto di questo sguardo misericordioso che diventa mano che ancora una volta, dopo tante e tante volte, ci aiuta ad alzarci e a ricominciare.
È la fede che è capace di nutrire il coraggio di un cristiano, perché è stata la relazione con Dio Padre che ha nutrito il coraggio di Gesù, rispetto soprattutto ad una condizione che ci spaventa parecchio che è quella della solitudine. Noi viviamo una condizione complessiva che è frutto del nostro infantile e a volte pervicace egoismo il cui esito è proprio la solitudine: noi pensiamo di essere noi il fulcro, il nostro io, pensiamo ai nostri diritti e a tutte le età ne reclamiamo e non è che con il passare del tempo si affievolisca questo reclamo, che può anche essere giustificato, ma attenzione perché a volte questa concentrazione su noi stessi ha come esito la solitudine. La solitudine fa paura a tutti. Nessuna persona desidera l’abbandono, il non essere di nessuno al mondo.
Gesù che percorre tutte le nostre strade, anche quelle della solitudine e dell’abbandono, esprime questa radicale fede: “io non sono solo, perché il Padre è con me”. E quando griderà il salmo dell’abbandono, lo grida a Dio nel quale si abbandona. La prova suprema è proprio il silenzio di Dio e Gesù affronta anche questo.
Cari fratelli, il coraggio è proprio il frutto della relazione con Gesù e in Gesù della relazione con Dio Padre.
Vorrei allora vedere le conseguenze di questo coraggio evangelico che ci porta a rialzarci e a credere nella mano tesa della misericordia di Dio, che ci porta a coltivare questa relazione capace di farci superare la paura della solitudine.
Raccolgo questi pensieri attorno a qualcosa che ci è molto caro: è caro ai più anziani, ma anche ai giovani. È la famiglia.
Noi sappiamo che in questi anni Papa Francesco ha dedicato una grande attenzione alla famiglia, ha riunito i rappresentanti dei Vescovi da tutti gli angoli del mondo per riflettere sulla famiglia e per rilanciare la grande esperienza della famiglia. Sappiamo anche che alla fine ha scritto una lunga lettera molto importante sulla famiglia: “Amoris letizia”, la gioia dell’amore.
Vorrei dire innanzitutto che queste relazioni familiari oggi richiedono un coraggio evangelico. Dice il Papa: “Le crisi coniugali frequentemente si affrontano in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco e anche del sacrificio”.
Possiamo raccontare tante storie in cui questo coraggio si è manifestato dentro tanti nostri limiti, ma dobbiamo anche riconoscere che oggi spesso questo coraggio è svuotato dall’interno e le crisi coniugali inevitabili, frequentemente si affrontano in modo sbrigativo.
Cari fratelli e sorelle, probabilmente nel vostro cuore ci sta la convinzione di questo e pensate a figli e nipoti che forse non concordano su questo. Non possiamo costringere, non vogliamo fare i moralisti o i moralizzatori, non vogliamo “rovinare” la vita ma piuttosto promuovere la vita. E lo possiamo fare attraverso la testimonianza di un coraggio: deve apparire il coraggio della pazienza, il coraggio del vedere e verificare le cose, il coraggio del perdono e anche il coraggio del sacrificio. Il sacrificio costa: se appare una maledizione tutti scapperanno dal sacrificio; il sacrificio costa, ma quanti – anche giovani – ammirano persone coraggiose che sacrificano se stessi. Le abbiamo qui nelle nostre famiglie. Un sacrificio coraggioso, quindi che costa, ma che non malediciamo, altrimenti tutti lo malediranno.
Vi è un secondo coraggio che vorrei leggere nell’esperienza familiare ed è il coraggio della purificazione del linguaggio. Sembrerebbe una sciocchezza, ma se ci guardiamo bene il nostro linguaggio non è incoraggiante. Non è incoraggiante soprattutto in direzione della forza e della profondità di relazioni d’amore. Non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Sono queste le parole che circolano non solo nei media, ma anche nelle nostre famiglie?
Gesù lo sentiamo dire nel Vangelo: “Coraggio figlio! Grande è la tua fede! Alzati, va’ in pace! Non abbiate paura!”. Queste sono le parole di Gesù, queste devono essere le parole del cristiano. Non parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano.
Cari fratelli e sorelle, il linguaggio non è poca cosa nelle relazioni familiari. Senza dimenticare il rispetto, che passa anche attraverso il linguaggio e comincia proprio nelle nostre famiglie. Un linguaggio frutto dell’amore e che nutre l’amore. Il coraggio quindi di un linguaggio amabile, il linguaggio di Gesù.
Il Papa ricorda nella sua bellissima lettera “l’incoraggiamento della Chiesa nei confronti di coloro che vivono situazioni familiari che a volte sembrano porli ai margini della comunità cristiana. Illuminata dallo sguardo di Cristo, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite, dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano”.
L’incoraggiamento della comunità cristiana non tanto a facili scorciatoie, ma a manifestare tutto il bene che si è capaci, a prendersi cura gli uni degli altri, anche se quella relazione non sarà una relazione perfetta, a mettersi a servizio della comunità.
Che i cristiani incoraggino! Incoraggiamo i nostri figli e i nostri nipoti su questa strada e scopriranno la bellezza del vangelo del matrimonio e della famiglia.
È il coraggio della generatività. È una parola un po’ difficile, ma capite cari fratelli e sorelle, che non solo non nascono più bimbi, ma sembra che ci sterilizziamo tutti: non siamo più capaci di generare vita, sembra che siamo solo impauriti e preoccupati di conservare, ma mentre conserviamo stiamo mortificando quella vita che vogliamo proteggere.
La famiglia è sempre stata il più vicino “ospedale da campo” per la vita delle persone che la formano.
Voler formare una famiglia oggi è avere il coraggio di far parte del sogno di Dio, il coraggio di sognare con lui, il coraggio di creare con lui, il coraggio di giocarci con lui nella storia e costruire un mondo nel quale nessuno si senta solo.
Un coraggio che trova il suo luogo proprio lì dove noi viviamo quotidianamente: proprio dentro la nostra famiglia. Vi ho ricordato alcune dimensioni di questo coraggio evangelico e vorrei concludere pensando a tutte le mamme, i papà, gli sposi, le persone che si amano e che ogni giorni fanno scelte impegnative per andare avanti con le loro famiglie e con i loro figli. Questo è un autentico tesoro per tutta la Chiesa.
Davanti a una moltitudine che continua a darci questa testimonianza, nonostante i limiti personali, io chiedo al Signore per intercessione di Sant’Alessadro la grazia del coraggio, del coraggio di andare avanti nella nostra vita cristiana nelle cose di ogni giorno e nelle situazioni più difficili.
(trascrizione da registrazione)
Parliamo di virtù, nel senso che non vogliamo immaginare il gesto eroico ma isolato che una persona è capace di manifestare in un momento particolare della sua vita, a volte quello finale. Stiamo parlando invece di uno stile di vita, di un modo di vivere che manifesti un coraggio evangelico.
Tra le diverse forme di coraggio ispirato al Vangelo c’è quello di rialzarci e ricominciare.
Se la fede in Gesù è capace di nutrire un interiore coraggio, ebbene il coraggio prende anche la forma di questo risollevarci. Gesù è colui che sa dare vera passione alla vita, è colui che ci porta a non accontentarci di poco, ci porta a dare il meglio di noi stessi. Gesù ci interpella, ci invita e ci aiuta ad alzarci ogni volta che ci diamo per vinti.
Non è facile e con il passare degli anni diventa sempre più difficile, non solo fisicamente ma anche spiritualmente. Siamo deboli, cadiamo, i nostri difetti sembra che con il passare del tempo si rafforzino e i nostri peccati non diminuiscono, ma Papa Francesco, con una bellissima espressione che in italiano suona un po’ originale, dice che “non importa se cadiamo, l’importante è non rimanere caduti”.
La nostra fede in Gesù ci permette di sperare e di rafforzare anche questo interiore coraggio a rialzarci perché è il Signore che ancora e sempre ci tende la mano della sua misericordia. Noi a volte siamo talmente provati che disperiamo di rialzarci, ma la fede alimenta questo coraggio: un coraggio che non è frutto solamente della nostra volontà, della nostra determinazione, della nostra forza, ma è frutto di questo sguardo misericordioso che diventa mano che ancora una volta, dopo tante e tante volte, ci aiuta ad alzarci e a ricominciare.
È la fede che è capace di nutrire il coraggio di un cristiano, perché è stata la relazione con Dio Padre che ha nutrito il coraggio di Gesù, rispetto soprattutto ad una condizione che ci spaventa parecchio che è quella della solitudine. Noi viviamo una condizione complessiva che è frutto del nostro infantile e a volte pervicace egoismo il cui esito è proprio la solitudine: noi pensiamo di essere noi il fulcro, il nostro io, pensiamo ai nostri diritti e a tutte le età ne reclamiamo e non è che con il passare del tempo si affievolisca questo reclamo, che può anche essere giustificato, ma attenzione perché a volte questa concentrazione su noi stessi ha come esito la solitudine. La solitudine fa paura a tutti. Nessuna persona desidera l’abbandono, il non essere di nessuno al mondo.
Gesù che percorre tutte le nostre strade, anche quelle della solitudine e dell’abbandono, esprime questa radicale fede: “io non sono solo, perché il Padre è con me”. E quando griderà il salmo dell’abbandono, lo grida a Dio nel quale si abbandona. La prova suprema è proprio il silenzio di Dio e Gesù affronta anche questo.
Cari fratelli, il coraggio è proprio il frutto della relazione con Gesù e in Gesù della relazione con Dio Padre.
Vorrei allora vedere le conseguenze di questo coraggio evangelico che ci porta a rialzarci e a credere nella mano tesa della misericordia di Dio, che ci porta a coltivare questa relazione capace di farci superare la paura della solitudine.
Raccolgo questi pensieri attorno a qualcosa che ci è molto caro: è caro ai più anziani, ma anche ai giovani. È la famiglia.
Noi sappiamo che in questi anni Papa Francesco ha dedicato una grande attenzione alla famiglia, ha riunito i rappresentanti dei Vescovi da tutti gli angoli del mondo per riflettere sulla famiglia e per rilanciare la grande esperienza della famiglia. Sappiamo anche che alla fine ha scritto una lunga lettera molto importante sulla famiglia: “Amoris letizia”, la gioia dell’amore.
Vorrei dire innanzitutto che queste relazioni familiari oggi richiedono un coraggio evangelico. Dice il Papa: “Le crisi coniugali frequentemente si affrontano in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco e anche del sacrificio”.
Possiamo raccontare tante storie in cui questo coraggio si è manifestato dentro tanti nostri limiti, ma dobbiamo anche riconoscere che oggi spesso questo coraggio è svuotato dall’interno e le crisi coniugali inevitabili, frequentemente si affrontano in modo sbrigativo.
Cari fratelli e sorelle, probabilmente nel vostro cuore ci sta la convinzione di questo e pensate a figli e nipoti che forse non concordano su questo. Non possiamo costringere, non vogliamo fare i moralisti o i moralizzatori, non vogliamo “rovinare” la vita ma piuttosto promuovere la vita. E lo possiamo fare attraverso la testimonianza di un coraggio: deve apparire il coraggio della pazienza, il coraggio del vedere e verificare le cose, il coraggio del perdono e anche il coraggio del sacrificio. Il sacrificio costa: se appare una maledizione tutti scapperanno dal sacrificio; il sacrificio costa, ma quanti – anche giovani – ammirano persone coraggiose che sacrificano se stessi. Le abbiamo qui nelle nostre famiglie. Un sacrificio coraggioso, quindi che costa, ma che non malediciamo, altrimenti tutti lo malediranno.
Vi è un secondo coraggio che vorrei leggere nell’esperienza familiare ed è il coraggio della purificazione del linguaggio. Sembrerebbe una sciocchezza, ma se ci guardiamo bene il nostro linguaggio non è incoraggiante. Non è incoraggiante soprattutto in direzione della forza e della profondità di relazioni d’amore. Non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo linguaggio. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Sono queste le parole che circolano non solo nei media, ma anche nelle nostre famiglie?
Gesù lo sentiamo dire nel Vangelo: “Coraggio figlio! Grande è la tua fede! Alzati, va’ in pace! Non abbiate paura!”. Queste sono le parole di Gesù, queste devono essere le parole del cristiano. Non parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano.
Cari fratelli e sorelle, il linguaggio non è poca cosa nelle relazioni familiari. Senza dimenticare il rispetto, che passa anche attraverso il linguaggio e comincia proprio nelle nostre famiglie. Un linguaggio frutto dell’amore e che nutre l’amore. Il coraggio quindi di un linguaggio amabile, il linguaggio di Gesù.
Il Papa ricorda nella sua bellissima lettera “l’incoraggiamento della Chiesa nei confronti di coloro che vivono situazioni familiari che a volte sembrano porli ai margini della comunità cristiana. Illuminata dallo sguardo di Cristo, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite, dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano”.
L’incoraggiamento della comunità cristiana non tanto a facili scorciatoie, ma a manifestare tutto il bene che si è capaci, a prendersi cura gli uni degli altri, anche se quella relazione non sarà una relazione perfetta, a mettersi a servizio della comunità.
Che i cristiani incoraggino! Incoraggiamo i nostri figli e i nostri nipoti su questa strada e scopriranno la bellezza del vangelo del matrimonio e della famiglia.
È il coraggio della generatività. È una parola un po’ difficile, ma capite cari fratelli e sorelle, che non solo non nascono più bimbi, ma sembra che ci sterilizziamo tutti: non siamo più capaci di generare vita, sembra che siamo solo impauriti e preoccupati di conservare, ma mentre conserviamo stiamo mortificando quella vita che vogliamo proteggere.
La famiglia è sempre stata il più vicino “ospedale da campo” per la vita delle persone che la formano.
Voler formare una famiglia oggi è avere il coraggio di far parte del sogno di Dio, il coraggio di sognare con lui, il coraggio di creare con lui, il coraggio di giocarci con lui nella storia e costruire un mondo nel quale nessuno si senta solo.
Un coraggio che trova il suo luogo proprio lì dove noi viviamo quotidianamente: proprio dentro la nostra famiglia. Vi ho ricordato alcune dimensioni di questo coraggio evangelico e vorrei concludere pensando a tutte le mamme, i papà, gli sposi, le persone che si amano e che ogni giorni fanno scelte impegnative per andare avanti con le loro famiglie e con i loro figli. Questo è un autentico tesoro per tutta la Chiesa.
Davanti a una moltitudine che continua a darci questa testimonianza, nonostante i limiti personali, io chiedo al Signore per intercessione di Sant’Alessadro la grazia del coraggio, del coraggio di andare avanti nella nostra vita cristiana nelle cose di ogni giorno e nelle situazioni più difficili.
(trascrizione da registrazione)