Solennità dell’Assunzione di Maria – Basilica di Santa Maria Maggiore

15-08-2014
La devozione a Maria è diffusa nel mondo e percorre i secoli. È particolarmente la sua maternità che attira la devozione. Una maternità premurosa e comprensiva, in particolare nei confronti delle situazioni di dolore e di sofferenza che portano ad una immediata relazione con lei. Immediata nel senso che non è mediata, ma il cuore delle persone – a volte anche di persone che apparentemente non sembrano partecipare alla vita della Chiesa – si apre con immediatezza alla relazione con Maria.
 
Diverso è il destino di alcune definizioni dogmatiche che investono la sua persona: penso all’Immacolata, penso appunto alla definizione dogmatica di Pio XII della Assunzione al cielo in corpo e anima di Maria che stiamo celebrando, penso alla stupenda definizione, quella più antica di tutte, affascinante e misteriosa, quando nel Concilio di Efeso Maria viene proclamata la Madre di Dio.
 
Queste definizioni non sono così immediate alla mente e anche al cuore dei credenti. Potremmo domandarci: che cosa aggiunge o che cosa toglie alla nostra venerazione nei confronti della Madre di Gesù la definizione della sua immacolata concezione, piuttosto che della sua assunzione al cielo? 
 
La nostra è una fede molto delicata, molto fragile. A volte l’accumularsi di troppi elementi ci rende ancor più difficile credere. Appunto questi “elementi” che caratterizzano la figura di Maria nella fede della Chiesa che cosa danno alla nostra fede? 
 
Una fede che peraltro nella sua fragilità a volta è esposta a forme di sensazionalismo e in certi momenti questo prende anche una dimensione mariana: abbiamo bisogno di esperienze forti o sensazionali per credere. 
 
La nostra fede è fragile in quanto esposta anche a una forma di genericità: crediamo senza troppa sostanza, ci affidiamo a qualcosa di misterioso.
 
Noi celebriamo l’assunzione di Maria in un contesto che mi sembra sia caratterizzato – anche evidentemente e non solo – da questi lineamenti. Allora mi sembra che la risposta alla domanda “cosa significa, per la fede di un credente, celebrare l’assunzione di Maria?”, la possiamo ricavare attraverso la narrazione di Maria.
 
Mi sembra che narrare la storia di Maria sia una forma che ci aiuta maggiormente ad aprirci alla possibilità di riconoscere l’opera di Dio in questa donna di Palestina. Peraltro i tratti di questa narrazione nel Vangelo sono estremamente sobri.
 
Il primo tratto è quello dell’annunciazione. Annuncio di una maternità, stupendo anche dal punto di vista umano. Maria diventa la Madre di Dio nella persona di Gesù. Possiamo immaginare che lei stessa non comprenda fino in fondo che cosa sta avvenendo. Aderisce a questa parola, ma come succede per noi, molto spesso, non la comprendiamo se non con il passare del tempo, con esperienze che si sommano e soprattutto la comprendiamo per il dono dello Spirito Santo.
 
Nella storia di Maria c’è poi questo passaggio: la madre diventa discepola del suo figlio. Appunto quei pochi tratti evangelici che ci ripresentano la figura di Maria ce la mostrano così: al seguito del suo figlio, anche lei attraversata da fatiche e difficoltà nel credere che dice suo figlio e ancor più a chi è suo figlio.
 
Una storia che culmina nel grande affresco di Maria accanto alla croce. Un affresco affascinante per tutti perché evoca questa dimensione di vicinanza, di condivisione che veramente caratterizza molto la relazione di una madre e un figlio. Maria accanto alla croce è la pietà: è una della immagini più potenti della narrazione mariana e anche delle più venerate pure nella nostra terra.
 
C’è un’ultima immagine di questa narrazione ed è Maria, non più insieme a Gesù ma insieme ai discepoli. È stupenda anche questa immagine di Maria insieme agli apostoli nel cenacolo, in preghiera, nell’attesa del dono di quello Spirito che pure è stato all’inizio di questa straordinaria esperienza.
 
Mi sembra che tutto questo possa consegnarci alcune considerazioni che condivido con voi.
 
Innanzitutto la consapevolezza dell’importanza, dal punto di vista umano e dal punto di vista della fede, dell’intrecciarsi dei destini. Vedo la famiglia proprio sotto questo profilo: il luogo in cui destini di persone diverse si intrecciano, si uniscono, si separano, ritornano, ma sono imprescindibili gli uni dagli altri. Così è Maria: dentro questa relazione tutta umana tra una madre e un figlio si gioca questo intreccio di destini il cui esito finale è veramente l’approdo a Dio. 
 
Questi destini che non sono soltanto subiti, ma progressivamente scelti. Maria ci rappresenta la figura del credente coinvolto. Coinvolto in destini che superano il suo: sono i destini delle persone che gli sono care, sono i destini della comunità dei credenti, sono i destini dell’umanità, è il destino stesso di Dio. L’ascensione è il destino dell’uomo. L’assunzione di Maria è la rappresentazione di questo destino. In spagnolo “destino” è “la meta”.
 
Una seconda considerazione che possiamo raccogliere dalla narrazione di Maria è che i legami familiari – questo intreccio di destini che ho evocato – non sono gli unici, ma appunto nella storia di Maria vediamo il superamento, non l’annullamento, dei legami familiari per legami più vasti: sono i legami della comunità, i legami di quella comunità di discepoli di cui Gesù dirà “chi sono i miei fratelli? chi è mia madre? costoro sono i miei fratelli, sorelle e madri”. Maria ci rappresenta la figura del credente non solitario. Siamo fortemente tentati a questo e a volte la comunità ci infastidisce, preferiamo una fede intima e personale (e deve essere così) ma in qualche modo solitaria. Invece Maria la vede come la fede di una famiglia grande, di un popolo, una fede che ci mescola con le luci e le ombre di questo popolo che sono poi anche le luci e le ombre nostre. È una compagine e Maria ci rappresenta questa figura della credente che sta insieme, che condivide. Una credente ecclesiale.
 
Cari fratelli e sorelle, è in questa luce che noi ricordiamo i nostri fratelli perseguitati che saranno lontani geograficamente, ma che a volte rischiano di esserci molto lontani anche dal punto di vista della consapevolezza che loro stanno soffrendo e pagando per la stessa fede che noi con tranquillità stiamo professando nelle nostre chiese. Lo dico a me stesso: frequentemente ci dimentichiamo di loro. Ci dimentichiamo di questo legame decisivo, che non è una comune passione, un comune ideale, ma è appunto una fede, cioè la ragione di una vita. Giustamente il Papa e i Vescovi italiani attraverso il loro presidente ci invitano in modo particolare oggi alla preghiera, alla solidarietà anche concreta nelle forme di carità, al ricordo, alla conoscenza, all’informazione relativamente alla condizione di questi nostri fratelli perseguitati, particolarmente nelle regioni dell’Iraq, della Siria e della Nigeria.
 
Infine, la narrazione di Maria ci dice che lei è la primizia. Siamo così golosi di primizie. Maria è il frutto, la primizia, della risurrezione di Gesù. È l’umanità riscattata. Noi viviamo ancora – l’abbiamo appena ricordato – le oscurità, anche le nostre. Ma finalmente nella storia di Gesù e in quella di Maria noi riconosciamo l’inizio del riscatto, la seminagione di un riscatto nel quale possiamo continuamente sperare nonostante tutte le smentite, nostre e degli altri. 
 
È un riscatto che coinvolge ed è stupendo questo per guardare Maria: non solo il nostro spirito ma anche il nostro corpo, cioè tutta la nostra umanità. Noi non siamo solo spirito e tanto meno siamo solo un corpo. È il riscatto di un’umanità. In Maria veramente noi riconosciamo il frutto dell’opera di Cristo Signore, quell’opera che celebriamo nell’Eucaristia alla quale crediamo.
 
Ecco, sorelle e fratelli, quella gioia sobria ma interiore che ci accompagna in questa celebrazione, che alimenta la nostra venerazione a Maria e che ci rende sempre più consapevoli del dono e della responsabilità della nostra fede.
 
(trascrizione da registrazione)