25-12-2012
Cari fratelli e sorelle, abbiamo udito l’annuncio dell’angelo. A questo annuncio i pastori reagiscono decidendo di andare a vedere. “Andiamo a vedere!”, decidono i pastori e si mettono in viaggio.
Questa decisione dei pastori mi fa pensare al Natale come un viaggio. Il viaggio di Maria e Giuseppe, di cui abbiamo sentito, che si iscrive nel grande censimento, nella grande storia di Cesare Augusto, l’imperatore. È un viaggio molto più dimesso – almeno in un primo momento – quello dei pastori. È un viaggio affascinante quello dei Magi. Quando un bimbo viene alla luce inizia un viaggio, perché la vita può essere ben rappresentata da questa immagine.
Possiamo pensare che il Natale non è solo questi viaggi, ma è soprattutto il viaggio di Dio. Un viaggio impensabile che Dio compie per avvicinare l’umanità, per avvicinare ogni persona umana. Abbiamo sempre pensato che Dio abiti il cielo. Il cielo è un segno del mondo di Dio. Dio ha intrapreso un viaggio per scendere dal cielo. Oggi gli uomini salgono al cielo con i loro mezzi, ma sembra che più esplorano il cielo e più questo diventi misterioso. Questo mistero è squarciato da un Dio che si è messo in viaggio.
I pastori rappresentano uno di quei movimenti, uno di questi viaggi. Viaggiano perché vogliono vedere ciò che hanno ascoltato. Mi sembra che questa nota sia una provocazione per noi: anche noi stiamo ascoltando parole, ma vorremmo vedere quelle parole. Ci rendiamo conto che le parole che pure suonano solenni in un coro di angeli, riecheggiato dal nostro coro, offrono però segni minuscoli: “troverete un bambino, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”. “Andiamo a vedere!”. Questo desiderio di vedere ciò che si ascolta è assolutamente legittimo e attraversa tutta l’esperienza dei cristiani. Certo è fatta di una parola – non quella che io vi sto dicendo ma quella che abbiamo ascoltata nel Vangelo – ma molti attendono di poter vedere quella parola, come i pastori che sono andati a vedere il segno.
D’altra parte vedere non basta, perché loro vanno e riconosceranno attraverso il segno dato dagli angeli questo mistero assolutamente inaudito, cioè che non si era mai sentito. Vedono ciò che non si è mai sentito: che Dio, il Signore dell’universo, sia diventato uomo così, così uomo.
Dobbiamo riconoscere che una stella non è solo una stella e un presepe non è solo un presepe e un bambino non è solo un bambino. Una stella non è solo una stella: in questi mesi continuiamo a sentirci ripetere che stiamo intravedendo una luce in fondo al tunnel. Ebbene questa notte noi vediamo quella luce, la vediamo venirci incontro, non dal fondo di un tunnel, ma la vediamo venirci incontro perché le stelle non sono solo stelle. Riconosciamo in quella luce un segno di Dio, come ci ha detto il profeta “una luce splende nelle tenebre”. Questo segno di Dio è il bambino che nasce e questo bambino non è solo un bambino ma è il figlio di Dio. Non basta vedere, bisogna riconoscere.
Si avvicinano i pastori al presepe, diventeranno loro stessi personaggi del presepe, ma un presepe non è soltanto un presepe. Ieri sono stato a visitare quel presepe vivente che sono i nuovi reparti di maternità e di tutto quello che li accompagna fino alle situazioni più delicate del nostro nuovo Ospedale. Lì è il presepe vivente, non quello che mettiamo in scena pur utile a rammentarci la bellezza del presepe. Lì è la vita. Ci si rende conto che il presepe non è solo un presepe ma che c’è nel presepe una immensità di vita. E un bambino non è soltanto un bambino, anche se minuscolo da stare addirittura nel palmo di una mano. Lì c’è la vita, c’è la vita di un uomo e di una donna, c’è il loro amore, c’è la loro speranza, c’è la loro trepidazione, a volte c’è anche la loro angoscia.
Non basta vedere le cose, bisogna riconoscere che occorre uno sguardo per andare al di là delle cose e cogliere la loro profondità. Alla fine una stella sarà ancora una stella però avremo scoperto una stella più grande di quella che abbiamo guardato forse frettolosamente. E così un presepe alla fine rimarrà un presepe ma abbiamo capito il suo segreto. E un bambino resta un bambino, come Gesù, che si rivelerà non attraverso la grandiosità di segni ma in tutta la sua umanità: è veramente un uomo eppure non è soltanto un uomo.
Come possiamo riconoscere tutto questo? Ascoltando. Ascoltando l’inaudito, cioè ciò che non si è mai ascoltato. Cari fratelli e sorelle, questa notizia è sempre una notizia inaudita, come se la udissimo per la prima volta. Come si fa a dare una notizia del genere: “Dio è diventato uno di noi!”.
Cosa vuol dire? Dov’è? Come si fa a riconoscere? Come si fa a riconoscere che quella parola è vera?
Mi sembra che oggi come oggi, in cui siamo un poco smarriti e ancora confusi, nonostante cerchiamo di darci la forza della speranza, noi dobbiamo attingere alla profondità delle nostre intelligenze, del nostro cuore, della nostra libertà, della nostra volontà. È proprio nei momenti difficili che bisogna andare nel profondo, nella grotta. Non nelle grotte delle nostre montagne, ma nella grotta di Betlemme e quella grotta, cari fratelli e sorelle, alla fine è il nostro cuore, è la nostra mente, è il nostro spirito. È lì che abitano quelle realtà che sono capaci ancora di rianimarci, di darci forza, che in altri momenti abbiamo ritenuto assolutamente scontate forse perché non ne avevamo bisogno, ma adesso sì. Non fuori di noi, non in qualche soluzione che ci sembra alla fine sempre inadeguata, ma dentro in quella grotta che siamo noi. Lì, alla luce della Parola, noi possiamo scoprire quella presenza che vediamo nel presepe, quel Dio che viene ad abitare ogni condizione umana, non per risolverla magicamente ma per abitarla e trasformarla con la sua vita, col suo amore, con la sua parola, col suo insegnamento.
Ma tutto questo, cari fratelli, non basta ancora, perché il dono non è solo un dono. Un dono diventa dono quando finalmente lo accolgo. Certo rimane la sua gratuità per tutti, il Signore non impone il suo amore a nessuno, ma d’altra parte la forza di un dono si manifesta tutta nel momento in cui io l’accolgo.
Allora per riconoscere la stella, per riconoscere il presepe, per riconoscere il bambino non basta la parola e non basta nemmeno scendere nella profondità del cuore, in quella grotta che è il nostro cuore, ma è necessaria la fede.
Non solo nell’anno della fede: quest’anno ce lo ricorda. E non solo negli anni della crisi: la crisi ci provoca. È necessaria la fede. La fede è andare oltre il confine del mio io e aprirci all’incontro, un incontro che è possibile perché Dio si fa dono diventando uomo come noi.
Comincia così la vita di un Dio eterno che diventa uomo, comincia stanotte. Dicono i santi padri che Dio è diventato uomo perché gli uomini potessero diventare Dio. Sì questo si affascina, ma non meno affascinante è proprio il pensiero che questo Dio diventa uomo perché ogni persona umana possa essere finalmente semplicemente decisamente uomo, cioè una persona umana, in tutta la sua ricchezza, a volte rivestita di molta modestia e di molta povertà. E possiamo finalmente incarnare noi stessi, come Dio ha voluto incarnarsi nella nostra umanità. Questo io credo possa rappresentare un motivo di speranza radicale, un motivo di speranza non annunciata in maniera superficiale, ma una speranza profondamente umana. Dio ha voluto offrirci una speranza così, una speranza che supera i confini dell’umano per renderci consapevoli della grandezza che lui dà ad ogni essere umano.
Celebriamo il Natale, mettiamoci in viaggio, vediamo con gli occhi dei pastori e riconosciamo il dono di Dio per noi.
(trascrizione da registrazione)