S. Natale – Messa di Mezzanotte

Cattedrale
24-12-2020

Care sorelle e fratelli,
dobbiamo ammettere che gran parte della vita di Gesù ci è sconosciuta. Sappiamo che è stata una vita relativamente breve, tenendo presenti le condizioni del suo tempo, ma poi non ne abbiamo molte notizie, se non dell’ultima parte della sua esistenza, quando ormai adulto comincia la sua missione. Prima le informazioni sono esigue, frammentarie, qualcuna anche un po’ leggendaria.

I Vangeli, anche se non tutti, si soffermano invece sulla sua nascita e la consegnano non semplicemente come una narrazione ma proprio come una “buona notizia” per gli uomini.

È una buona notizia attesa, lungo una storia quasi millenaria. Non è la nostra, ma quella del popolo di Israele ed è una storia di attesa. Dio ha consegnato al suo popolo una promessa e questo popolo allora e oggi nello spirito vive dell’attesa del compimento di quella promessa.

Noi in Gesù come il Salvatore, il Figlio di Dio, il Cristo mandato da Dio, crediamo che questa attesa si compie con l’annuncio a Maria, nel mistero del concepimento di ogni vita umana che si compie con il suo venire al mondo. Lui che è la luce, viene alla luce. È una luce debole, è la luce delle stelle.

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato ambienta la nascita di Gesù nella notte. Viene nella notte, anche se noi stiamo celebrando quest’anno in un orario diverso da quello tradizionale. Viene nella notte, dopo che il sole è tramontato in queste giornate che sono le più brevi dell’anno. Viene nella notte che oscura il mondo non solo per la pandemia. Viene nella notte che oscura il cuore di tante persone.

L’attesa del compimento della promessa si realizza nella nascita di Gesù: la luce che viene nel mondo.

Ma il Vangelo ci è consegnato anche per confermare una linea. Viviamo giorni, settimane, mesi in cui ci imputiamo a vicenda di non avere una linea, cioè di una grande incertezza. Invece Dio ha una linea, inimmaginabile e per molti incredibile: è la linea dell’umiltà.

Da sempre il Dio di Israele, il Dio di Gesù, il Dio dei cristiani ha scelto questa linea. Il Vangelo del Natale ce lo conferma e noi dobbiamo ricordarcelo altrimenti rischiamo di non incontrare mai Dio, perché non è possibile riconoscerlo se non sulla via dell’umiltà.

Le condizioni in cui nasce il Salvatore del mondo che noi cantiamo e celebriamo in liturgie solenni, anche in condizioni sociali incerte come quelle che stiamo attraversando, sono quelle dell’umiltà. La solennità è espressione della gioia, della meraviglia, della riconoscenza per ciò che Dio compie rappresentando continuamente la sua presenza, le sue scelte, i suoi criteri, i suoi mandati nella linea dell’umiltà.

Se vogliamo comprendere qualcosa di Dio e del suo figlio Gesù dobbiamo entrare in questa prospettiva, che poi a ben guardare è la stessa prospettiva della nostra vita.

Anche per i potenti che appaiono, giudicano, governano, dispongono, alla fine la sostanza della loro esistenza è molto modesta.

Ed è in questa nostra sostanza precaria (come abbiamo visto in questi mesi), esposta, fragile, nonostante le nostre sicumere, che noi possiamo riconoscere nell’umiltà di Dio la presenza di Gesù.

Qui non stiamo raccontando solo una storia, tra l’altro una storia bella che ha sempre affascinato e che i presepi – siano tradizionali o moderni, artistici o viventi – continuano a narrare. È un Vangelo, una buona notizia.

Noi abbiamo sentito le stesse parole che gli angeli hanno annunciato ai primi che sono andati a Betlemme: “Non temete! Non abbiate paura! Vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore!”. La parola degli angeli ai pastori è la stessa parola del Vangelo per noi oggi, qui.

Cari fratelli e sorelle, celebriamo il Natale del Signore sapendo che la nostra attesa è un’attesa infinita e può essere corrisposta soltanto dall’infinito.

Noi cosa attendiamo? Che finisca. Che finisca la pandemia, che finisca il male. Sappiamo bene che quando questa nostra attesa legittima, desiderata, sofferta, sarà corrisposta, noi ci troveremo a continuare ad attendere.

Continueremo ad attendere quello che nella nostra famiglia merita di essere composto, ad attendere quello che nella nostra società probabilmente richiederà risposte che per qualcuno saranno difficili ad arrivare.

La meraviglia è quella di un Dio che viene nella nostra storia e rappresenta il principio infinito della risposta alle nostre attese. Noi continueremo così ad attendere ma a partire dalla gioia intima, profonda, che addirittura ci abita anche nella prova, nella sofferenza, nel dolore e non ci fa disperare. Perché l’atteso è nato.

Così andremo avanti perché noi abbiamo attese infinite, ma l’infinito è diventato uomo, la sua storia si intreccia con la nostra. E noi crediamo in lui.

Ha scelto però la vita dell’umiltà. Per questo, fratelli e sorelle, anche se saremo alla sera di domani fortemente tentati di riprendere il nostro lamento, la nostra paura, la nostra trepidazione che alimenta una fatica di vivere che avvertiamo più intensa per molti, abbiamo bisogno di vedere Dio sulla via dell’umiltà che per noi è la via della condivisione. È riconoscere che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Non vogliamo sfruttarci gli uni gli altri. Non vogliamo approfittare gli uni degli altri. Abbiamo semplicemente bisogno gli uni degli altri: è la via dell’umiltà.

Ma è proprio percorrendo questa via che non soltanto ci salveremo, ma riconosceremo il dono di una salvezza irriducibile, che andrà oltre i nostri fallimenti, le nostre resistenze, i nostri egoismi pervicaci perché Dio condiviso la sua vita con noi, si è fatto bambino, si è consegnato nelle mani degli uomini. Egli è veramente il Dio con noi.

Condividiamo la nostra preghiera, celebriamo l’Eucaristia che ci consegna la vita di Gesù e lo facciamo non dimenticando la prova della comunità intera, per molti particolarmente sofferta, ma nello stesso tempo accogliendo il dono di Dio e facendo di questo la sorgente della nostra gioia, della nostra speranza e di una testimonianza che vogliamo consegnare a tutti coloro che il Signore ci affida.

(trascrizione da registrazione)